Cari amici di Duc in altum, ho ricevuto da R.C.B. (Revisore dei Conti Bergogliani, pseudonimo dietro il quale si nasconde una persona bene informata) un articolo utile per capire perché sotto il profilo economico-finanziario, tra riforme bloccate, altre mai avvenute, inchieste e sospetti, la situazione in Vaticano sembra essere al collasso e non si vedono vie d’uscita.
A.M.V.
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Provo a spiegarmi in modo sintetico e semplice. Partiamo da un presupposto. Dove c’è molto bene il male cerca di penetrare per contrastarlo e i soldi sono una buona scusa e un ottimo mezzo. Dove ci sono molti soldi, tutti vorrebbero occuparsene, ovviamente sostenendo che lo fanno per il bene comune. A conferma di ciò, in Vaticano chi si occupa di soldi spesso ha scarsa competenza e si circonda di personaggi che, pur parlando di “spirito di servizio” per la Chiesa, si rivelano avidi.
È complesso spiegarlo e forse difficile crederlo, ma dietro le mura vaticane sembrano esserci più burocrati che santi. Non dovremmo esserne meravigliati visto che ne hanno parlato persino tre papi: da Leone XIII a Paolo VI a Benedetto XVI. E i pochi santi che ci sono sembrano bloccati dalla paura, sembrano conigli più che leoni. Lo aveva già spiegato a metà Ottocento il beato Rosmini nel libro denuncia Le cinque piaghe della Chiesa cattolica, che gli costò censura e sospensione. Ma le piaghe non sono mai state veramente guarite, anzi. Lo ha riconfermato recentemente monsignor Carlo Maria Viganò , guadagnandosi l’esilio, l’emarginazione, la diffamazione.
A moralizzare le finanze vaticane provò Benedetto XVI chiamando Ettore Gotti Tedeschi a presiedere lo Ior e il cardinale Attilio Nicora a presiedere l’organo di controllo finanziario (l’Aif), chiedendo loro di fare trasparenza in modo “esemplare”. Detto fatto, Gotti Tedeschi e Nicora, entrambi motivati e competenti, si misero all’opera, ma non appena il progetto di “trasparenza esemplare” (legge antiriciclaggio e sistemi di controllo) fu avviato seriamente, i due vennero bersagliati da fuochi amici e nemici, quindi isolati e fatti fuori.
Essendo il primo un intransigente banchiere e il secondo un intransigente sant’uomo, giurista ed esperto di finanza, agirono ciascuno secondo il proprio stile e le proprie competenze, ed entrambi, sia Gotti Tedeschi sia Nicora, dopo essere stati impallinati chiesero di far luce, ovvero che ci fosse un’indagine.
Benedetto XVI ordinò allora una commissione d’inchiesta (la famosa commissione formata dai cardinali Herranz, Tomko e De Giorgi) e il risultato fu che dopo pochi mesi il papa regnante annunciò niente meno che la rinuncia al pontificato.
Non si è mai potuto sapere che cosa realmente sia successo tra fine del 2011 e l’inizio del 2012, quando alcune persone all’interno della curia, aiutate da altre all’esterno, cambiarono la legge antiriciclaggio, nonché le procedure e il ruolo dell’autorità di controllo, e fecero tutto senza informare il papa e utilizzando sistemi di intimidazione mai visti.
E che cosa successe fino al febbraio 2013, fino alla rinuncia di papa Ratzinger? Benedetto passò al successore tutte le carte necessarie per capire, ma quelle carte probabilmente non furono mai lette. E infatti, anche se l’immagine che si è voluta dare all’esterno è stata quella del rigore, le cose sono progressivamente peggiorate.
Se i conti non tornano, se gli scandali si susseguono e non accennano a diminuire, chi potrà mai credere alle presunte riforme fatte o alla volontà di farle?
Dal marzo 2013 il nuovo papa, personalmente e direttamente, nomina i nuovi responsabili e organizza nuove strutture operative. Il primo nominato è il cardinale Pell, al quale il papa affida il ministero delle finanze. Pell dunque investiga e chiede analisi approfondite, ma anche lui, proprio come Gotti Tedeschi e a Nicora, finisce nel mirino di qualcuno: anche se le accuse di pedofilia contro di lui non stanno in pedi, viene fatto rientrare in Australia per essere processato e in tal modo è eliminato.
Ma non basta. Il nuovo presidente Ior (nominato nel 2013) viene dimesso dopo pochi mesi, e il nuovo vicedirettore generale dell’istituto è cacciato dopo un annetto insieme al responsabile del controllo dei conti, a sua volta allontanato e persino investigato e denunciato.
I titoli dei giornali filo-bergogliani spiegano queste vicende così: “Povero papa, non gli lasciano fare le riforme, questi cattivoni di catto-tradizionalisti…”, ma è proprio così?
Ho promesso di essere sintetico e dunque vado al sodo. Le istituzioni economiche e finanziarie della Santa Sede (Ior, Apsa, Segreteria di Stato, le fondazioni vaticane e della Santa Sede) possono operare come paradisi fiscali. Perché ciò non avvenga devono sottomettersi a leggi precise, garantite da procedure adeguate e sottoposte a un’autorità di controllo indipendente e qualificata. Nel caso nostro questa autorità è l’Aif , il cui direttore generale, guarda un po’, nei giorni scorsi è stato messo sotto inchiesta, nell’ambito di una vicenda che è anche costata il posto al comandante della gendarmeria Domenico Giani.
Ora vi invito a riflettere. Anche se si suppone che un’istituzione della Chiesa, in quanto tale, abbia ai suoi vertici persone con altissima etica personale, in grado di circondarsi di professionisti di altissima moralità, purtroppo la realtà è diversa. E l’attuale pontificato non fa eccezione. Anzi, come è stato scritto, il papa ha cercato di risanare le finanze facendole operare in “cliniche” svizzere, del Lussemburgo, del Liechtenstein. Cioè tornando ai vecchi metodi.
Arriviamo al dunque. L’attuale pontefice vuole davvero rendere la Chiesa esemplare sotto il profilo etico? I fatti, purtroppo, dicono di no. Noi oggi abbiamo la confusione, non l’efficienza. Il sospetto, non la trasparenza.
E come può una Chiesa, in queste condizioni, fare evangelizzazione? Si dice: vogliamo la Chiesa povera. Ma a parte il fatto che una Chiesa povera di risorse non può aiutare nessuno, qui c’è una povertà di credibilità.
A Napoli dicono: il pesce puzza dalla testa. Mi sembra una sintesi efficace.
Revisore dei Conti Bergogliani