L’eredità segreta di don Amorth e quell’Italia che si affidò a Maria
Cari amici di Duc in altum, oggi, anche se ben pochi se ne ricordano, è un anniversario importante. Il 13 settembre del 1959, con l’adesione unanime dei vescovi, l’Italia intera veniva consacrata al Cuore immacolato di Maria, e sapete chi ci fu, insieme ad altri, all’origine di quella iniziativa? Il padre Gabriele Amorth, che anni dopo sarebbe diventato un notissimo esorcista. Una bellissima vicenda che ha molto da dirci anche oggi e che Saverio Gaeta racconta nel suo ultimo libro: L’eredità segreta di don Amorth. Così la Madonna ha salvato l’Italia (San Paolo, 224 pagine, 18 euro). E proprio al collega Saverio Gaeta ho rivolto alcune domande. Buona lettura!
A.M.V.
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Molti lettori, soprattutto fra quelli di una certa età, al solo sentire il nome di Gabriele Amorth subito pensano: “Ah, il famoso esorcista”. Ma il religioso paolino, nato nel 1925 e morto nel 2016, non fu soltanto un instancabile esorcista. Anzi, si può dire che quello di esorcista, a partire dal 1986, fu solo l’ultimo degli incarichi che ricoprì nella Chiesa italiana. Il tuo libro, Saverio, ha il merito di svelare un Amorth quasi sconosciuto: partigiano, giornalista, delegato dei Paolini. Ci puoi dire chi era Gabriele Amorth e quali i tratti salienti della sua personalità?
«Per tutta la vita, dall’adolescenza alla morte, è stato un uomo e un sacerdote che si è speso totalmente per gli ideali religiosi e civili in cui credeva profondamente. Forse la sua caratteristica essenziale è stata la consapevolezza che il fine ultimo dell’esistenza umana è la vita eterna, in paradiso o nell’inferno, con il conseguente desiderio di salvare più anime possibile, sapendo che il demonio combatteva per strappargliele. Aveva l’esperienza diretta, quotidiana, di tutto questo, al contrario di molti – anche autorevoli esponenti della gerarchia ecclesiastica – che lo criticavano e quasi lo accusavano di essere un credulone, probabilmente perché non avevano mai avuto il coraggio di partecipare a un esorcismo. E poi era un innamorato della Madonna e non si tirò mai indietro nel difendere le apparizioni di Medjugorje (ma anche altre manifestazioni mariane, come quella della Madonnina di Civitavecchia), perché vi si era recato più volte in prima persona, convincendosi della ragionevolezza della propria fiducia e della bontà dei frutti che ne derivavano, soprattutto per tanti giovani che tornavano da lì convertiti».
Nel tuo libro ti concentri in particolare sull’amore di padre Amorth per la Madonna e sull’idea, che lo vide protagonista, di consacrare l’Italia al Cuore Immacolato di Maria. Si era nel 1958, l’iniziativa vide la partecipazione attiva dell’allora arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro e non si può nascondere che ebbe anche un preciso significato politico, in chiave anticomunista, in un momento storico nel quale l’impero sovietico premeva da Est verso l’Italia e il nostro Paese era chiamato a fare da bastione del mondo libero. Puoi raccontare come nacque la consacrazione, quale fu il ruolo di Amorth e che cosa lega quell’iniziativa a Fatima?
«Stiamo parlando di anni in cui la memoria delle repressioni sovietiche nei Paesi dell’Est era vivissima, mentre i rapporti con la Jugoslavia comunista di Tito erano sempre sul punto di esplodere e in giro per il mondo aleggiava la “guerra fredda” fra Usa e Urss. La posizione dei vescovi fu chiarissima: non si trattava di un’invasione di campo nell’agone politico o partitico, ma era l’esplicitazione di un dato di fatto, cioè che il comunismo ateo e materialista si proponeva di distruggere la fede religiosa nelle nazioni dove riusciva a imporsi. Dunque, doveva essere contrastata in ogni modo la sua diffusione, invocando l’aiuto dei Cielo, ringraziandolo per la protezione accordata fino a quel momento e chiedendo che continuasse anche nel futuro. Don Amorth riuscì ad avere conferma da suor Lucia che la promessa della Madonna a Fatima, di avvolgere nel proprio manto i popoli che a Lei si sarebbero consacrati, era sempre valida. Perciò un moto spontaneo del cuore di don Gabriele, insieme con altri sacerdoti e laici impegnati a far crescere e maturare la devozione mariana, suscitò un movimento di popolo, che rispose con straordinario entusiasmo».
Quale fu l’atteggiamento dell’episcopato italiano dell’epoca di fronte alla proposta di consacrare il Paese a Maria? La Conferenza episcopale la accolse con favore o ci furono resistenze?
«A partire dal cardinale Giacomo Lercaro, fino a tutti i vescovi italiani riuniti a Catania per il Congresso eucaristico nazionale, ci fu una coralità di consensi. Il 13 dicembre 1958 la presidenza della Cei fu all’unanimità favorevole alla consacrazione, che si svolse poi il 13 settembre dell’anno seguente. E la risposta dei fedeli andò ben al di là delle loro stesse aspettative, a conferma che – quando le autorità ecclesiastiche si aprono ai messaggi celesti – dall’Alto piovono grazie in quantità. Piuttosto, è stato nei decenni successivi che la dimenticanza ha imperversato. Lo documentano le poverissime cerimonie per le ricorrenze anniversarie di quella consacrazione, che tanto dolore provocarono nello stesso don Amorth. Io stesso ho scoperto la grandezza di questa vicenda soltanto spulciando la documentazione del sacerdote paolino: ne avevo vagamente sentito parlare, ma non mi ero mai reso conto di quale impegnativo “patto” fosse stato stabilito con la Vergine e di quanta ingratitudine le abbiamo poi mostrato».
La consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria coincise con uno straordinario pellegrinaggio della Madonna di Fatima lungo l’intera penisola. Il viaggio durò cinque mesi e tu racconti in proposito numerosi episodi significativi, come quando il pilota dell’elicottero che trasportava la statua, diretto a Bari, fu costretto per il maltempo a un atterraggio d’emergenza nei pressi del lebbrosario di Acquaviva delle Fonti, dove i malati, che erano affacciati alle finestre per assistere al passaggio del velivolo, non credettero ai loro occhi nel vedere che la Madonna era scesa a trovarli. Per ogni località tu riferisci il numero dei fedeli presenti e delle comunioni che vennero fatte durante le sante messe: centinaia e centinaia di migliaia. D’accordo, era un’altra Italia rispetto all’attuale, ma certamente l’adesione fu eccezionale. Si può dire che fu un fenomeno di popolo?
«Dopo che l’idea della consacrazione era già stata accolta, qualcuno propose quella Peregrinatio Mariae come opportunità per una pastorale sul territorio. Qui alcuni vescovi obiettarono, temendo la scarsa partecipazione della gente, soprattutto perché il periodo copriva tutti i mesi estivi. Dicevano: “Ma chi si metterà, a Ferragosto, a partecipare alle processioni e a entrare in chiesa per le adorazioni notturne”. Posso garantire che in tutti i resoconti inviati dalle diocesi al comitato organizzatore la frase più ripetuta è: “Mai vista una folla così. Mai viste simili file ai confessionali e chiese così piene di devoti”. Tutto venne organizzato in un paio di mesi e riuscì perfettamente. Chissà, se ci fosse il coraggio profetico di provarci anche oggi, potremmo rimanere davvero stupiti…».
Il testo della consacrazione si concludeva con numerose richieste rivolte alla Madonna. Tra le altre, “assistere i reggitori”, “accrescere nelle anime dei fedeli il fervore” e “ricondurre al Padre gli erranti”. Il mondo politico di allora, segnato da profonde divisioni ideologiche, come prese queste preghiere?
«Pur all’interno della dialettica che all’epoca contrapponeva il fronte cattolico e quello marxista, ci fu una seria considerazione del gesto di fede, che comunque venne percepito come finalizzato al bene dell’intera nazione, e non soltanto di una parte della popolazione. In ogni caso, nessuno si stracciò le vesti per la proclamazione ad alta voce della richiesta di protezione elevata a Maria, per le celebrazioni in suo onore svolte in piazze e in chiese, per le recite del Rosario e le adorazioni eucaristiche affollate da persone di ogni età e ceto. Fu il segno di una unità di sostanza, più che di facciata, che mostrò davvero la realtà di popolo che connotava gli italiani».
Senza voler alimentare polemiche, è inevitabile fare un confronto con l’oggi, con un’Italia nella quale le gerarchie cattoliche, quando intervengono, lo fanno più per deplorare l’uso del rosario e del Cuore Immacolato di Maria da parte di un politico che non per innalzare preghiere a Dio e alla Vergine Maria per il Paese. Che ne pensi?
«Nessuna polemica, ma soltanto la constatazione che sarebbe bello se, invece di criticare chi lo fa, tutti gli altri innalzassero all’unisono verso il Cielo la medesima invocazione, per chiedere la protezione divina e mariana su noi e sul nostro Paese, e anche sul mondo intero. Lassù non hanno problemi a dare risposta a chiunque, non fanno distinzione fra i colori, ma desiderano soltanto la nostra umile richiesta per poi colmarci di grazie. Se non lo facciamo, evitiamo però di lamentarci delle tristi conseguenze».
A cura di Aldo Maria Valli