Ma guarda un po’: atei che rimpiangono Dio
Se soltanto pochi anni fa sembrava che l’aggressivo movimento dei “nuovi atei”, guidato da un saggista come Christopher Hitchens e un biologo come Richard Dawkins, avesse nelle sue mani il futuro, oggi la situazione è molto diversa e ci sono atei che incominciano a interrogarsi. In una società in cui uomini e donne vivono la propria vita sotto cieli vuoti e si aspettano di essere riciclati anziché risuscitati, non essendoci una solida base morale condivisa, come è possibile vivere insieme? E quale futuro ci aspetta?
Se un ateo come Hitchens sosteneva che la religione avvelena tutto, ecco che Douglas Murray, a sua volta ateo, suona l’allarme sul vuoto subentrato al crollo prima del cristianesimo e poi delle ideologie. Autore di The Strange Death of Europe e ora tornato in libreria con The Madness of Crowds, Murray constata che “in pubblico e in privato, le persone si comportano in modi sempre più irrazionali, febbrili, simili a branchi”. Un ritorno al tribalismo che è appunto il risultato della mancanza di grandi narrazioni in cui credere. “Tuttavia la natura detesta il vuoto. E le persone nelle ricche democrazie occidentali non potevano semplicemente rimanere le prime nella storia a non avere alcuna spiegazione su quello che stiamo facendo qui e nessuna storia con cui dare uno scopo alla propria vita”.
Murray, riferisce Jonathon Van Maren, che ha avuto l’autore ospite del suo Van Maren Show, “è convinto che il progetto ateo sia senza speranza”. In mancanza di una visione e di una risposta sulle grandi questioni, “potremmo essere costretti a riconoscere che il ritorno alla fede è la migliore opzione disponibile”.
“C’è una possibilità molto reale – osserva Murray – che anche il nostro moderno concetto di diritti umani, che si basa su fondamenta giudeo-cristiane, sia destinato a sopravvivere al cristianesimo solo per pochi anni. Tagliata fuori dalla fonte, la nostra concezione dei diritti umani può impoverirsi e morire molto rapidamente, lasciandoci a trafficare in un’oscurità fitta e impenetrabile”.
Abolite le basi cristiane, la società può sgretolarsi, come già stiamo vedendo. Non essendoci più nulla che ci tiene insieme, la prospettiva è il conflitto tribale.
“Molti atei ottimisti – osserva Van Maren – hanno creduto che una volta detronizzato ed eliminato Dio avremmo potuto vivere finalmente da adulti e andare avanti con il progetto utopico di creare una società basata sulla fiducia in noi stessi”. Sfortunatamente questi scettici, che “erano scettici su tutto tranne che sulla bontà dell’umanità”, hanno sbagliato previsione.
È proprio il senso di vuoto e di fallimento che sta portando “alcuni importanti atei ad ammettere a malincuore che forse il cristianesimo era più necessario di quanto pensassero”. Lo stesso Richard Dawkins, che nel 2015 sosteneva che i bambini dovrebbero essere protetti dalle opinioni religiose dei loro genitori, soltanto tre anni dopo ha messo in luce il rischio che la “benevola religione cristiana” potrebbe essere sostituita da qualcosa di decisamente meno benevolo. E altri atei e agnostici, da Bill Maher ad Ayaan Hirsi Ali, hanno fatto eco alle preoccupazioni di Dawkins. Un cambiamento radicale che dovrebbe interpellare anche i cristiani.
La fine della religione, che fino a pochi anni fa era il suo obiettivo dichiarato, sarebbe in realtà qualcosa di terribile, ammette ora Dawkinss, perché “darebbe alla gente la licenza di fare cose davvero brutte”. Infatti, “le persone possono sentirsi libere di fare cose cattive quando avvertono che Dio non le sta più osservando”.
“Che sia irrazionale o no, purtroppo sembra plausibile che, se qualcuno crede sinceramente in un Dio che giudica ogni sua mossa, è probabile che questo qualcuno sia buono”, ha confessato a malincuore Dawkins nel suo ultimo libro, Outgrowing God.
Non che Dawkins sia diventato credente. Però, scrive Van Maren, come molti altri intellettuali atei si sta rendendo conto che la fede in Dio rende spesso le persone migliori e il mondo più vivibile.
Aldo Maria Valli