Arcivescovo caldeo di Mosul: musulmani convertiti grazie all’esempio dei cristiani
La persecuzione dei cristiani in Iraq ha portato alla conversione di “molte migliaia” di musulmani. È quanto ha affermato l’arcivescovo caldeo Najib Mikhael Moussa, domenicano, nominato arcivescovo di Mosul nel gennaio di quest’anno, intervenuto alla seconda conferenza internazionale sulle persecuzioni anticristiane che si è svolta a Budapest alla fine di novembre, con la presenza di seicentocinquanta rappresentanti provenienti da quaranta paesi di tutto il mondo.
Dopo tutte le violenze subite, ha aggiunto Moussa, i cristiani dell’antica Ninive sono diventati più forti nella fede, fino a costituire un esempio per molti musulmani: “Abbiamo perso tutto, tranne la nostra fede in Gesù Cristo”.
Per aiutare i perseguitati, ha detto inoltre l’arcivescovo raccontando l’esperienza dei cristiani nel corso dell’occupazione di Mosul da parte dell’Isis (2014 – 2017), “bisogna prima aiutare i persecutori, liberando gli islamisti prigionieri, e anzi schiavi, dell’ideologia”, e offrendo loro il Vangelo in modo che possano “scoprire il Dio dell’amore e fuggire dalla morte e dalla violenza”.
Di fondamentale importanza, ha spiegato l’arcivescovo, è anche continuare a preservare il patrimonio del cristianesimo nella regione, ovvero “la liturgia, la storia, la nostra lingua madre, i nostri manoscritti, la nostra documentazione”, altrimenti “l’albero, se separato dalle sue radici, morirà”.
L’incontro di Budapest, sponsorizzato dal governo ungherese, ha voluto essere un momento di confronto per favorire la collaborazione tra coloro che aiutano i cristiani perseguitati. Leader religiosi e civili, diplomatici e volontari hanno discusso delle strategie da seguire.
Il patriarca Ignazio Aphrem II della Chiesa ortodossa siriaca di Antiochia e tutto l’Oriente ha deplorato che dopo “cinque anni di allarme, le nostre grida non sono state ancora ascoltate da molti” e che “sono stati fatti pochissimi passi concreti per contrastare la reale minaccia alla nostra esistenza nella terra dei nostri antenati”.
Sottolineando che negli ultimi due decenni il 90% dei cristiani ha lasciato l’Iraq e il 50% ha lasciato la Siria, il patriarca ha sostenuto che ciò che è accaduto in Medio Oriente è “nulla di meno di un genocidio”. Inoltre, elogiando l’eroismo di molti fedeli cristiani e l’Ungheria per il suo aiuto, ha invitato Stati Uniti e Unione europea a revocare le sanzioni alla Siria, poiché “fanno del male solo alla gente comune”.
Ciò di cui i cristiani hanno bisogno, ha aggiunto il patriarca, è che i loro diritti umani siano rispettati: “Uguale cittadinanza e stessi diritti e doveri degli altri”, così che i cristiani non debbano sentirsi cittadini “di seconda classe”.
Il cardinale Péter Erdő, primate dell’Ungheria e arcivescovo di Esztergom-Budapest, ha affermato che il mondo “non deve tacere sui perseguitati o considerare gli attacchi fisici come se non fosse successo nulla”. Occorre alzare la voce, aiutare i perseguitati e sostenerli nel tentativo di riprendere a vivere e a lavorare nelle loro terre”.
Il ministro degli Esteri ungherese Péter Sziijártó ha affermato che ogni volta che nelle riunioni dei ministri dell’Unione europea solleva il tema dei cristiani perseguitati, lo esortano a usare l’espressione “minoranze religiose”, quasi a lasciare intendere che il sentimento anticristiano possa essere accettabile. In realtà i cristiani sono i più perseguitati nel mondo, non solo in Medio Oriente.
È il caso della Nigeria, la cui situazione è stata illustrata dal vescovo Oliver Dashe Doeme della diocesi di Maiduguri, al centro di attacchi islamisti.
Anche monsignor Doeme, come l’arcivescovo di Mosul, ha confermato che i cristiani della sua terra sotto la persecuzione hanno dimostrato una fede “irremovibile” e sono diventati più forti ricorrendo all’eucaristia, all’adorazione eucaristica (almeno un’ora prima della messa in ogni parrocchia) e alla devozione mariana mediante la recita del santo rosario.
Circa gli aiuti forniti ai cristiani perseguitati dall’amministrazione Trump, il National Catholic Register ha appreso che “i cattolici in Iraq hanno visto poco dei quasi 373 milioni di dollari che l’amministrazione afferma di aver dato ai cristiani iracheni perseguitati”.
Dove sono finiti i fondi? “Noi siamo sconcertati” ha detto una fonte della regione della piana di Ninive, spiegando che nel territorio sono arrivati circa 700 mila dollari.
Nell’ultimo giorno dell’incontro è intervenuto il metropolita Ilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni estere del Patriarcato di Mosca, secondo il quale il restauro di chiese e infrastrutture in Medio Oriente è di “massima priorità” perché i cristiani possano tornare nella regione .
I leader mondiali, ha esortato Ilarion, ascoltino la voce dei cristiani perseguitati, “sterminati davanti ai nostri occhi”.
A.M.V.
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Fonte: NCR