Nell’archivio della segreteria di Stato c’è sicuramente il testo della prima telefonata che il Vaticano ricevette dopo la sparizione di Emanuela Orlandi, il 22 giugno 1983. Questo quanto ci ha detto ieri, nel corso di una lunga intervista, l’ex nunzio negli Usa Carlo Maria Viganò, che trentasei anni fa lavorava negli uffici della segreteria di Stato della Santa Sede e visse quei momenti drammatici. Dichiarazioni, quelle di monsignor Viganò, che hanno suscitato vasta eco e sulle quali interviene ora Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi.
Avvocato Sgrò, quale impressione ha tratto dalle dichiarazioni di monsignor Viganò?
Sua eccellenza monsignor Viganò aveva riferito anche a me, nella tarda primavera del 2018, nell’ambito delle attività difensive che stavo svolgendo, quanto lei ha scritto il 1 novembre nel suo blog. Mi aveva, tuttavia, chiesto di mantenere l’anonimato della fonte. Ritengo le sue dichiarazioni molto interessanti. Le ritenni interessanti sin da subito, infatti in un incontro con le autorità vaticane – seppur mantenendo l’anonimato della fonte, come mi era stato richiesto – chiesi verbalmente di approfondire la circostanza della telefonata giunta la sera stessa del rapimento di Emanuela alla sala stampa vaticana e trasmessa, poi, in segreteria di Stato. Da quell’incontro è passato più di un anno e non credo sia stata fatta la verifica da me richiesta. Sono contenta che monsignor Viganò abbia deciso di parlare pubblicamente e di liberare anche me dall’anonimato della fonte: la verifica dell’esistenza di quella telefonata è fondamentale, perché indirizza le indagini. Se appena qualche ora dopo la sparizione di Emanuela i presunti rapitori chiedono di parlare con la segreteria di Stato allora è evidente che l’interlocutore è la Santa Sede e non la famiglia Orlandi. Si tratta, peraltro, di una verifica ancora fattibile. Basta guardare l’Annuario pontificio del 1983 e si vedrà che alcune persone che lavoravano al tempo in segreteria di Stato sono ancora vive e con ruoli apicali. Perché non convocarle e chiedere loro lumi?
Monsignor Viganò parla di documenti che sono nell’archivio della segreteria di Stato e che sarebbero molto utili per le indagini, eppure non sono stati ancora resi noti. Perché questi silenzi?
Chiedo da anni di avere accesso al fascicolo su Emanuela in possesso della segreteria di Stato. Che esista un fascicolo è pacifico, oscuro è, invece, il contenuto. Credo che questo silenzio non potrà continuare a lungo. Come diceva il poeta Archiloco, “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Nonostante le mille furbizie con cui ci scontriamo, noi siamo fermi, inamovibili e centrati sul nostro obiettivo: trovare la verità su Emanuela.
Monsignor Viganò cita numerosi rappresentanti vaticani di primissimo livello che all’epoca della sparizione di Emanuela lavoravano nella segreteria di Stato. Che cosa vuole dire a questi esponenti della Santa Sede?
Che dicano la verità. Solo questo. Emanuela aveva appena quindici anni quando è scomparsa, si stava affacciando alla vita. Nel pozzo nero della sua scomparsa è finita anche la sua famiglia. Ercole Orlandi se n’è andato cercando la sua bambina; sua moglie, Maria Pezzano Orlandi, la cerca ancora. Emanuela la cercano anche Pietro, Natalina, Federica e Cristina Orlandi, i suoi fratelli. E anche tutti i suoi nipoti che non l’hanno mai conosciuta ma ne sentono parlare ogni giorno. Non smetteranno mai di cercarla, sia chiaro. E non c’è silenzio che potrà strapparla dal loro cuore.Faccio appello a chi ha coscienza: la verità rende liberi.
Circa la vicenda delle tombe nel camposanto teutonico, ci può dire qual è la situazione? Che cosa è stato trovato precisamente? Sono in corso analisi?
Siamo in attesa di conoscere come le autorità vaticane intendano procedere. Quando sapremo cosa avranno deciso di fare, avremo modo di commentare adeguatamente tutta la vicenda.
Lei, come legale della famiglia Orlandi, quali iniziative intende prendere a questo punto?
Tutte, nessun esclusa.
Aldo Maria Valli