Nel suo nuovo libro – Si fa sera e il giorno ormai volge al declino (Cantagalli, 400 pagine, 24,90 euro) – il cardinale Robert Sarah, rispondendo alle domande di Nicolas Diat, spazia a tutto campo sui principali temi che riguardano lo stato della fede cattolica e la situazione della Chiesa oggi. Con questo incipit: “Perché prendere ancora la parola? Nel mio ultimo libro (La forza del silenzio, ndr) vi invitavo al silenzio. Ma ora non posso più tacere. Non devo più tacere. I cristiani sono disorientati. Tutti i giorni ricevo da ogni parte richieste d’aiuto da chi non sa più che cosa credere. Ogni giorno, a Roma, ricevo sacerdoti scoraggiati e feriti. La Chiesa sperimenta la notte oscura. La avvolge e l’acceca il mistero d’iniquità”.
Il problema da cui parte Sarah per la sua analisi è quello degli abusi sessuali commessi da uomini consacrati, ma il cardinale inserisce questo dramma in una cornice più ampia: “La crisi che vivono il clero, la Chiesa e il mondo è radicalmente una crisi spirituale, una crisi della fede. Viviamo il mistero d’iniquità, il mistero del tradimento, il mistero di Giuda… La dottrina cattolica viene messa in dubbio… Certi teologi si divertono a decostruire i dogmi, a svuotare la morale del suo significato profondo”. Il relativismo domina incontrastato e giustifica tutto: nel clero “alcuni arrivano persino a rivendicare il diritto di esercitare comportamenti omosessuali”.
È vero che “i sacerdoti, i vescovi e i cardinali privi di morale non riusciranno mai a screditare la luminosa testimonianza di più di quattrocentomila sacerdoti sparsi per il mondo che, con quotidiana fedeltà, servono il Signore in santità e letizia”, ed è vero che “la Chiesa non verrà meno”, perché l’ha promesso il Signore. Tuttavia in questa fase “i cristiani tremano, vacillano, dubitano”. “La Chiesa muore perché i pastori hanno paura di parlare con verità e chiarezza”. “La Chiesa soffre, è calpestata e i suoi nemici sono al suo interno”.
Per rimediare a questa situazione il cardinale Sarah propone una ricetta in due punti: conversione personale e unità. La Chiesa ha bisogno di una profonda riforma, “e questa passa dalla nostra conversione”. Nostra, cioè di tutti, a tutti i livelli, dal papa all’ultimo dei fedeli. E poi l’unità, che è il contrario del settarismo. Un’unità che poggia su quattro pilastri: “La preghiera, la dottrina cattolica, l’amore verso Pietro e la carità reciproca”. Dunque no alle divisioni, sì alla carità fraterna. No a ogni tipo di annacquamento in materia di fede e dottrina, sì alla preghiera gli uni per gli altri, nella consapevolezza che la Chiesa non è nostra proprietà e la si può riformare solo se ci si mette al cospetto di Dio.
Come dicevo, sono tantissimi gli argomenti affrontati. Non potendoli documentare tutti, scelgo di puntare su un tema di grande attualità dopo il sinodo pan-amazzonico: il celibato dei preti.
“Sento spesso dire – afferma il cardinale – che si tratta semplicemente di una disciplina di carattere storico. Credo sia falso. Il celibato rivela l’essenza stessa del sacerdozio cristiano. Parlarne come di una realtà secondaria significa ferire tutti i sacerdoti del mondo. Sono intimamente persuaso che la relativizzazione della legge del celibato sacerdotale riduca il sacerdozio a una semplice funzione”.
Chi relativizza il celibato riduce il sacerdote a funzionario e il sacerdozio a un fare, mentre è un essere. Gesù ci ha insegnato che il vero sacerdote offre in sacrificio se stesso. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI l’hanno ribadito con fermezza. Sicché, sottolinea Sarah, non c’è spazio per le deroghe, nemmeno se limitate a una sola regione. “Fin da i primi secoli della Chiesa la legge della continenza e poi il celibato sono state considerate come di origine apostolica… Il celibato, il sacerdozio, la Croce e la verità sono realtà strettamente connesse in Gesù che è la pietra d’inciampo”.
Interpellato da Diat circa il sinodo pan-amazzonico, il cardinale si dice pieno di “sgomento” nel vedere che alcuni “vorrebbero creare un nuovo sacerdozio a misura umana”. L’Amazzonia manca di sacerdoti? Ebbene, il problema non sarà risolto ordinando uomini sposati, viri probati. La vera strada è suscitare vocazioni, il che può avvenire se si ritrova la via della fede. Ricorrere a uomini sposati per il sacerdozio vuol dire trattare l’Amazzonia con “disprezzo” e “umiliazione”, come se Dio in questa parte del mondo fosse incapace di chiamare giovani generosi e desiderosi di donarsi totalmente, anima e corpo, nel celibato consacrato. In definitiva, se si procederà sulla via della relativizzazione del celibato ci sarà una drammatica rottura con la tradizione della Chiesa latina. E a quel punto, si chiede Sarah, “chi può affermare in tutta onestà che un simile esperimento, con il rischio di snaturare il sacerdozio di Cristo, rimarrebbe contingentato alla sola Amazzonia?”.
“Che straordinaria prova di fede e di fiducia in Dio sarebbe una chiara riaffermazione della grandezza e della necessità del celibato sacerdotale!”. Senza contare che l’ordinazione di uomini sposati ha già fallito. Infatti “i protestanti, che accettano pastori sposati, soffrono parimenti la penuria di uomini votati a Dio”. Perché la soluzione non sta nell’escogitare provvedimenti umani, ma nel guardare a ciò che chiede Dio.
Anche l’idea di creare due classi di sacerdoti, una costituita da uomini sposati che dovrebbero limitarsi a dare i sacramenti e l’altra costituita invece da sacerdoti a pieno titolo, “è teologicamente assurda”. Essa infatti nasce, ancora una volta, da “una concezione funzionalista del sacerdozio, che mira a separare l’esercizio dei tre compiti sacerdotali, i tria munera” (santificare, insegnare, governare, ndr). L’unità dei tre compiti non può essere infranta, perché essi sono collegati in modo inscindibile. “Non capisco – commenta Sarah – come ci si possa abbandonare a tali regressioni teologiche. Ritengo che, con il pretesto di una sollecitudine pastorale nei confronti delle terre di missione povere di sacerdoti, certi teologi vogliano sperimentare le proprie ridicole e pericolose teorie”.
“Il celibato è un’anticipazione della vita eterna con Dio” e “le necessità pratiche non possono indurre gli uomini di Chiesa ad agire secondo una logica di convenienza”. Stiamo correndo il serio rischio di commettere “un tragico errore di cui poi la storia ci accuserebbe”.
Resta da capire come questo cardinale Sarah, difensore della fede e della dottrina, possa convivere con l’altro cardinale Sarah, quello che, nella sua veste di prefetto della Congregazione per il culto divino, abroga la festa della traslazione miracolosa della Santa Casa di Loreto, celebrata come festa liturgica da centinaia di anni; quello che, intervistato dal Corriere della sera, dice che “ogni Papa è giusto per il suo tempo”, che tra Benedetto XVI e Francesco c’è “una grande continuità” e che “chi è contro il Papa è ipso facto fuori dalla Chiesa”. Come se ricordare a Pietro quali sono i suoi doveri, a partire dal confermare i fratelli nella fede, equivalesse a schierarsi “contro il Papa”.
Aldo Maria Valli