Dopo il sinodo. Monsignor Carlo Maria Viganò a LifesiteNews
Eccellenza, come descriverebbe l’arco narrativo del sinodo? C’è un’immagine che lo riassume?
La navicella della Chiesa è in preda ad una tempesta furibonda. Per sedare la tempesta, quei successori degli apostoli che hanno cercato di lasciare Gesù a terra non avvedendosi più della Sua presenza si mettono ad invocare la Pachamama!
Ricordo la profezia di Gesù: “Vedrete l’abominio della desolazione… vi sarà una tribolazione grande, quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà” (Mt 24,15.21).
L’abominio di riti idolatrici ha fatto il suo ingresso nel Santuario di Dio dando luogo a una forma inedita di apostasia, i cui germi, attivi da lungo tempo, si stanno sviluppando con rinnovata efficacia. Il processo di mutazione interna della fede, che serpeggia nella Chiesa cattolica da alcuni decenni, ha conosciuto con questo sinodo una drammatica accelerazione verso la fondazione di un nuovo credo, compendiato da un nuovo culto. In nome dell’inculturazione, elementi pagani stanno infestando il culto divino per trasformarlo in un culto idolatrico.
Qual è, secondo lei, la parte più preoccupante o problematica del documento finale?
La strategia di tutta l’operazione sinodo per l’Amazzonia è l’inganno, l’arma preferita del demonio: dire mezze verità per ottenere un fine perverso. Con la scusa della scarsità di sacerdoti bisogna aprire ai sacerdoti sposati, al diaconato delle donne, per distruggere il celibato, prima in Amazzonia e poi in tutta la Chiesa. In quale continente la prima evangelizzazione della Chiesa cattolica è mai stata portata avanti da preti sposati? Le missioni in Africa, Asia, America Latina sono state promosse dalla Chiesa latina, in minima parte dalle Chiese orientali con un clero uxorato.
Il documento finale di questa assemblea vergognosamente manipolata, la cui agenda e i cui esiti sono stati capillarmente pianificati da lungo tempo, colpisce frontalmente l’edificio divino della Chiesa, attaccando la santità del sacerdozio cattolico, spingendo all’abolizione del celibato ecclesiastico e al diaconato femminile.
Cosa ha rivelato la saga di Pachamama? E cosa si dovrebbe fare in risposta?
Ad Abu Dhabi papa Bergoglio ha sottoscritto che Dio ha voluto tutte le religioni. Nonostante la correzione fraterna offertagli di persona e per iscritto dal vescovo Atanasio Schneider, papa Bergoglio ha disposto che la sua dichiarazione eretica fosse insegnata nelle università pontificie e che venisse creata una commissione apposita per diffondere questo grave errore dottrinale. Coerentemente con questa aberrante dottrina non fa meraviglia che anche il paganesimo, l’idolatria, vada inclusa fra le religioni volute da Dio. Il papa ce lo ha mostrato e l’ha attuato personalmente, profanando i giardini vaticani, la chiesa di Santa Maria in Traspontina, dissacrando la stessa basilica di San Pietro e la Santa Messa di chiusura del sinodo, collocando sull’altare della Confessione quella “piantina” idolatrica strettamente collegata con la Pachamama.
Secondo la tradizione della Chiesa, Santa Maria in Traspontina e la stessa basilica di San Pietro devono essere riconsacrate attese le esecrabili profanazioni idolatriche che in esse sono state commesse. La saga della Pachamama ha rivelato una violazione palese e gravissima del primo comandamento nonché la deriva idolatrica della “Chiesa dal volto amazzonico”. Quel rito, avvenuto nel cuore della cristianità, presenziato da Bergoglio, assume la valenza di rito iniziatico della nuova religione. Il culto tributato alla Pachamama è il frutto avvelenato di una “inculturazione” a qualsiasi prezzo, ed espressione fanatica della “Teologia india”. Il sinodo ha offerto una rampa di lancio per questa nuova Chiesa sincretista, neopagana, dedita al culto della Madre Terra, al mito naturalista del “buon selvaggio”, alla denuncia del modello occidentale e dello stile di vita delle società progredite. L’idolatria suggella l’apostasia: è il frutto del rinnegamento della vera fede; nasce da una sfiducia nei confronti di Dio per degenerare in protesta e ribellione.
Ha scritto il padre Serafino Lanzetta: “Adorare un idolo è adorare se stessi al posto di Dio… è adorare l’anti-dio che seduce e separa da Dio, il diavolo, come si vede chiaramente dalle parole di Gesù al diavolo tentatore nel deserto (cf. Mt 4,8-10). L’uomo non può non adorare, deve però scegliere chi. Tollerando la presenza degli idoli – le Pachamama nel nostro contesto odierno – accanto alla fede, si dice che in fondo la religione è ciò che appaga i desideri dell’uomo. Gli idoli sono sempre avvincenti perché si adora ciò che si vuole e soprattutto non si hanno troppi grattacapi morali. Anzi, sono per lo più la sublimazione di tutti gli istinti umani. Il vero grattacapo però si ha quando la corruzione morale dilaga e infesta la Chiesa. Un abbandono di Dio all’impurità per essersi prostituiti ad altri dei, per aver scambiato la verità di Dio con la menzogna adorando e servendo le creature anziché il Creatore (cf. Rm 1, 24-25). Sembra proprio che San Paolo parli a noi uomini d’oggi. È il collasso dogmatico e morale la radice di questa triste parabola”.
Non possiamo rimanere indifferenti di fronte agli atti idolatrici a cui abbiamo assistito attoniti. Questi assalti contro la santità della Chiesa nostra Madre reclamano da parte nostra una giusta e generosa riparazione. Urge riscoprire il senso della preghiera e della penitenza riparatrice, del digiuno, dei “piccoli sacrifici, dei fioretti”, e soprattutto dell’adorazione silenziosa e prolungata davanti al Santissimo Sacramento.
Imploriamo il Signore affinché ritorni a parlare al cuore della sua Sposa amata, attirandola nuovamente a sé nella grazia del primo ed irrevocabile amore, dopo aver errato per essersi resa al mondo e alle sue prostituzioni.
Che cosa ci ha mostrato il Sinodo amazzonico circa la natura della sinodalità?
La Chiesa non è una democrazia, ma il sinodo dei Vescovi, da quando Paolo VI lo istituì con il motu proprio Apostolica sollicitudo il 15 settembre 1965, ha sempre trattato problemi riguardanti la Chiesa universale, con diritto a parteciparvi di vescovi rappresentanti di tutte le Conferenze episcopali del mondo. Il sinodo per l’Amazzonia non ha rispettato questo criterio.
La Chiesa in Amazzonia ha certamente grossi problemi propri che quindi devono essere affrontati sul piano locale. Per risolverli sarebbe stato sufficiente che i vescovi latino-americani avessero seguito le raccomandazioni che papa Benedetto XVI fece loro in occasione della sua visita ad Aparecida nel 2007. Non lo hanno fatto. Anzi molti di loro hanno permesso, se non promosso, per decenni che i seguaci della Teologia della liberazione e delle ideologie di origine in gran parte germanica, con i gesuiti in prima linea, continuassero a rifiutarsi di annunciare Cristo unico Salvatore.
“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci” (Mt. 7, 15). Una situazione fallimentare quella di una parte della Chiesa in Amazzonia, anche per quei nunzi apostolici in Brasile, come l’attuale segretario generale del sinodo dei Vescovi, che hanno proposto candidati all’episcopato come quelli che abbiamo visto nell’attuale sinodo per l’Amazzonia. Invece di un sinodo locale, con il sinodo a Roma, invitando vescovi selezionati fra quelli più ciechi per guidare altri ciechi, si è cercato di esportare il contagio alla Chiesa universale.
Papa Francesco fa un uso contraddittorio e assai poco sinodale della sinodalità! “Sinodalità” è uno dei “mantra” dell’attuale pontificato, la soluzione magica a tutti i problemi che attanagliano la vita della Chiesa. La tanto conclamata “conversione sinodale” ha soppiantato la conversione a Cristo. Proprio per questo la sinodalità non è la soluzione bensì il problema.
Inoltre papa Francesco sembra concepire la sinodalità a senso unico: gli attori, i contenuti e i risultati sono previsti e orientati in maniera mirata e univoca. L’istituzione sinodale ne risulta gravemente delegittimata, minando l’adesione credente dei fedeli.
Si ha l’impressione che lo strumento sinodale venga impugnato e maneggiato per affrancarsi dalla Tradizione e da quanto la Chiesa ha sempre insegnato. Come può esserci sinodalità dove non c’è fedeltà assoluta alla dottrina?
Parlando all’Angelus dell’assise appena conclusasi, Francesco ha affermato: “Abbiamo camminato guardandoci negli occhi e ascoltandoci, con sincerità, senza nascondere le difficoltà”. Queste parole evocano una sinodalità esercitata dal basso, e non a partire da Cristo Signore e dall’ascolto della sua eterna Verità, una sinodalità di natura sociologica e mondana, funzionale a un progetto meramente umano, ideologico.
Ha qualche riflessione da fare su come l’apparato mediatico vaticano ha gestito il Sinodo? I critici dicono che ha perso ogni credibilità.
Durante lo svolgimento del sinodo abbiamo assistito a una gestione della comunicazione in stile sovietico, con l’imposizione di una “versione ufficiale” che quasi mai coincideva con la realtà. Quando l’evidenza della menzogna o dell’ambiguità è stata messa in luce da tanti coraggiosi giornalisti si è negato o gridato al complotto.
Vesti stracciate, fino alla denuncia, per le dee madri Pachamama gettate nel Tevere limaccioso! E i soliti epiteti: cattolici conservatori e fanatici, retrogradi che non credono nel dialogo, gente che ignora la storia stessa della Chiesa, secondo l’editoriale apparso su Vatican News, con tanto di citazione del santo cardinale Newman a favore delle sventurate statuette. Se non che la citazione newmaniana, secondo cui gli elementi di origine pagana sono santificati dalla loro adozione nella Chiesa, non solo testimonia la malafede di chi l’ha fatta ma si ritorce contro lo stesso. Essa infatti pone in evidenza la sostanziale differenza tra la sapiente prassi della Chiesa di Cristo e l’apostasia modernista. La Chiesa romana infatti, istituita per la distruzione della tirannide degli idoli demoniaci (pensiamo all’abbattimento dei templi di Apollo per mano di san Benedetto o della quercia sacra per mano di san Bonifacio) e la instaurazione del regno di Cristo, assume le forme dell’antica religione pagana e le battezza. I nuovi modernisti, invece, che credono che Dio vuole positivamente la diversità delle religioni, si consegnano allegramente al sincretismo e all’idolatria.
Che cosa è stato messo a rischio o minacciato dal Sinodo amazzonico, in particolare per la Chiesa e la sua fede?
Il sinodo per l’Amazzonia si iscrive in un processo che mira niente meno che a cambiare la Chiesa. Il pontificato di papa Francesco è costellato di gesti clamorosi volti a scardinare dottrine, pratiche e strutture finora ritenute consustanziali alla Chiesa cattolica. Egli stesso ha definito questa linea come un “cambio di paradigma”, cioè una netta cesura con la Chiesa che lo ha preceduto.
Con il sinodo amazzonico è spuntata all’orizzonte l’utopia di una nuova chiesa tribalista ed ecologista, vecchio progetto di quel progressismo latino-americano, già fronteggiato da Giovanni Paolo II e dall’allora cardinale Ratzinger, mai realmente debellato, ed ora promosso dal vertice della gerarchia cattolica. Con questo sinodo si vuole procedere alla definitiva consacrazione della teologia della liberazione nella sua versione “verde” e “tribale. Con questo sinodo, come già in altre occasioni, la Chiesa cattolica appare allineata alle strategie che dominano la scena mondialista, supportate dai poteri forti e dalla grande finanza: strategie radicalmente antiumane e intrinsecamente anticristiane, la cui agenda comprende altresì la promozione dell’aborto, l’ideologia gender, l’omosessualismo e la teoria del riscaldamento globale antropico assunta come un dogma.
Per tutti noi cattolici il panorama nella Santa Chiesa si sta facendo ogni giorno più oscuro. L’offensiva progressista in atto lascia presagire una vera rivoluzione, non solo quanto al modo di intendere la Chiesa, ma anche quanto ai riflessi apocalittici che emana per tutto l’ordine mondiale. Con profonda tristezza, vediamo l’attuale pontificato contraddistinto da fatti inusitati, comportamenti francamente sconcertanti e dichiarazioni in contrasto con la dottrina tradizionale, che seminano nelle anime un dubbio generalizzato su ciò che è la Chiesa cattolica, su quali sono i suoi principi veri ed immutabili. Ci sentiamo in preda a un caos religioso di dimensioni gigantesche. Se questo piano satanico avrà successo, i cattolici che vi aderiranno di fatto cambieranno religione e l’immenso gregge di Nostro Signore Gesù Cristo si ridurrà a una minoranza. Questa minoranza probabilmente avrà molto da soffrire. Ma sarà sostenuta dalla promessa di Nostro Signore che le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa, e con Lui vincerà nel trionfo del Cuore Immacolato di Maria promesso dalla Madonna a Fatima.
Secondo lei gli organizzatori del sinodo che cos’hanno realizzato dal loro punto di vista? Quali progressi hanno fatto in base alla loro agenda?
Gli organizzatori e protagonisti del sinodo hanno certamente raggiunto uno dei loro obbiettivi: rendere la Chiesa più amazzonica e l’Amazzonia meno cattolica. Il paradigma amazzonico, pertanto, non costituisce il termine del processo di trasformazione a cui mira l’azione della cosiddetta pastorale-rivoluzionaria promossa dall’attuale magistero papale. Esso funge da passerella per traghettare quello che resta dell’edificio cattolico verso una indistinta Religione Universale. Il paradigma amazzonico, con le sue componenti di venerazione panteistica della Madre Terra e di interconnessione utopica tra tutti gli elementi della natura dovrebbe consentire, secondo le speculazioni teologiche elaborate in area germanica, il superamento della religione cattolica tradizionale verso un Pantheon mondialista e apolide. Il recente sinodo ha operato con successo nel senso della creazione di una Chiesa amazzonica, costituita cioè da un insieme di credenze, di culti, di pratiche pagano-sacramentali, di liturgie inculturate in comunione con la Natura, con tanto di clero indio uxorato, in prospettiva anche femminile. Un progresso aberrante davvero significativo nell’agenda della “Chiesa in uscita” affaccendata nel processo della Grande Sostituzione del cattolicesimo con un’altra religione, quella che glorifica l’uomo al posto di Dio.
Lei è l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti. Che ne direbbe se lettere di laici inondassero le nunziature vaticane?
“Il Regno di Dio soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11, 12). Come ci invita a fare il professor de Mattei, “bisogna militarizzare i cuori e trasformarli in una Acies ordinata. La Chiesa non ha paura dei suoi nemici e vince sempre quando i cristiani combattono. I nostri avversari sono uniti dall’odio verso il bene, noi dobbiamo unirci nell’amore al bene e alla verità”.
Questa non è una battaglia ordinaria ma una guerra! È urgente dare compattezza e visibilità alla resistenza cattolica di fronte al processo di autodemolizione della Chiesa, superando anche “le tante incomprensioni che spesso dividono il campo dei buoni e cercare tra queste forze una unità di intenti e di azione, pur mantenendo le diverse legittime identità” (de Mattei).
In quest’ora gravissima i laici sono certamente la punta di diamante della resistenza. Il loro coraggio deve interpellare noi pastori e spronarci a uscire allo scoperto, con più coraggio e determinazione, a difesa della Sposa di Cristo. Il monito di santa Caterina da Siena è rivolto proprio a noi pastori: “Aprite gli occhi e guardate la perversità della morte che è venuta nel mondo, e singolarmente nel Corpo della Santa Chiesa. Ahimè, scoppi il cuore e l’anima vostra a vedere tante offese di Dio! Ahimè, basta tacere! Gridate con centomila lingue. Vedo che, a causa del tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita”.
C’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?
Lasciamo la parola a santa Brigida di Svezia, compatrona d’Europa.
Il Padre eterno rivolse le seguenti parole all’intera corte celeste che lo ascoltava: «Davanti a voi mi lamento: Ho dato mia Figlia la Chiesa, a un uomo che l’affligge oltre misura e la tiene miseramente in ceppi».
Suo Figlio gli rispose: «È Colei che ho riscattato con il mio Sangue e che ho sposato con il mio Amore; ma ora mi è stata rapita con la violenza».
Il Padre esclamò: «Figlio mio, condivido il tuo lamento, la tua parola è la mia, le tue opere sono le mie. Sei in me ed io in te in modo inseparabile. Sia fatta la tua volontà».
Poi la Madre di Dio disse: «Sei mio Dio e mio Signore e il mio corpo ha custodito le membra di tuo Figlio. Ora, non ti ho rifiutato nulla sulla terra: abbi dunque pietà di tua Figlia – la Chiesa – per amore delle mie preghiere».
Dio Padre replicò: «Poiché non mi hai rifiutato niente sulla terra, non voglio rifiutarti niente in cielo. Sia fatta la tua volontà».
Poi parlarono gli angeli e dissero: «Sei nostro Dio e nostro Signore, in te riceviamo ogni forma di bene e non abbiamo bisogno che di te. Quando ti scegliesti questa Sposa, ci complimentammo tutti; ma ora siamo giustamente avviliti, in quanto è stata consegnata a un malvagio che l’umilia miseramente e la copre di ingiurie. Per questo abbi misericordia di lei: la sua miseria è immensa, e non c’è nessuno che la consoli e la liberi se non Tu, Signore, Dio onnipotente!»
E disse agli angeli: «Voi siete miei amici e la fiamma del vostro amore brucia nel mio cuore. Avrò misericordia di mia Figlia – la mia Chiesa – per amore delle vostre preghiere» (Rivelazioni, Libro I, 24).
Lasciamo parlare ancora Santa Brigida.
«Scoprii che se un papa si mostrasse incline ad autorizzare il matrimonio dei sacerdoti, trarrebbe un giudizio terribile; Dio lo colpirebbe con cecità e sordità;, non potrebbe dire altro, ne’ fare ne’ gustare dell’ordine soprannaturale; e inoltre, dopo la sua morte, la sua anima sarebbe gettata nelle profondità dell’inferno, per rimanervi eternamente in preda dei demon. Sì, anche se il santo papa Gregorio avesse stabilito questa legge, non avrebbe mai ottenuto misericordia davanti a Dio se non l’avesse umilmente ritirata prima di morire» (Rivelazioni, libro VII, 10).
Signore, abbi misericordia della tua Chiesa, per amore delle nostre preghiere e delle nostre afflizioni!
A cura di Diane Montagna