Celibato dei preti/ A colloquio con monsignor Bonivento. “Ecco perché la continenza è dovere inderogabile”
Gli immancabili maestrini mi hanno accusato di fuorviare i lettori perché ho pubblicato l’intervento di una lettrice fieramente contraria ai preti sposati. “Valli dovrebbe sapere – hanno scritto i maestrini – che non si sta parlando dell’ipotesi di consentire ai preti di sposarsi, ma della possibilità di conferire l’ordine sacro a uomini sposati”.
Ovviamente so bene che in seguito al molto discusso sinodo amazzonico si sta facendo più vicina l’ipotesi non di permettere a tutti i preti di sposarsi, bensì di ordinare, in certe aree, uomini sposati, anzi anziani sposati (poveri anziani!). Ma sappiamo come vanno queste cose. E dovrebbero saperlo anche i maestrini che pretendono di darmi lezioni. Dopo che è stato aperto un pertugio, da esso può passare di tutto. Nel caso specifico, si tratta di un pertugio amazzonico, che sembra lontano da noi, ma non lo è. Serviva un pretesto, e di solito il pretesto arriva da un caso limite.
La vera domanda da porsi è la seguente: una deroga al celibato, e dunque alla continenza, nella Chiesa cattolica latina avrebbe un fondamento dottrinale o sarebbe una inaccettabile forzatura?
La risposta è che sarebbe una inaccettabile forzatura. E per spiegarmi mi rifaccio a quello che ritengo il migliore studio in circolazione.
Si tratta del libro L’itinerario conciliare del celibato ecclesiastico (Cantagalli, 272 pagine, 19 euro), scritto da un vescovo emerito, Cesare Bonivento, che per tanti anni è stato missionario in una regione, la Papua Nuova Guinea, per molti versi assimilabile all’Amazzonia.
Eccoci dunque a colloquio con monsignor Bonivento, che abbiamo incontrato nella sede del Pime (pontificio istituto missioni estere) a Milano.
Eccellenza, qual è il fondamento del celibato sacerdotale?
Occorre naturalmente tornare a Gesù Cristo e considerare che Gesù ha unito il suo celibato al sacerdozio. Cristo unico sacerdote ha voluto vivere il suo sacerdozio con il celibato e nel celibato. Il che significa che diaconi, presbiteri e vescovi, essendo tutti partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo, sono tutti vincolati alla continenza.
Ma se Giovanni era celibe, Pietro era sposato. Non siamo dunque di fronte a una doppia possibilità, fin dagli apostoli?
Certamente. Ma a entrambi, sia a Giovanni sia a Pietro, così come a tutti gli altri apostoli, Gesù ha chiesto di abbandonare tutto. E tutto significa tutto, senza riserve. Il cuore del consacrato non può essere diviso. Paolo, nella lettera ai Corinzi, capitolo settimo, raccomanda ai coniugi: “Non rifiutatevi l’un l’altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera”. Quella che per i coniugi è una condizione temporanea diventa per il consacrato una condizione permanente. Dunque nel caso di diaconi, presbiteri e vescovi, la cui vita è preghiera continua, l’astensione deve essere totale. Non ci sono deroghe che tengano.
La Chiesa latina ha mai dispensato da questo impegno?
Mai. Già nel concilio di Elvira (anno 306 circa) fu stabilita la proibizione di stare assieme alle mogli per diaconi, presbiteri e vescovi. Il consacrato non ha alternative: o si astiene o lascia la moglie. In proposito in molti membri della Chiesa cattolica latina sembra esserci un incredibile vuoto di memoria. La tradizione apostolica non è mai stata cambiata. Ripeto: nessuna dispensa.
Eppure dopo il Concilio Vaticano II abbiamo avuto, e abbiamo, diaconi sposati che non praticano la continenza…
Esatto. E ciò è incomprensibile, soprattutto perché questo non è l’insegnamento del Vaticano II, e cioè della Lumen gentium, 29. La Chiesa non ha mai accettato i diaconi sposati senza vincolarli alla continenza, e i motivi li abbiamo appena esposti. Una delle scuse addotte è che la Lumen gentium ha istituito un nuovo tipo di diaconato. Il che non è assolutamente vero per due motivi: il Vaticano II ha solo restaurato il diaconato antico, e l’ordinazione diaconale è la stessa sia per i celibi sia per gli sposati. Paolo VI ha insegnato che diaconato e continenza sono connessi in modo inscindibile. Tanto è vero che il diacono sposato, per essere tale, deve chiedere il permesso della moglie. Significa che la moglie deve essere disposta a rinunciare a un suo diritto. Un’altra prova è che il diacono che diventa vedovo è inabile a un nuovo matrimonio in forza della disciplina tradizionale della Chiesa.
Nel suo libro lei scrive che la decisione ribadita dalla Chiesa al tempo del Concilio di Trento, ovvero quella di riservare il conferimento dei tre gradi dell’ordine sacro solo ai celibi, “è stata una decisione grande e altamente positiva per la vita della Chiesa e per la spiritualità sacerdotale”. Tuttavia il Concilio Vaticano II ha introdotto un’eccezione per i diaconi.
Sì, quella decisione è stata presa dal Concilio di Trento per motivi pastorali. E, come scrivo nel libro, se un domani la Chiesa sentisse la necessità, per gravi motivi pastorali, di ammettere uomini sposati al presbiterato, lo potrebbe fare. Però dev’essere chiaro che, in questo caso, l’ammissione degli sposati al sacramento dell’ordine richiede di essere fatta con l’obbligo della continenza. Perché la continenza non ha le sue radici in una semplice disciplina ecclesiale, ma, come si diceva poc’anzi, nella natura stessa del sacerdozio di Cristo, della quale il presbitero è reso partecipe con l’ordinazione sacra.
Insomma, la Chiesa non ha il potere di abolire celibato e continenza.
Esatto. Stando alla tradizione della Chiesa, all’insegnamento del Vaticano II e a quello dei papi del dopo concilio, bisogna concludere che la continenza sacerdotale è legata strettissimamente all’ordine sacro. Per cui chi è chiamato all’ordine sacro da celibe deve rimanere celibe per tutta la vita, e chi è chiamato all’ordine sacro da sposato deve promettere di astenersi dal debito coniugale per tutta la vita. In merito la Chiesa deve continuare a fare quello che ha fatto Gesù. Gesù ha vissuto sempre il suo sacerdozio con il celibato e ha chiesto ai suoi apostoli di seguirlo su questa strada. È d’obbligo quindi concludere che questa è la via della Chiesa. Dunque chi riceve gli ordini sacri deve seguire l’esempio di Cristo.
Monsignor Bonivento, ciò che lei dice è chiaro. Tuttavia, come abbiamo visto nel recente sinodo, non manca chi sostiene che il superamento della legge del celibato sacerdotale risolverebbe molti problemi, primo fra tutti quello della scarsità del clero, e permetterebbe anche una maggiore inculturazione della fede in talune regioni, come appunto in Amazzonia. È così?
Questa è un’opinione diffusa, ma senza fondamento. Le Chiese che permettono ai loro ministri di sposarsi non hanno affatto risolto il problema della scarsità delle vocazioni. Anzi, nella Papua Nuova Guinea, dove, dopo il Concilio Vaticano II, i vescovi misero in pratica la proposta dei diaconi sposati, sono sorti tantissimi problemi e quell’esperienza si è del tutto esaurita. Quanto poi all’idea secondo cui in Amazzonia bisognerebbe avere preti sposati perché quei popoli non colgono il significato del celibato, si tratta di una totale assurdità. Ed è anche una gravissima offesa all’onnipotenza della grazia divina. In Africa, Asia e Oceania, dove pure c’erano remore psicologiche contro il celibato, la grazia ha operato alla grande e ora quelle Chiese esportano sacerdoti in altre aree del mondo.
Ma qualcuno dice che la deroga al celibato sarebbe solo a livello locale e non avrebbe valore universale…
Ripeto: rispetto al celibato e alla continenza, non c’è possibilità di deroga alcuna. E poi lo sappiamo: una volta aperto un piccolo varco, prima o dopo quella possibilità sarà estesa anche altrove. E pensiamo al disorientamento che tutto ciò determinerebbe nei seminaristi, indotti a ritenere che il celibato non sia un obbligo connesso agli ordini sacri. Ma le conseguenze sarebbero devastanti anche per la credibilità del magistero della Chiesa. La continenza sacerdotale non è una mera norma disciplinare, ma è una vera conditio sine qua non per l’esercizio del ministero sacerdotale, come ci insegna lo stesso Vat. II. Ora, se questo insegnamento fosse abbandonato, tutti sarebbero indotti a pensare che la Chiesa cattolica può cambiare in ogni momento le sue dottrine fondamentali.
E che cosa risponde a chi dice che l’ammissione di uomini sposati è l’univa via per garantire l’Eucaristia a popolazioni che altrimenti, in mancanza di sacerdoti, non la ricevono quasi mai?
Rispondo che avere come traguardo l’Eucaristia frequente, quotidiana o settimanale, è un nobile ideale, ma in pratica non è stato raggiunto nemmeno dagli apostoli. E comunque non può essere perseguito a prezzo di un cambiamento ingiustificato della dottrina. L’obiettivo sarà raggiunto solo mediante un’evangelizzazione paziente e continua, fatta sull’esempio di Gesù, che ha sempre voluto arricchire la sua predicazione sacerdotale, fino alla croce, con la testimonianza del suo celibato.
Aldo Maria Valli