Padre Cavalcoli: Gesù Cristo fondamento del mondo. Ovvero la messe è molta ma i tomisti sono pochi
È uscito da pochi giorni l’ultimo libro del padre domenicano Giovanni Cavalcoli, filosofo e teologo, membro ordinario della Pontificia accademia di teologia. Si intitola Gesù Cristo fondamento del mondo: inizio, centro e fine ultimo del nostro umanesimo integrale (Edizioni L’Isola di Patmos), un testo nel quale l’autore sostiene che solo la metafisica di Gesù, attraverso la mediazione di san Tommaso, valorizza la ragione umana nel suo senso più vero e più nobile, rispondendo al soggettivismo e all’individualismo dominanti e al conseguente stato di “impazzimento” generale.
Padre Cavalcoli, come nasce questo libro?
Credo che la causa principale dell’attuale situazione di “navigazione a vista”, di volo rasoterra, di indebolimento e ottundimento della capacità critica della nostra cultura cattolica, risieda nel fatto che ormai da decenni una malintesa apertura intellettuale si è accompagnata a un restringimento dell’orizzonte speculativo e sapienziale proposto dalla Scrittura, dal Magistero della Chiesa e dai grandi maestri del pensiero antico e di quello cattolico dal Medioevo a oggi, in particolare dalla scuola teologica e spirituale di san Tommaso d’Aquino.
Fin dall’epoca del liceo, grazie all’indirizzo ricevuto da un santo e dotto sacerdote, mio insegnante di religione, ho scoperto e sempre più approfondito in questi sessant’anni lo stretto nesso che esiste nel cattolicesimo fra l’amore evangelico per la verità e quell’amore naturale per la verità che, se coltivato con perseveranza, modestia e serietà, conduce alla più solida e alta sapienza della ragione, ossia la sapienza metafisica, fondamento del buon ragionare, di tutte le scienze e di tutta la morale, preambolo e conferma razionale della fede cattolica.
Non intendo qui la metafisica come scienza accademica, ma come evidenza e certezza basilare, incontrovertibile, spontanea e universale della ragione naturale, propria di ogni uomo, anche non istruito, ma amante della verità e dell’onestà del pensare e del parlare.
Sono sempre rimasto colpito e ammirato dal Vangelo di san Giovanni, nel quale Gesù unisce in modo stupendo la testimonianza della sua più umile e sublime umanità a quella impressionante, e apparentemente incredibile, della propria divinità di Figlio del Padre, Logos che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Mi è venuta così l’idea, che non mi risulta esser stata di alcuno finora, di esporre la metafisica di Gesù, ossia di commentare tutte quelle sue profonde ed elevate sentenze, di logica e di saggezza razionale speculativa e teologica, universale, che fanno da premessa, presupposto e introduzione all’ascolto e alla recezione della Parola di Cristo rivelatrice del suo infinito Mistero, oggetto della fede e del dogma ecclesiale.
E che cosa ne risulta?
Nozione centrale della metafisica di Gesù è il suo concetto della realtà e quindi dell’essere, derivato dall’idea biblica della creazione dell’essere dal nulla e dal Nome divino: “Io Sono” (Es 3,14). Solo Colui che è può essere la causa e il creatore dell’essere delle cose e del mondo. Dunque una metafisica realista, che non riduce l’essere al pensiero, ma non per questo ignora la dignità ontologica infinita del Pensiero divino identico all’Essere, ossia del Verbo, per Quem omnia facta sunt. Da qui il giusto apprezzamento per il pensiero umano, che non crea la realtà ma la presuppone come creata da Dio, pensiero creato a immagine del Pensiero divino. Da qui anche la possibilità del dialogo fra Dio e l’uomo.
Nella metafisica di Gesù è possibile trovare tutti i princìpi primi della ragione e della metafisica già scoperti dal mondo classico: il principio di identità e di non-contraddizione, l’analogia dell’essere, l’uno e i molti, il principio di causalità e di ragion sufficiente, nonché le nozioni prime e originarie della ragione: l’assoluto e il relativo, l’essere e il divenire, la sostanza e l’accidente, la materia e lo spirito.
La metafisica di Gesù è “la casa fondata sulla roccia”: un sapere che, pur sempre nella ricerca, è solido, confortante, certissimo, base sicura e incrollabile della morale, per cui l’uomo non è una “canna sbattuta dal vento”, non serve due padroni, e non oscilla fra il sì e il no, ma la sua esistenza è fondata in Dio, “spirito e vita”.
Quali dunque le conclusioni?
La conclusione principale, che credo ben dimostrata dal mio libro, è che nella metafisica di Gesù, il Logos divino, troviamo la valorizzazione della ragione umana intesa nel senso più vero e più nobile, come potere dato da Dio all’uomo di conoscere ogni verità sensibile e spirituale, naturale e soprannaturale, di ragione e di fede, al fine di poter essere reso partecipe dello stesso Pensiero divino.
Sotto questa angolatura vediamo con chiarezza quanto Lutero, con la sua astiosa e ingiusta polemica contro la ragione, abbia sbagliato e offeso Cristo, creatore e luce dell’umana ragione. Tale polemica voleva riprendere la condanna agostiniana del pelagianesimo e della ragione sensuale, superba e ottenebrata a seguito del peccato originale; ma Lutero passò ogni limite scagliandosi contro l’uso più corretto, lecito e nobile della ragione fatto dalla teologia scolastica approvata dalla Chiesa e in particolare contro san Tommaso d’Aquino, più volte raccomandato dai Papi.
Lutero non ebbe alcuna ragione di rimproverare Tommaso d’aver utilizzato la metafisica di Aristotele per edificare la teologia, e per commentare la Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa, dato che la Chiesa stessa ormai dal Medioevo si serviva dello stesso san Tommaso per l’interpretazione del dato rivelato e per la formulazione dei dogmi. Infatti l’Aquinate aveva sì assunto la filosofia di Aristotele, ma dopo un rigoroso e prudente vaglio, per il quale accolse ciò che era compatibile con la dottrina della fede e scartando il resto.
È quella che si chiama “acculturazione”, per la quale si assumono nella dottrina cattolica le categorie di altre culture, dovutamente vagliate. Invece nell’inculturazione si calano in un’altra cultura, in forme espressive adatte a quella cultura, le categorie del cristianesimo.
Lutero ha finito così per diffondere un’ingiustificata diffidenza per la metafisica, come se essa non avesse nulla a che vedere con gli insegnamenti di Cristo, anzi fosse tale da fraintenderli in senso pagano. Secondo Lutero l’interpretazione del testo biblico va affrontata senza una precomprensione filosofica, che per lui è fuorviante e distraente, ma mantenendosi strettamente all’interno della stessa concettualità biblica. Il principio non è del tutto errato, perché in fin dei conti è vero che noi siamo tenuti ad assumere i concetti della Bibbia. Tuttavia il metodo (sola Scriptura), nel suo rifiuto di apporti esterni provenienti dalla filosofia, è insufficiente e alla fine mistificante,perché la Bibbia stessa ci insegna che è mediante la ragione che noi arriviamo alla fede.
Di fatto però vediamo che san Tommaso non è che sia molto considerato oggi negli ambienti cattolici…
È vero. Oggi anche nella Chiesa si sono diffuse una teologia e un’esegesi che vorrebbero rifiutare Tommaso, il quale però, non dimentichiamolo, gode dal secolo scorso del titolo di Doctor communis Ecclesiae ed è stato raccomandato dal Concilio Vaticano II. Questa teologia e questa esegesi o rifiutano la metafisica per abbracciare visioni piattamente sociologistiche e secolariste, oppure ammettono una “metafisica” falsamente sublime, di tipo idealista, gnostico o panteista. Ne vengono fuori o una cristologia nestoriano-ariana, oppure una cristologia eutichiano-hegeliana, che si spaccia per “cattolica”, l’una e l’altra banditrici di una falsa cristologia. A questo punto si deve dire che è più cattolica la cristologia occamista di Lutero.
Almeno Lutero salva la divinità di Cristo Redentore distinta in unità di Persona della sua umanità. Il Lutero che disprezza la metafisica è però lo stesso Lutero che accetta le nozioni metafisiche che sono servite a Calcedonia per formulare il dogma cristologico, mentre le predette cosiddette cristologie “cattoliche”, col loro relativismo dogmatico modernista, non sono capaci neanche di capire il dogma calcedonese.
Quale la lezione utile per questi nostri tempi?
Papa Francesco si adopera per un nuovo umanesimo dell’universale fratellanza umana, per l’ecumenismo e per il dialogo interreligioso, con le culture e con gli stessi non-credenti. Propugna una Chiesa “in uscita” nella linea del Concilio e dei Papi precedenti, una nuova evangelizzazione basata sull’ inculturazione, sul principio di reciprocità e il rispetto delle diversità: la dottrina del “poliedro”. Io però vorrei esortare Papa Francesco a mettere maggiormente in luce la metafisica che sgorga dal Vangelo, la metafisica di Gesù, la cui universalità nasce dall’incontro di Gerusalemme con Atene e con Roma, come ha sottolineato Benedetto XVI. Non dobbiamo aver paura di astrarre l’universale dal particolare: l’astrarre non fa uscire dal reale, ma conduce nel suo cuore. La diversità è certo un valore, ma se si afferma per se stessa e non si fonda sull’unità, genera dispersione, conflitto, confusione e disordine.
La modernità ha prodotto grandi valori, ma, cercando la libertà senza la verità, ha perduto il principio dell’unità, dell’ubi consistam. Come si sa, la cristianità medioevale era molto più unita e ben fondata di quella di oggi nel campo della metafisica. È venuta meno la metafisica cattolica. Sono sorte successivamente altre metafisiche, più ambiziose, con mirabolanti promesse, che però sono ben lontane dal soddisfare le esigenze della ragione e della fede come fece la metafisica medioevale. La modernità si vanta del suo senso critico, ma in realtà l’ingenuità medioevale aveva molto più senso critico del criticismo kantiano.
Ben vengano le metafisiche di Ockham, Cartesio, Hegel, Rosmini, Heidegger, quella del Corano o quella di Shamkara e Ramanuja. Tutte comunque non paragonabili a quella di Tommaso. Nessuna più della metafisica tomista, infatti, per espresso riconoscimento della Chiesa, riflette la metafisica di Gesù.
Ci potremo salvare dal soggettivismo e dall’individualismo, che ci dividono gli uni dagli altri, soltanto ricorrendo a questo pensiero di ampio respiro. La metafisica di Gesù, illustrata dall’Aquinate, ci guida come razionale principio di uguaglianza, di fraternità, di libertà, di riconciliazione, di concordia e di pace per tutti i popoli e tutte le nazioni.
Parafrasando Gesù (“la messe è molta e gli operai sono pochi”) direi così: la messe è molta e i tomisti sono pochi. Preghiamo dunque il padrone della messe che mandi molti tomisti.
A cura di Aldo Maria Valli