Ha fatto sensazione la “lettera dal carcere” scritta dal cardinale George Pell, nella quale il porporato, che si trova in prigione per un’accusa di abusi su minori, esprime preoccupazione per il futuro della Chiesa, minacciata, a suo giudizio, dal prossimo sinodo sull’Amazzonia.
Incarcerato nella Melbourne Assessment Prison, il cardinale australiano è comunque ben informato sulle vicende della Chiesa ed ha sentito il bisogno di affidare i suoi pensieri a due pagine scritte. La data è quella del primo agosto e la pubblicazione della lettera, apparsa sulla pagina Twitter “Cardinal George Pell Supporters”, profilo aperto dai sostenitori del cardinale, è stata messa sotto indagine da dipartimento della giustizia e della sicurezza, per verificare come sia stato possibile diffondere il testo, dato che ai prigionieri non è consentito l’accesso a Internet e ai social.
“C’è motivo per essere disturbati dall’Instrumentum laboris del sinodo amazzonico” scrive Pell, che poi aggiunge: “Questo non è il primo documento di bassa qualità prodotto dalla segreteria sinodale”.
In effetti il cardinale australiano ne sa qualcosa, visto che già in occasione del doppio sinodo sulla famiglia decise di scendere in campo a difesa della retta dottrina.
“Amazzonia o non Amazzonia, in ogni terra la Chiesa non può permettere che alcuna confusione, e tanto meno alcun insegnamento contrario, danneggi la Tradizione apostolica” afferma il cardinale, che tiene a ribadire: “Un punto è fondamentale, la Tradizione apostolica, l’insegnamento di Gesù e degli apostoli, tratto dal Nuovo Testamento e insegnato da papi, concili e dal magistero, è l’unico criterio dottrinalmente valido per tutti gli insegnamenti relativi alla dottrina e alla pratica”.
Nella lettera Pell accenna anche alla sua sofferenza per la detenzione, ringrazia tutti coloro che gli hanno fatto avere messaggi di solidarietà e dice: “La consapevolezza che la mia piccola sofferenza può essere usata per buoni scopi attraverso l’unione alla sofferenza di Gesù mi dà uno scopo e una direzione”.
Pell sta scontando una condanna a sei anni di carcere, verdetto che da molti è stato giudicato scandaloso dal momento che si basa esclusivamente sulla testimonianza di un presunto abusato (l’altro è morto anni fa per overdose) che ha riferito di violenze sessuali subite da parte del cardinale a metà degli anni Novanta nella sacrestia della cattedrale di St. Patrick a Melbourne, subito dopo una messa domenicale, in circostanze davvero inverosimili.
Entrato in tribunale con le manette ai polsi, il cardinale è stato offerto in pasto ai mass media come condannato già in partenza. In realtà una prima giuria chiamata a pronunciarsi sul caso non è stata in grado di stabilire se le accuse fossero vere o false, mentre una seconda è giunta al verdetto di colpevolezza in un clima da caccia alle streghe.
La condanna a sei anni e mezzo di carcere è arrivata così, con l’aggiunta della detenzione obbligatoria, nonostante l’età avanzata del porporato.
Davanti ai giudici d’appello il pubblico ministero non è riuscito a spiegare come l’allora arcivescovo di Melbourne, numero uno della Chiesa cattolica in Australia, fu in grado di abusare di due giovani in sacrestia, ancora con i paramenti addosso, in mezzo a un bel po’ di gente e mentre salutava (circostanza confermata dagli interessati) numerosi fedeli. Lo stesso giudice ha definito “altamente improbabili” le circostanze descritte dai due accusatori. Ma fin dall’inizio è apparso chiaro che Pell è stato trascinato in giudizio non tanto per sete di giustizia, ma per il desiderio di colpire la Chiesa.
Il processo contro Pell “ha tutta l’apparenza di un sacrificio sugli altari di una cattiva agenda politica” ha scritto Anna Silvas della University del New England. Una persecuzione, quella contro il cardinale, che parte da lontano, almeno dal 1996, quando Pell rifiutò di dare la comunione a un gruppo di attivisti che avevano organizzato una protesta “arcobaleno” durante la Messa domenicale. Una decisione, quella di Pell, che l’ambiente omosessualista australiano non gli perdonò.
Scrive Anna Silvas: “Uno dei più efferati attacchi contro il cardinale, in tempi recenti, è stato quello di David Marr, un intellettuale impegnato della sinistra australiana, omosessuale dichiarato da tempo, difensore della causa gay e anti-cattolico viscerale”.
Ma Pell è da tempo anche nel mirino di alcuni settori della Chiesa australiana, che lo accusano di conservatorismo e di aver difeso l’enciclica Humanae vitae.
Noi stessi ricordiamo bene che nel 2008, quando ci recammo in Australia in occasione della Giornata mondiale della gioventù con Benedetto XVI, il cardinale Pell era già oggetto di attacchi pesanti da parte dei settori liberal e dei cattolici progressisti.
Andrew Bolt, editorialista di News Corp Australia, ha detto che Pell è stato vittima di una persecuzione giudiziaria senza precedenti: “Un uomo è stato dichiarato colpevole non in base ai fatti, ma a causa di pregiudizi”.
Miranda Devine, columnist di diverse testate australiane, ha parlato a proposito di Pell di verdetto “devastante”, frutto di una “campagna di diffamazione”, ed ha messo in dubbio sia l’imparzialità della giuria sia la legittimità di alcune azioni della polizia.
Probabilmente, commenta Anna Silvas, con la prigione Pell si è meritato la migliore delle promozioni ecclesiastiche possibili, avvicinandosi a quella che era la condizione originaria degli apostoli nei primi anni della Chiesa.
Aldo Maria Valli