Cari amici di Duc in altum, vi propongo un istruttivo contributo di Andrea Mondinelli.
***
Per capire la situazione in cui siamo immersi è necessario comprendere come il modernismo si sia insinuato nella Chiesa, nonostante il giuramento antimodernista.
Rileggendo l’ottimo libro di Roberto de Mattei Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, mi sono imbattuto nel capitolo dedicato alla Chiesa sotto Papa Pio XII. Cominciamo da questa notissima affermazione (1943) del più famoso modernista italiano, don Ernesto Bonaiuti: «Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo; ma è difficile. Hic opus, hic labor».
«Il culto esteriore – continua Bonaiuti – durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia ed il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice, più liberale, e questo più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo, ma un protestantesimo ortodosso, graduale e non violento; un protestantesimo che non distruggerà la continuità apostolica del ministero ecclesiastico, né l’essenza stessa del culto» [E. Bonaiuti, Il modernismo cattolico, Guanda, Modena 1943 pag. 128].
«Roma – aveva affermato il gesuita don George Tyrrell, modernista irlandese – non può essere distrutta in un giorno, ma bisogna farla cadere in polvere e in cenere in modo graduale e inoffensivo, allora noi avremo una nuova religione e un nuovo decalogo».
Certamente le parole di Bonaiuti e Tyrrell non lasciano spazio a dubbi o ad interpretazioni. San Pio X condannò il modernismo nell’enciclica Pascendi nel 1907. Molti pensarono che con la condanna di san Pio X la storia fosse chiusa. Nell’ottobre 1909 Loisy, padre del modernismo, riteneva dover parlare dei suoi compagni come dei «morti». Un mese prima egli ammetteva che il modernismo «è in piena ritirata e sarà presto annientato». Dall’altra sponda, lo scrittore tradizionalista Hillaire Belloc proclamava che «il colpo della Pascendi è stato mortale (…) Il modernismo è morto!». Tutt’altro, purtroppo!
Per niente pentiti, dopo la Pascendi i modernisti si nascosero ancor di più, formando ciò che Antonio Fogazzaro definì «massoneria cattolica». Nel romanzo teologico Il Santo, in realtà un libro programmatico, il senatore del Regno (simpatizzante del modernismo ma sottomessosi alla Pascendi), indicava ai confratelli la strategia da seguire per aggirare la condanna e continuare i lavori: «Noi vogliamo comunicare nel Cristo vivente quanti sentiamo ch’Egli prepara una lenta ma immensa trasformazione religiosa, la quale si opererà con sacrificio, con dolore, con divisione di cuori. (…) Comunicare, vogliamo, tutti, di ogni paese, ordinare la nostra azione. Una Massoneria Cattolica? Sì, la Massoneria delle Catacombe! (…)».
«Prima dunque di iniziare questa frammassoneria cattolica, io credo che vi converrebbe intendervi circa le riforme. Dirò di più; io credo che anche quando fosse fra voi un pienissimo accordo nelle idee, io non vi consiglierei di legarvi con un vincolo sensibile. La mia obbiezione è di una natura molto delicata. Voi pensate certo di poter navigare sicuri sott’acqua come pesci cauti, e non pensate che un occhio acuto di Sommo Pescatore o vice Pescatore vi può scoprire benissimo e un buon colpo di fiocina cogliere. Ora io non consiglierei mai ai pesci più fini, più saporiti, più ricercati, di legarsi insieme. Voi capite cosa può succedere quando uno è colto e tirato su. E, voi lo sapete bene, il grande Pescatore di Galilea metteva i pesciolini nel suo vivaio, ma il grande Pescatore di Roma li frigge».
Il primo a rendersene conto fu proprio il Papa, “l’occhio acuto del Sommo Pescatore” che vegliava. Nel 1910 san Pio X pubblicava il motu proprio Sacrorum antistitum, nel quale denunciava che i modernisti si stavano raggruppando in una lega clandestina (clandestinum foedus) e che «non hanno abbandonato il loro intento di perturbare la pace della Chiesa». Al fine di chiudere definitivamente le porte, egli istituì il celebre giuramento anti-modernista, richiesto ai vescovi e sacerdoti, nonché ai professori di teologia. È doveroso leggere l’incipit per comprendere come san Pio X avesse uno sguardo acutissimo: «Nessuno tra i Vescovi ignora, riteniamo, che una genia perniciosissima di persone, i modernisti, anche dopo che con l’Enciclica Pascendi dominici gregis fu tolta loro la maschera di cui si coprivano, non hanno abbandonato i loro piani di turbare la pace della Chiesa. Difatti non hanno cessato di ricercare nuovi adepti raggruppandoli in una società segreta, e per mezzo di costoro inoculare il veleno delle loro opinioni nelle vene della società cristiana con la pubblicazione di libri e scritti anonimi o sotto falso nome. Se, dopo aver riletto la detta Nostra Lettera Enciclica, si considera attentamente tale culmine d’audacia che Ci ha causato tanto dolore, ci si convincerà facilmente che queste persone non sono diverse da come ivi Noi le abbiamo descritte, avversari tanto più da temersi, quanto più ci sono vicini; i quali abusano del loro ministero per prendere all’amo con esca avvelenata gli incauti che abboccano, spargendo attorno a sé un’apparenza di dottrina che contiene la somma di tutti gli errori».
Ed ecco come si chiude il motu proprio di papa Sarto: «Ormai è un fatto che non dobbiamo più affrontare, come all’inizio, degli avversarii travestiti con vesti d’agnello, ma nemici dichiarati e feroci, entro la stessa casa, i quali, avendo fatto un patto coi peggiori nemici della Chiesa, si propongono di distruggere la Fede. Si tratta di uomini la cui arroganza contro la sapienza che ci viene dal Cielo si rinnova ogni giorno, che si arrogano il diritto di riformarla come se si stesse corrompendo; che vogliono rinnovarla come se la vecchiezza l’avesse consumata; che vogliono darle nuovo impulso e adattarla ai voleri del mondo, al progresso, ai comodi del secolo, come se essa si opponesse non alla leggerezza di alcuni, ma al bene stesso della società. A fronte di questi oltraggi contro la dottrina evangelica e contro le tradizioni ecclesiastiche, non sarà mai troppa la vigilanza e la fermezza di coloro a cui è stato affidato di custodire fedelmente il sacro deposito».
Alla morte di san Pio X le maglie della rete anti-modernista si allargarono e di molto. La dimostrazione si ha da una lettera di Giovanni Genocchi a Paul Sabatier, uno dei leader del movimento modernista in Francia: «Stiamo già sentendo alcuni effetti positivi del nuovo clima. Non c’è più il furore iconoclasta del vecchio Pontefice. Stiamo respirando più comodamente. (…) Diverse vittime della follia e del fanatismo sono già state reintegrate, ed altre sono in cammino».
Il fiume carsico del modernismo poté cosi scorrere tranquillamente in attesa di prorompere in superficie nel momento propizio. Vi riporto questo impressionante esempio citato nel libro di de Mattei: «Una conferma dell’esistenza d questo fiume sotterraneo che scorreva nella Chiesa si ebbe nel 1978, quando venne pubblicato un documento, fino ad allora sconosciuto, dal titolo Dal profondo: il testamento di fede di don Primo Vannutelli, un sacerdote romano morto a Roma il 9 aprile 1945, presso i padri Filippini dell’Oratorio. Don Vannutelli, dopo essere stato modernista, rientrò nei ranghi prestando il prescritto giuramento anti modernistico. Ecco, però, quale era la sua professione di fede nella nuova chiesa: “Attenti studi fatti per secoli, da uomini di più nazioni, di varia mente, e tra essi anche da figli tuoi, hanno mostrato che secondo gli Evangeli più antichi Gesù ignorò di essere il Logos di Dio, Dio con il Padre, stato prima del mondo. Questi titoli Gesù in quei racconti non si dà mai. Fu profeta grande, servo e figlio di Dio, inviato ad una grande opera, ma non fortunato come Mosè o Maometto, o Francesco d’Assisi. […] E se taluno che legge questi fogli mi domandasse: che resta allora al Cristianesimo se Gesù non è Dio?, gli rispondo già fin d’ora: Resta poco: Dio, l’anelito e la gioia dell’universo. Ma allora, che cosa distinguerà più il cristiano dall’israelita e dal maomettano? Ti contristeresti se nulla ci distinguesse davvero? Se, nell’amore del Padre fossimo tutti d’un labbro solo e d’un cuore? Se alle tante cause di discordia tra gli uomini, non s’aggiungesse quella che più dovrebbe essere d’amore? Se la verità, che è una, ci unisse? […] [La riforma per essere radicale] dovrebbe essere di riti, non di dogmi apertamente”».
Don Vannutelli, negando la divinità di Cristo, era rimasto un incredulo, e pure spergiuro, che svolgeva il suo ministero in una chiesa di Roma, dove viveva in piena armonia con padre Giulio Bevilacqua, elevato cardinale da Paolo VI nel 1965, e padre Paolo Caresana. C’è da chiedersi come sia stato possibile e se sia veramente credibile che padre Bevilacqua e padre Caresana non si siano accorti di nulla, tanto da vivere in piena armonia con il Vannutelli, come riportato da de Mattei. Questi due padri Filippini, poi, non erano due qualunque: scrisse l’Osservatore romano il 5 agosto 2015: «Giovanni Battista Montini, antico amico più giovane di sedici anni, che sin da ragazzo aveva frequentato l’Oratorio bresciano della Pace, ebbe in padre Bevilacqua e nel confratello padre Paolo Caresana le sue due principali guide spirituali».
Rimangono i fatti: il giuramento antimodernista fu abolito da Paolo VI nel 1966, dopo il Vaticano II, e la riforma liturgica di Paolo VI entrò in vigore nel 1969.
Il resto è storia d’oggi, fino a giungere alla Dichiarazione sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la fratellanza di Abu Dhabi e alla “casa dei monoteismi” con moschea, sinagoga e chiesa, ossia l’Abrahamic Family house.
Andrea Mondinelli