Amazzonia / Quel “buen vivir” che prevede anche l’eutanasia
Cari amici di Duc in altum, il surreale sinodo amazzonico continua a regalarci situazioni incredibili. E meno male che ci sono ancora cronisti non asserviti, pronti a squarciare il velo della strumentalizzazione ideologica. È il caso del collega Giuseppe Rusconi, attaccante a tutto campo che durante i briefing nella sala stampa vaticana sta seminando il panico nelle variopinte ma assai perforabili difese amazzoniche, spesso da lui costrette all’autogol.
A.M.V.
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Oltre l’infanticidio anche l’anzianicidio?
Al briefing dell’una e mezzo in sala stampa vaticana l’esperta di culture amazzoniche Marcia Maria de Oliveira ha risposto (vedremo come…) a una nostra domanda riguardante un esempio portato sabato 12 ottobre dal vescovo Adriano Ciocca Vasino su una critica dei suoi indios ai bianchi in materia di anziani non autosufficienti.
Una premessa è indispensabile. Se nei giorni scorsi abbiamo chiesto chiarimenti sulla pratica odierna dell’infanticidio presso alcuni popoli amazzonici, non è certo perché “siamo contro gli indios”. Ognuno è nato dove la Provvidenza ha voluto. Noi abbiamo avuto quel che è indubbiamente un privilegio, se consideriamo buona parte del resto del mondo: siamo nati all’ospedale San Giovanni di Bellinzona. Se “colà dove si puote ciò che si vuole” avessero deciso altrimenti, saremmo nati in qualche altra parte dell’orbe terracqueo, magari nel mezzo di una foresta. Come è capitato a milioni di nativi della Panamazzonia. E avremmo avuto una vita completamente diversa.
Allora non abbiamo niente contro gli indios. Da ragazzi i loro parenti nordamericani ci sono stati anche simpatici; a volte tifavamo per i cow boys e le giubbe blu, altre volte per gli indiani, da Toro Seduto ad Alce Nero, alle immaginate seducenti squaw sedute in cerchio attorno al totem illuminato dal fuoco. Più tardi venne Mission e anche il racconto delle vicende luminose e tragiche delle reducciones gesuitiche tra gli indios guaranì ci ha sempre commosso.
Noi europei portiamo sulle spalle una storia costituita da tante luci, ma da altrettante ombre: per riandare solo al XX secolo, i massacri delle guerre mondiali, l’Holodomor ucraino, la Shoah, i lager, i gulag, gli orribili macelli nella ex Jugoslavia. Nessuno, giustamente, ci indica come popoli innocenti come chi abitava il Paradiso terrestre prima del peccato originale. Nessuno invita ad abbeverarsi alla nostra “saggezza ancestrale”, che è esistita solo in parte, perché per il resto è stata “malvagità ancestrale”.
Per gli indios è lo stesso. Bene e male nella loro storia si sono intersecati a seconda delle circostanze. Perciò, quando leggiamo nell’Instrumentum laboris del Sinodo pan-amazzonico un’esaltazione dei loro rapporti “armoniosi” con la natura e un richiamo insistito alla loro “saggezza ancestrale” di cui siamo invitati a servirci, non possiamo non pensare a una visione a dir poco superficiale, certo ideologica, molto poco storica della loro situazione esistenziale.
Come è noto a chi ci legge, martedì 8 ottobre abbiamo posto al cardinale Pedro Barreto (co-presidente del Sinodo e vice-presidente della Rete ecclesiale panamazzonica) una domanda sulla persistenza dell’infanticidio praticato ancora oggi in alcune tribù indie. Nella risposta il porporato peruviano ha detto di non aver mai sentito parlare di cose simili e ci ha vigorosamente invitato a documentare le nostre asserzioni. Cosa che abbiamo fatto e il señor cardenal è stato servito di barba e capelli. Notiamo anche che la risonanza della domanda è stata (e non esageriamo) mondiale, con riprese – oltre che cartacee italiane con La Verità e Libero – da tanti importanti blog cattolici non solo italiani, ma anche statunitensi, tedeschi, francesi, spagnoli e altri. E con perfino una risposta, il venerdì 11 ottobre, di Avvenire e della Commissione sinodale per l’informazione, che ha voluto mettere disposizione dell’intero universo giornalistico l’articolo (peraltro scombiccherato già a partire da titoli e sottotitoli) della voce dei vertici della Cei.
Monsignor Adriano Ciocca Vasino: i suoi indios, i bianchi, gli anziani non autosufficienti
A un settimana di distanza, nel briefing consueto del 15 ottobre in sala stampa vaticana, abbiamo posto un’altra domanda su un argomento, ahimè, analogo. Sabato 12 ottobre, sempre in sala stampa, c’era tra i relatori presenti anche monsignor Adriano Ciocca Vasino, settantenne prelato della diocesi brasiliana di Săo Félix. Il vescovo piemontese (di Borgosesia), già missionario fidei donum, è il successore del famoso vescovo-poeta-mistico-teologo novantunenne Pedro Casaldaliga, un profeta-combattente per la Teologia della liberazione e della lotta per i diritti degli indios. Ebbene, nel corso del briefing, interpellato (non da noi) sui rapporti con la cultura india, monsignor Ciocca Vasino ha detto che prima di tutto bisogna capirla per riuscire a intavolare un dialogo con essa. Continuiamo a guardare i nostri appunti. Il prelato di Săo Félix ha voluto fare un esempio: “I miei indios mi dicono che i bianchi sono crudeli, perché lasciano vivere i vecchi non autosufficienti. E così costringono lo spirito dei vecchi a restare incatenato al corpo. E lo spirito, incatenato, non può spalmare i suoi benefici sul resto della famiglia”.
Una domanda all’esperta di culture amazzoniche
Tra i relatori in sala stampa c’era Marcia Maria de Oliveira (ricopiamo le “credenziali”, maiuscole comprese), “Dottore in Società e culture Amazzoniche, post-grado in Società e frontiere, Esperta in Storia della Chiesa in Amazzonia” (Brasile). Ecco, abbiamo pensato, la persona giusta, con i giusti titoli per rispondere a un’altra nostra domanda. Infatti, dopo aver rievocato la questione dell’infanticidio di alcune tribù indie, le abbiamo chiesto che cosa pensasse dell’esempio, per noi “agghiacciante”, portato da monsignor Ciocca Vasino. Nella risposta, l’esperta ha cercato di volare, ma – appesantita forse dai troppi titoli – s’è schiantata metaforicamente sul tavolo della sala stampa. Che cosa ha detto la dottoressa Marcia?
“La questione culturale è estremamente complessa”.
Ci sono molte “variazioni” nelle diverse culture.
La questione è “delicata”. Bisogna fare molta attenzione, quando si affronta.
Il popolo degli Yamomani ad esempio comprende trentadue etnie diverse.
Gli indigeni hanno un rapporto molto forte con il sacro.
L’infanticidio si può vedere “da prospettive diverse”.
“Non ho seguito alcuna etnia che lo mette in pratica”.
Tra gli indios c’è “un controllo della natalità”; molto si basa “sulla sopravvivenza, sulla quantità di cibo disponibile, sull’alimentazione, sul fino a che punto un bambino o un anziano è in grado di seguire il gruppo nei suoi spostamenti”.
“Nella regione in cui opero – al confine tra Guyana, Suriname, Venezuela, Brasile – non c’è nessuna pratica studiata da me personalmente riguardo a questa questione specifica”. Da notare: studiata da me personalmente.
La valutazione su quanto detto dalla dottoressa Marcia la lasciamo a chi ci legge. E per oggi chiudiamo. Purtroppo non c’è da stare allegri.
Giuseppe Rusconi