Diario romano / Il Rosario in piazza. E quella finestra buia
Cari amici di Duc in altum, mi fa piacere proporvi il Diario romano che mi è stato inviato dal padre Gabriele Rossi sulle giornate trascorse nella città eterna il 5 e 6 ottobre, particolarmente ricche di avvenimenti e spunti di riflessione.
A.M.V.
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Tutti a San Pietro!
«Tutti a San Pietro!». Il grido, lanciato non si sa bene da chi, era poi risuonato per una mesata su diversi blog di resistenza cattolica, in seguito all’ennesimo abuso di potere clericale perpetrato dall’attuale dirigenza della Chiesa: l’epurazione di alcuni professori, fedeli alla linea dei precedenti Pontefici, presso il Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per il matrimonio e la famiglia. «Tutti a San Pietro, il giorno sabato 5 ottobre, alle ore 14:30, per un rosario sulla pubblica piazza, a difesa della Chiesa!».
«Non possiamo mancare», ci siamo detti con due carissimi amici del fermano: Claudio e Miria. E così – detto fatto – abbiamo predisposto ogni cosa per trascorrere due mezze giornate nella capitale. L’esperienza è stata superlativa e merita di essere raccontata.
Il Rosario in piazza
Partiamo da Fermo, nelle Marche, sabato 5 ottobre verso le 8 del mattino. Giunti a Roma, prendiamo alloggio presso una pensione di suore, situata nelle vicinanze delle mura vaticane; e alle 14 in punto già ci troviamo sul luogo dell’appuntamento: largo Giovanni XXIII, all’inizio di via della Conciliazione, dalla parte di Castel Sant’Angelo.
Sul momento i convenuti non sono molti, ma poi velocemente vanno aumentando, fino a riempire quasi per completo lo spiazzo. I volti sono del tutto sconosciuti, ma basta presentarsi e dire qualche mezza parola perché scatti immediatamente una profonda sintonia sul significato di quella convocazione spontanea e sulla situazione generale della Chiesa.
La gente è di ogni età e proviene da diverse parti d’Italia: per la maggior parte si tratta di laici, ma vi sono anche una quindicina di preti per lo più in veste talare (ma senza “saturno”: forse per evitare alcuni giudizi draconiani circolati ultimamente) e alcune religiose. Tra i presenti spicca, graditissima, la presenza di Aldo Maria Valli e della sua gentile signora, come pure quella di altri blogger ugualmente molto attivi sul fronte della coscientizzazione ecclesiale.
Alle 14:30, guidata da alcuni laici, inizia puntuale la recita del santo Rosario: una recita pacata e solenne dei misteri dolorosi, intercalata da qualche canto e da qualche breve lettura sull’attuale passione del Corpo mistico del Signore. Ci disponiamo in piedi, a poca distanza gli uni dagli altri, con la corona in mano e lo sguardo rivolto verso la basilica di San Pietro; molti invece, per tutto il tempo, rimangono in ginocchio sul duro selciato.
Il cielo nel frattempo si è coperto di nubi pesanti: solamente all’orizzonte, tanto a destra quanto a sinistra, si scorgono due squarci di cielo azzurro e luminoso: «Una metafora dell’attuale situazione della Chiesa – dico a me stesso – e un segnale di speranza per un futuro prossimo venturo». In fondo a via della Conciliazione, la basilica di San Pietro mi appare più piccola del solito e come avvolta in un alone di mestizia e di lutto.
Durante la preghiera, la mente e il cuore si focalizzano principalmente su due pensieri: 1) Visto il nuovo corso preso dalla Chiesa (diversi cardinali, in sintonia con il n. 675 del Catechismo della Chiesa cattolica, parlano ormai apertamente di “apostasia”), una vera soluzione può venire soltanto dal Cielo. Noi abbiamo certo il diritto e il dovere di denunciare lo stravolgimento che è in atto, ma più di tanto non possiamo fare. Che il Signore intervenga il più presto possibile, per intercessione della Vergine Santa, la Regina delle vittorie! 2) In questa situazione sono certamente utili studi, convegni e dichiarazioni varie, ma la gente comune avrebbe bisogno anche di momenti concreti di preghiera e di aggregazione, al fine di fronteggiare meglio questa sorta di “alto tradimento di stampo neo-modernista” che si sta consumando sotto i nostri occhi. Magari si riuscisse a moltiplicare incontri pubblici come questo, anche a livello locale!
Dopo un’ora circa, il Rosario si conclude con una preghiera di affidamento alla Vergine Santa e un canto finale. Poi un applauso generale, qualche saluto caloroso, qualche altra foto… e ciascuno riprende soddisfatto la propria strada. Con Claudio e Miria decidiamo di visitare la chiesa della Divina Misericordia, in una parallela di via della Conciliazione.
L’adorazione eucaristica
Giunti a destinazione, ci rendiamo conto di trovarci nel luogo giusto, al momento giusto: il 5 ottobre infatti è la memoria liturgica di santa Faustina Kowalska, e la chiesa di Santo Spirito in Sassia è gremita di fedeli che attendono di partecipare più tardi alla Messa solenne presieduta da un cardinale; nel frattempo è prevista una prolungata adorazione eucaristica.
Decidiamo di rimanere almeno fino alle ore 18, perché poi abbiamo un altro appuntamento interessante, proprio nella sala che si trova al di sotto della stessa chiesa.
Mi metto in un cantuccio a metà della navata. Inizia l’adorazione eucaristica: è animata molto bene. C’è qualche canto e ci sono soprattutto riflessioni e preghiere lette a più voci, ispirate agli insegnamenti di Suor Faustina sulla presenza reale e sulla misericordia divina. Vi ritrovo in pieno la spiritualità della mia famiglia religiosa. Sento che l’assemblea segue con attenzione e che i cuori si vanno riscaldando; e nelle inflessioni di voce del sacerdote polacco che guida la preghiera, mi sembra di risentire le tonalità e le cadenze tipiche di san Giovanni Paolo II, il cui spirito – ne sono certo – aleggia costantemente in questo luogo.
Anche qui il pensiero si concentra soprattutto su due considerazioni: 1) La vera misericordia di cui abbiamo bisogno è quella di stampo cattolico, che ci è stata ripresentata magistralmente dal santo Papa polacco; e non quella di stampo protestante, che ci viene propinata di questi tempi da personaggi che vanno per la maggiore. La vera misericordia non è un lenzuolo che copre ogni sorta di nefandezza e lascia che il malato si aggravi e muoia; la vera misericordia è una medicina che ci viene offerta gratuitamente affinché superiamo il nostro male e recuperiamo la piena salute dell’anima. Quella attuale dunque non è una misericordia autentica, ma una sua contraffazione, un buonismo vago e umiliante che tende a giustificare di tutto e di più. 2) La presenza reale del Signore Gesù nell’Eucaristia è sicuramente il tesoro più prezioso che abbiamo. Ma questo tesoro è fortemente minacciato: – perché molti fedeli ne hanno perso la coscienza; – perché alcuni teologi vorrebbero superare la dottrina della transustanziazione; – e perché alcuni Pastori vorrebbero sacrificare tale dottrina sull’altare di un falso ecumenismo.
Mi metto in ginocchio per terra e mi accovaccio su me stesso: chiedo al Signore con tutta la forza di cui dispongo che, se anche dovesse permettere per la sua Chiesa ciò che diverse profezie vanno annunciando già da molto tempo (intendo dire la cosiddetta “abolizione del Sacrificio quotidiano”, cioè lo stravolgimento della Messa cattolica), che per lo meno conceda a tutti i fedeli e i Pastori ancora ignari e non privi di retta intenzione, di rendersi conto di quanto sta accadendo in ambito ecclesiale e di reagire in maniera adeguata.
Dopo due ore intense e coinvolgenti, l’adorazione si conclude con la benedizione eucaristica impartita dal sacerdote polacco di cui sopra. Esco dalla chiesa per una breve pausa e per predispormi insieme ai miei amici al terzo appuntamento del pomeriggio.
Un convegno sulla Comunione
Nella sala sottostante alla stessa chiesa sta per iniziare un breve convegno, organizzato da un apposito comitato di laici, sul problema pastorale della distribuzione e della recezione della Santa Comunione. Lo stesso comitato sta anche curando una raccolta di firme a livello mondiale, per chiedere all’autorità ecclesiastica che venga ripristinata la possibilità di ricevere la Santa Comunione in ginocchio e dalle mani di un ministro ordinato.
La sala si riempie e si dà finalmente inizio ai lavori.
Vi sono innanzitutto alcuni interventi video-registrati: un breve saluto del cardinale Raymond Burke; e un intervento più articolato del vescovo Athanasius Schneider, relativo alla somma sacralità della Santissima Eucaristia. E vi sono poi tre relatori presenti di persona: il professor Michael Heseman che illustra con alcune immagini alcuni miracoli eucaristici; don Federico Bortoli che ricorda come il ministro proprio della distribuzione eucaristica è il ministro ordinato e non il laico; e monsignor Nicola Bux che spiega come la forma più corretta di ricevere la Santa Comunione sia non in piedi e sulla mano, ma – appunto – in ginocchio e sulla lingua.
Condivido pienamente quanto viene esposto, perché mi rendo conto che in questo campo le superficialità e gli abusi sono all’ordine del giorno; e mi vergogno in cuor mio per il fatto che spesso, a interessarsi di una simile problematica, siano più i laici che i preti.
Dall’insieme dell’incontro, che dura un paio d’ore, memorizzo anche altri particolari: 1) un inginocchiatoio usato da san Giovanni Paolo II, esposto in sala e prestato dalle suore polacche residenti in zona; 2) una bella diapositiva di Papa Benedetto XVI, inginocchiato devotamente davanti al Santissimo Sacramento solennemente esposto; 3) un riferimento del giornalista moderatore al fatto che a monsignor Schneider è stato ingiunto, da parte degli attuali vertici vaticani, di non uscire senza reale necessità dalla sua diocesi di Astana (Kazakistan); 4) e un riferimento tagliente di monsignor Bux a quella sorta di rituale sincretista che il giorno prima (4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi) si era svolto nei giardini vaticani, alla presenza dello stesso Sommo Pontefice, e durante il quale diverse persone, tra cui un frate capelluto, si erano prostrati in adorazione davanti a simboli pagani e fallici.
Per sacro pudore, nessuno dei relatori intervenuti ha mai fatto riferimento, né direttamente né indirettamente, a certe posture del Papa regnante davanti al Santissimo Sacramento solennemente esposto: ma io, in cuor mio, non ne posso proprio fare a meno.
Usciamo dalla sala che sono quasi le 9 di sera, e ci avviamo verso piazza San Pietro.
San Pietro di notte
Strada facendo, su un tratto di marciapiede in via della Conciliazione, ecco che ci si parano davanti, camminando per terra, due gabbiani piuttosto pasciuti e dall’aria affatto intimorita. Sviamo immediatamente per evitare di infastidirli. «Stanno qui per via dell’immondizia di Roma: incredibile!», commentiamo un po’ meravigliati e scandalizzati. Penso tra me: «Forse questi gabbiani a San Pietro sono anche il segno di un’altra immondizia, quella spirituale, che affligge la Chiesa in ogni luogo e a tutti i livelli; e stando alle ricorrenti notizie di cronaca, sembra che essa abbondi anche all’interno delle mitiche mura leonine».
Arriviamo alle transenne fisse, all’inizio di piazza San Pietro, e ci godiamo lo spettacolo. L’illuminazione notturna dei diversi elementi architettonici è semplicemente favolosa: i due bracci del colonnato, la facciata della basilica, l’enorme cupolone; poi in alto a destra, come in secondo piano, le logge della Segreteria di Stato… Ma in questo meraviglioso scenario, sempre in alto a destra, c’è un edificio che rimane completamente in ombra, come se non dovesse più essere preso in considerazione da turisti e pellegrini: è precisamente il Palazzo apostolico, nel cui ultimo piano, fino alla rinuncia Benedetto XVI, abitava il Papa.
Ebbene, sì: sono ormai sei anni che quelle finestre non rallegrano più con la loro luce la piazza di San Pietro e la città di Roma! È l’immagine plastica della situazione spirituale della Chiesa attuale, privata della presenza luminosa del suo Sommo Pastore. Lo faccio notare ai miei amici: e Claudio scatta immediatamente alcune foto da utilizzare nel suo blog.
Stiamo ancora parlando, quando la mia attenzione è attirata da una massa oscura e informe, posta sul lato sud della piazza (a sinistra di chi guarda), nei pressi del colonnato. «È il monumento per i migranti, inaugurato dal Papa qualche giorno fa», mi dice Miria. Mi dirigo da quella parte. Il gruppo scultoreo, che stona vistosamente con le tonalità dei marmi circostanti, è protetto da una transenna provvisoria. Un gruppetto di suore lo sta osservando da vicino con molta attenzione. Ci sono anche alcune signore straniere, le quali mi chiedono di che cosa si tratti. Tento di spiegarmi con qualche parola in inglese: spero mi abbiano capito. Dopo un po’ una delle suore presenti, forse vedendo che sono un prete, mi si avvicina e con una espressione piuttosto scettica mi esclama in faccia: «Che gusti!». Mi porto una mano alla bocca e le rispondo: «No comment». Spero che anche lei mi abbia capito.
Oramai si è fatto tardi e, oltre alla stanchezza, cominciamo a sentire anche un po’ di fame. Prima di tornare alla pensione che ci ospita per il pernottamento, bisognerà trovare anche qualcosa da mangiare. Ci allontaniamo quindi dalla piazza, costeggiando il braccio sud del colonnato e poi un tratto delle mura vaticane. E nel fare questo preciso percorso ci rendiamo conto di un fenomeno allucinante che si consuma tutte le sere ai bordi della Città del Vaticano, come pure – suppongo – in altre parti della città di Roma: un gran numero di povera gente che passa la notte ai piedi del colonnato, o a ridosso delle mura vaticane, o in altri rifugi di fortuna, stesi sul nudo terreno e protetti da semplici cartoni.
Il commento di qualcuno che mi cammina accanto è tagliente: «Invece di far venire altra gente dall’Africa, perché non assistere in maniera più umana questi poveri disgraziati, togliendoli dalla strada almeno di notte!?». Tento di trovare una qualche risposta, ma non ci riesco.
Andiamo a mangiare un boccone e poi, finalmente, ci ritiriamo a riposare.
La domenica mattina
Il mattino successivo è il 6 ottobre, domenica.
Per prima cosa celebro la Messa da solo in camera. Ho portato con me tutto l’occorrente. Sono ancora sospeso a divinis e non voglio causare problemi a nessuno, né a me, né agli altri. Applico il divin Sacrificio per Benedetto XVI, memore della richiesta da lui formulata proprio all’inizio del suo pontificato: «Pregate per me, perché io non fugga per paura davanti ai lupi» (Omelia, 24 aprile 2005). Alla luce di quanto poi è accaduto nella Chiesa, queste parole acquistano un significato davvero impressionante. Il Signore gli conceda luce e forza per completare fino in fondo la sua missione terrena, quale autentico “cooperatore della verità”.
Facciamo colazione e ci avviamo di nuovo verso San Pietro. Claudio e Miria desiderano assistere a una Messa in latino, che si dovrebbe celebrare all’interno della basilica.
Giunti in prossimità del colonnato notiamo un grande schieramento di forze dell’ordine e un intenso movimento di persone. Chiediamo spiegazioni: «In San Pietro sta per iniziare la Messa di apertura del Sinodo per l’Amazzonia, presieduta dal Papa», ci dicono. Ci guardiamo un po’ perplessi e decidiamo di tornare alla chiesa della Divina Misericordia. Qui c’è un Messa alle 10 in punto: è in inglese, ma va bene lo stesso.
Terminata la bella celebrazione, decidiamo di dividerci: Claudio e Miria andranno verso il centro; io rimarrò in zona per assistere all’Angelus di mezzogiorno.
Inizio a girovagare nelle adiacenze della grande piazza. Tutti gli ingressi sono transennati e controllati a vista da forze dell’ordine in assetto da guerra: poliziotti, carabinieri e altri militari. Arrivo davanti alla residenza del cardinale Gerhard Müller e mi metto seduto su un muretto. Mi estranio dalla confusione circostante e inseguo i miei pensieri…
Müller è un vero dono del Signore per la Chiesa di questi tempi. Di alti prelati, che di tanto in tanto intervengono pubblicamente nell’ambito dell’attuale polemica ecclesiale, ce ne sono diversi: Burke, Brandmüller, Sarah, Schneider e altri ancora… Nessuno però si offenda se dico che Müller sta una spanna al di sopra di tutti. E ciò per un motivo molto semplice. Il problema dell’attuale magistero pontificio è essenzialmente dottrinale; e nessuno vanta una competenza in materia dottrinale come Müller. Non a caso Benedetto XVI, nel 2012, lo aveva messo a capo della Congregazione per la dottrina della fede. Il fatto poi che Papa Bergoglio lo abbia licenziato in tronco nel luglio del 2017, lo rende ancora più libero di scrivere e parlare. I suoi interventi, oltre che rispettosi, sono sempre profondi e illuminanti. Magari i vescovi e i preti li studiassero con attenzione: quante discussioni inutili e quanti abbagli si potrebbero evitare! E questo lo dico anche a beneficio di qualche mio confratello religioso.
Chiedo al Signore che lo renda come una sorta di anello di congiunzione tra Benedetto XVI, che ha abbracciato più o meno liberamente il silenzio contemplativo, e il resto del Popolo santo di Dio. E che questa debba essere la missione specifica del cardinale Müller mi viene confermato anche dal fatto che il suo motto araldico è «Dominus Jesus», espressione che richiama appunto uno dei documenti più noti e contestati del Card. Ratzinger, prima che diventasse Papa. Tra i due, dunque, esiste una evidente continuità ideale.
L’Angelus del Papa
Mi alzo e mi dirigo verso San Pietro. Passo per un varco presidiato da diversi militari, tra cui una poliziotta che imbraccia un fucile mitragliatore quasi più grande di lei. Mi astengo dal fare commenti ironici, perché ho altre cose a cui pensare. Arrivo in piazza Pio XII e mi dispongo in una zona d’ombra sul lato sud della stessa, quasi alla confluenza con il colonnato di sinistra: in lontananza il Palazzo apostolico e la famosa finestra. È la prima volta che, seppure a distanza, ho un contatto diretto con questo Papa e ammetto di avvertire un po’ di curiosità.
L’attesa non è lunga: dalla finestra espongono un drappo rosso; e poco dopo ecco apparire nel riquadro della stessa una piccola sagoma di colore chiaro. Dalla piazza parte un timido appaluso e dagli altoparlanti rimbomba la voce del Papa: il segno di croce, il solito «buon giorno», una riflessione articolata sul vangelo della domenica, la recita in latino della preghiera mariana, una breve comunicazione sul Sinodo appena iniziato, l’immancabile «e mi raccomando: pregate per me», e i saluti finali…
Senza attendere la conclusione dell’incontro, mi rimetto in cammino.
Diciamo che la sensazione interiore non è stata delle migliori, ma preferisco non parlarne in questa sede. Vorrei tanto sentire e pensare in modo diverso, ma non ci riesco. Capisco perfettamente che quella persona non si è messa in quel posto da sola: altri ve l’hanno messa. Ma ciò nonostante c’è qualcosa che non mi convince del tutto. Credo fermamente che la presenza simultanea di due Papi (perché – non lo dimentichiamo – Benedetto XVI ha rinunciato a “fare il Papa”, ma non ad “essere Papa”) è una pura permissione del Signore: e come tale va accettata, in vista di un bene maggiore per tutta la Chiesa. Soltanto il tempo farà cadere le maschere – perché di maschere si tratta – e chiarirà per completo il grande mistero.
In questo momento, in quanto prete, mi viene quasi da invidiare i laici che, con maggiore libertà e senza timore di ritorsioni canoniche, hanno la possibilità di correggere apertamente Simon Pietro, così come ha fatto Paolo (cf. Gal 2,11) e lo stesso Gesù (cf. Mt 16,23). E che dire poi di certi alti prelati che, per non esporsi o non causare clamore, sono costretti a delle autentiche piroette argomentative, nell’intento di denunciare errori dottrinali o morali o liturgici, e – nello stesso tempo – difendere ad oltranza colui che ne è il responsabile ultimo? Mi domando: è questo il modo corretto di intendere, esigere e praticare “l’obbedienza ecclesiale”?
Ed ecco che – sempre in riferimento alla compresenza dei due Papi e quasi a conforto dello smarrimento che questa situazione anomala produce nel cuore – mi risuonano con forza le parole del Vangelo: «Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro» (Mt 6,24). Sì, o Signore, è proprio così!
Il ritorno a casa
San Pietro ormai è alle spalle. Entro in una pizzeria per un rapido spuntino; e poi ritorno alla pensione che ci ha ospitato. Qui, dopo un’oretta, arrivano anche Claudio e Miria. Giusto il tempo di prendere un caffè e di conversare un po’ con la suora che è di turno in portineria, ed eccoci di nuovo – stanchi ma soddisfatti – sulla strada del ritorno.
Diciamo che, nonostante la grande tempesta spirituale che vi abbiamo respirato, anche questa volta la visita alla Città Eterna ci ha confermati nella vera fede della Chiesa.
Il che, di questi tempi, non è poco.
Padre Gabriele Rossi, FAM