Due ex impiegate della scuola della cattedrale di Melbourne, in Australia, esprimono forti dubbi circa le accuse che hanno portato il cardinale George Pell in carcere con l’accusa di abusi sessuali.
Secondo quanto riferisce il National Catholic Register, le ex impiegate, Lil Sinozic e Jean Cornish, si sono anche dichiarate deluse per il fatto che il collegio di difesa di Pell non le abbia chiamate come testimoni nel processo.
Pell, settantotto anni, è stato condannato perché nel 1996, quando era arcivescovo di Melbourne, avrebbe costretto due adolescenti, membri del coro, a commettere atti sessuali, subito dopo la celebrazione della messa domenicale, nella sacrestia della Cattedrale di San Patrizio, e per aver accarezzato uno dei ragazzi in un corridoio nel 1997.
Pell si è sempre dichiarato innocente affermando che i crimini di cui è accusato sarebbero stati “semplicemente impossibili”, e ora le due impiegate sostengono la stessa tesi.
Lil Sinozic, ex insegnante e assistente di monsignor Charles Portelli, all’epoca maestro delle cerimonie di Pell, afferma che le circostanze di cui hanno parlato gli accusatori sono incredibili. “So per certo che ciò che hanno descritto non sarebbe potuto accadere, vista la situazione in sacrestia dopo la messa. Non ci sarebbe stato né modo né tempo per commettere gli abusi. Non a caso nessuno ha visto o sentito nulla. Non so proprio perché la giuria sia stata indotta a credere diversamente”.
Pell è stato condannato l’11 dicembre 2018 sulla base delle accuse di una delle due presunte vittime. L’altro giovane è morto nel 2014 e non ha potuto testimoniare, ma nel 2001 aveva detto a sua madre che non c’era stato alcun abuso.
Lil Sinozic ricorda: “Normalmente l’arcivescovo usciva dalla parte anteriore della cattedrale e passava almeno mezz’ora, se non un’ora, a incontrare e salutare la gente. Soprattutto a quel tempo, quando era arcivescovo da poco, tutti erano curiosi e volevano conoscerlo. Quindi trascorreva parecchio tempo davanti alla chiesa chiacchierando con le persone. E poi era sempre seguito dal suo entourage e la sacrestia, come si può immaginare, era pienissima”.
Pur dichiarando che i suoi ricordi non sono molto precisi, Jean Cornish conferma l’opinione della collega: per l’arcivescovo sarebbe stato impossibile compiere gli atti di cui è accusato, perché non rimase mai da solo.
Ex preside della scuola cattolica Good Shepherd di Melbourne, Jean Cornish nel 1996 era stata incaricata da Pell di essere capo staff in vista delle celebrazioni per il centenario della cattedrale di San Patrizio, e tutte le domeniche aveva modo di osservare i movimenti delle persone dalla sacrestia verso la cattedrale e viceversa. La porta principale, dichiara, era sempre aperta, l’area in cui sarebbero avvenuti gli abusi era molto affollata e l’arcivescovo non era mai solo, ma sempre attorniato da numerose persone. “George è troppo intelligente per aver fatto qualcosa di così stupido. Perché avrebbe dovuto fare qualcosa del genere, sapendo che chiunque avrebbe potuto vederlo?”. Anche ammettendo che l’arcivescovo abbia cercato di commettere abusi, le vittime avrebbero potuto chiedere aiuto a chiunque. Inoltre, si chiede Lil Sinozic, perché i due accusatori non hanno detto nulla per ventidue anni?
La Corte d’appello di Victoria ha confermato la condanna di Pell l’estate scorsa e il cardinale è tornato subito in carcere. Le autorità hanno stabilito che Pell avrà diritto di chiedere la libertà condizionale dopo aver scontato almeno tre anni e otto mesi della pena di sei anni.
Sia Jean Cornish sia Lil Sinozic hanno riferito di essere state contattate dall’avvocato del cardinale Pell prima del processo, ma non sono state più richiamate. “Forse – dice Lil – ha pensato che la nostra testimonianza non fosse necessaria, eppure secondo me avrebbe dato alla giuria una prospettiva diversa. Siamo due insegnanti e siamo in grado di capire se qualcosa non va”, tanto più che Jean, in quanto preside di una scuola con mille alunni, aveva già affrontato un caso di pedofilia.
Alla sentenza d’appello la giuria si è divisa: due su tre i giudici che si sono pronunciati per la conferma della condanna di primo grado, il che dimostra che il collegio giudicante non era completamente convinto delle tesi sostenute dal pubblico ministero. Mentre due giudici hanno stabilito che la testimonianza della sola vittima di Pell ancora in vita va considerata credibile, il terzo giudice, Mark Weinberg, ex capo della pubblica accusa federale, si è opposto al verdetto perché a suo avviso non soddisfa il principio in base al quale una persona può essere condannata solo se le prove ne dimostrano la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. In quanto affermato dal testimone, ha spiegato Weinberg, c’erano incoerenze e discrepanze e alcune risposte semplicemente erano insensate. Nonostante ciò, ha aggiunto, la condanna è stata decisa solo sulla base della testimonianza di questo testimone, ignorando almeno una ventina di testimonianze di segno opposto.
Il cardinale Pell è in isolamento, non è autorizzato a celebrare la messa e di recente ha ottenuto di poter lavorare per diserbare un cortile.
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Intanto, in base a rivelazioni della Catholic News Agency, che cita come fonti alcuni funzionari vaticani, una richiesta di prestito di cinquanta milioni di euro per garantire l’acquisto di un ospedale in bancarotta fu respinta dal cardinale George Pell e dallo IOR, prima che fosse approvata dall’APSA, l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, anche se il prestito violava gli accordi regolatori internazionali.
Secondo funzionari vaticani citati dalla CNA, alla fine del 2014 due cardinali chiesero che lo IOR concedesse un prestito di cinquanta milioni di euro a un partenariato tra la Segreteria di Stato della Santa Sede e un ordine religioso, che intendeva acquistare un ospedale italiano fallito.
L’ospedale, l’Istituto dermopatico dell’Immacolata (IDI), era di proprietà della Congregazione dei figli dell’Immacolata Concezione, ordine religioso che aveva costituito una partenrship con la Segreteria di Stato, in un complicato piano per liberarsi dagli enormi debiti dell’ospedale
Il cardinale Angelo Becciu, allora arcivescovo, e il cardinale Giuseppe Versaldi, sostengono le fonti citate, furono entrambi coinvolti nel piano e chiesero il prestito allo Ior, secondo quanto riferisce la CNA.
La loro proposta di prestito fu però respinta nel 2015, quando il consiglio dello IOR stabilì che l’IDI non sarebbe mai stato in grado di rimborsare il prestito.
I funzionari dell’APSA e della Segreteria per l’economia hanno dichiarato alla CNA che Pell, a quel tempo incaricato da papa Francesco di riformare le finanze vaticane, era contrario al prestito. Era chiaro, disse, che la proposta sarebbe stata “un modo di buttare soldi”.
Dopo che la proposta fu respinta dallo IOR, fu fatta all’APSAuna richiesta per un prestito di cinquanta milioni di euro. “Erano disperati”, ha detto a CNA una fonte della Segreteria per l’economia.
Mentre il prestito IDI veniva preso in considerazione dall’APSA, l’ufficio di Pell, che aveva il controllo del portafoglio dell’Amministrazione, si rifiutò di firmare l’operazione. Ma la resistenza di Pell apparentemente non fu sufficiente per fermare il prestito.
Una fonte dell’APSA ha dichiarato alla CNA che l’accordo era “appassionatamente” sostenuto da Versaldi e Becciu. “La Segreteria per l’economia cercò di bloccare tutto, ma l’accordo andò comunque avanti”.
Funzionari vaticani hanno riferito che all’epoca Becciu era fortemente contrario agli sforzi di Pell in materia di trasparenza finanziaria e riforma.
Becciu fu anche il responsabile della cancellazione di una proposta di revisione contabile esterna da parte di PricewaterhouseCooper su tutte le finanze vaticane e si oppose all’intenzione del cardinale Pell di porre fine alla pratica di mantenere alcuni beni e fondi della Santa Sede “fuori dai libri contabili”.
Le stesse fonti della Segreteria per l’economia e dell’APSA hanno riferito che gli sforzi per rafforzare la trasparenza ebbero un ruolo decisivo nel causare l’allontanamento del primo revisore generale, Libero Milone, nel 2017.
Milone ha dichiarato di essere stato costretto a rassegnare le dimissioni sotto la minaccia di un procedimento giudiziario perché stava premendo per ottenere informazioni sulle centinaia di milioni di euro detenuti fuori dai libri contabili. “Alcune persone temevano che stessi per scoprire qualcosa che non avrei dovuto vedere”, ha detto Milone al Financial Times il 2 novembre. “Ci stavamo avvicinando troppo a informazioni che dovevano restare segrete e hanno inventato una situazione per buttarmi fuori”.
A.M.V.