Che cosa si pensa in Argentina di Jorge Mario Bergoglio? E perché il papa non è ancora andato a visitare la sua patria?
“Le due questioni sono strettamente collegate”, mi ha detto tempo fa un amico argentino, e la sua riposta mi è tornata alla mente leggendo il reportage da Buenos Aires di George Neumayr per The American Spectator. Dal quale emerge un quadro ben diverso da quelli agiografici.
Arrivato in una fredda capitale (resa ancora più triste dal crollo del peso argentino e della borsa in seguito alla pesante sconfitta nelle primarie presidenziali del presidente in carica, il liberale Mauricio Macri, a vantaggio del candidato peronista Alberto Fernandez), Neumayr incomincia subito a chiedere opinioni su Jorge Mario Bergoglio, ottenendo risposte (“schiette e brutali” le definisce l’inviato) che fanno pensare.
“Ci vergogniamo di lui” dice un “ex procuratore”, che aggiunge: “Rappresenta le nostre peggiori caratteristiche. Non sa nulla, né di morale, né di teologia, né di storia. Niente. Lo interessa solo il potere”.
L’immagine di Francesco come di un “ideologo” del quale non ci si può fidare è, a quanto pare, piuttosto condivisa a Buenos Aires.
“Al seminario i suoi compagni di classe lo chiamavano Machiavelli”, dice Antonio Caponnetto, studioso argentino di orientamento tradizionale che a Bergoglio ha dedicato alcuni saggi, tra i quali De Perón a Bergoglio. El catolicismo excomulgable (Ediciones Bellavista, Buenos Aires)
Poi Neumayr va da Santiago Estrada, ex ambasciatore dell’Argentina presso la Santa Sede, vicino a Bergoglio per decenni, il quale, pur non volendo criticare il suo amico, ammette che l’appoggio di Francesco nei confronti di vescovi accusati di abusi sessuali (si pensi al caso di monsignor Gustavo Zanchetta) è semplicemente “inspiegabile”.
Giovanni Paolo II, osserva Neumayr, visitò più volte il suo paese d’origine, e anche il timido Benedetto XVI, pur non godendo certamente di buona stampa in Germania, tornò in patria. Perché invece Bergoglio, che è stato in diversi paesi sudamericani, non l’ha ancora fatto? È davvero possibile che Francesco eviterà l’Argentina per l’intero pontificato?
“Probabilmente no”, risponde Neumayr. Ma a una condizione. Secondo molti osservatori il papa andrà in Argentina, forse già l’anno prossimo, se Macrì perderà e la sinistra tornerà al potere. Bergoglio infatti, dice una fonte, “vuole che Macri perda”.
Di certo c’è tensione nell’aria. Giorni fa, a una festa della sinistra, Neumayr tira fuori la sua macchina fotografica e incomincia a scattare, ma ecco che un paio di peronisti lo prendono da parte e in modo minaccioso gli chiedono: “Che stai facendo?”. Un altro membro del gruppo cerca di calmarli, ma l’episodio dimostra che il clima non è dei migliori. “Se vincerà la sinistra, lascerò il Paese. L’Argentina non sarà sicura per noi” dice al giornalista un esponente conservatore.
“Un altro cattolico conservatore – riferisce Neumayr – mi ha detto che il peronismo di Francesco è così forte che alcuni accoliti del papa parlano di beatificare Evita (la mitica moglie di Juan Domingo Perón, ndr)”, e in effetti la Confederación general del trabajo (Cgt, il sindacato argentino di ispirazione peronista) ha messo la richiesta nero su bianco, definendo Eva Perón la “santa del pueblo” e avventurandosi in una bizzarra rivisitazione para-religiosa dell’operato della donna, che sarebbe “nel cuore del popolo insieme alla Vergine Maria”.
Ma torniamo a Francesco. Anzi a Bergoglio.
“Una storia persistente e diffusa riguardante Bergoglio dice che il papa ha usato il salvataggio dei preti abusatori come una forma di controllo nei loro confronti”. La tecnica sarebbe semplice ed efficace: informare l’interessato che di lui si sa tutto e chiedergli, in cambio dell’immunità, totale obbedienza sotto ricatto.
“Alcuni si sono chiesti perché papa Bergoglio si sia circondato di così tanti imbroglioni e degenerati. Ma questo non è un mistero per i cattolici argentini. Faceva lo stesso da arcivescovo”, dice una fonte. “Usa i loro segreti per controllarli. La stessa tattica che lo portò a stringere un’alleanza con Theodore McCarrick e innumerevoli altri abusatori”.
Molti in Argentina descrivono Bergoglio come un “Peron ecclesiastico”, un “camaleonte” capace di “dire qualsiasi bugia e provare qualsiasi tattica pur di preservare il potere”.
Racconta un giornalista: “Peron diceva di essere una banderuola che si muoveva dove andava il vento, e anche Bergoglio si comportava così. Lunedì era liberale, martedì conservatore, mercoledì di nuovo liberale, e via di seguito”.
Perfino la guida che accompagna Neumayr in un tour bergogliano per le strade di Buenos Aires sostiene che la ragione per cui il futuro papa entrò nei gesuiti non fu spirituale, ma politica: “Sapeva che l’ordine si stava rapidamente spostando a sinistra ed era ansioso di intraprendere quel viaggio ideologico”.
“Il comunismo penetrò fra i gesuiti e Bergoglio divenne uno di loro”, dice un’altra fonte. “In effetti, Bergoglio ricevette la sua educazione politica da una comunista paraguayana di nome Esther Ballestrino, direttrice di un laboratorio di Buenos Aires nel quale il giovane Bergoglio fece l’apprendista dopo il diploma in chimica”. Una “grande donna” alla quale lui “deve molto”, come ha detto il papa stesso raccontando che la direttrice gli passava libri marxisti e lui li leggeva avidamente.
Morta tragicamente nelle mani delle forze di sicurezza del dittatore argentino Jorge Videla nel 1977, Esther Ballestrino, quando i suoi resti, trent’anni dopo, furono ritrovati, venne sepolta, pur non essendo credente, nel giardino della chiesa di Santa Cruz a Buenos Aires, e chi diede il relativo permesso?L’arcivescovo Bergoglio, ovviamente.
Ora qualcuno potrà obiettare che Neumayr, autore del libro The Political Pope, è un arciconservatore e che le fonti citate sono spesso senza nome. Sono obiezioni sensate. Però è anche vero che le opinioni da lui riferite coincidono in pieno con quelle che io stesso ho raccolto da diversi argentini, residenti sia in patria sia qui in Italia. Ma si tratta di fonti che, con poche eccezioni (come nel caso di Caponnetto) non accettano di esporsi con nome e cognome nel timore di ritorsioni. E anche questa circostanza, forse, significa qualcosa.
Aldo Maria Valli