Cari amici di Duc in altum, don Alberto Strumia ci ha fatto un bel regalo di Natale: una riflessione appassionata ma anche lucida sulla situazione della Chiesa, senza nascondere la drammaticità di quanto abbiamo sotto gli occhi, ma nella certezza che le tenebre non potranno mai prevalere.
A.M.V.
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Nei primi secoli della sua esistenza la Chiesa, nelle persone dei suoi aderenti, i “cristiani”, veniva perseguitata dal mondo, dai “non cristiani” e il confine era ben netto. Quando malauguratamente accadeva che dei cristiani solo apparenti (i «falsi fratelli», Cor 11,26; Gal 2,4) la tradissero dall’interno, venivano prontamente smascherati, perché erano loro stessi a farsi riconoscere e potevano essere ammoniti o andarsene da soli («Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri», 1Gv 2,19).
Le persecuzioni erano fisiche da parte dal potere politico, denigratorie da parte dei poteri culturali, accusatorie di empietà da parte dei poteri religiosi, non senza secondi fini economici come nel caso della rivolta degli argentieri contro Paolo che vedevano minacciato il loro mercato di idoli di metallo prezioso (cfr. At 19,23-41). Tutto questo per tante ragioni storicamente motivabili, ma più in profondità rinvenibili nell’«invidia del diavolo» (Sap 2,24), e dei suoi adepti, nei confronti di Dio, il Verbo, che aveva deciso di assumere la natura di uomo in Cristo, piuttosto che la superiore natura di angelo, quale era la loro.
Fin qui “tutto normale”, si potrebbe perfino dire! Certo ci sono state epoche pagane della storia in cui la persecuzione è stata più violenta e cruenta. Altre cristiane nelle quali è stata meno presente.
Ma oggi siamo arrivati al colmo, perché la persecuzione è avvenuta dall’interno, per assorbimento volontario, graduale progressivo, di un veleno filosofico che si è fatto ideologia preconcetta, fino a divenire veleno teologico, che teorizza la paganizzazione del cristianesimo (pachamama docet!), il suo livellamento in una prassi tutta orizzontale e in un pensiero che gli sono opposti e comunque estranei, con il quale il DNA delle parole e dei comportamenti cristiani è stato sostituito con quello del mondo.
È il suicidio volontario, l’eutanasia della Chiesa, operata da medici in camice bianco, rosso o viola che sia, medici diligenti, per un “atto di pietà”, per non farla sopravvivere inutilmente in uno stato vegetativo che non è degno di lei, in un’agonia inutile come potrebbe perfino sembrare quella stessa di Cristo in croce.
E quale forma di eutanasia più piacevole può esserci di una bella morte per indigestione, provocata con abbuffate da tenersi nelle chiese più antiche e prestigiose, con la scusa di dar da mangiare agli affamati… i famosi “poveri”, ai quali il Vangelo, tra l’altro, dice di non limitarsi a dar loro da mangiare, ma di annunciare loro l’unica possibilità di Salvezza in Cristo («ai poveri è predicata la buona novella», Mt 11,5).
Una bella mangiata, magari a base di pesce: oggi si trovano delle ottime sardine, mai viste prima sul mercato!
Altro che “ospedale da campo”! Siamo al livello di una elegante clinica nella quale la dolce morte viene praticata addirittura gratuitamente a spese neppure dello stato, ma, perché no, dell’obolo di san Pietro. Che idea geniale! Ma perché non ci si è pensato prima! Finalmente è arrivata la liberazione: quella sessuale con il sessantotto e dintorni, poi quella culturale con lo sdoganamento delle ideologie e delle mode di tutti i tipi, poi quella religiosa con l’equiparazione di tutti i culti, poi quella teologica con il primato della prassi pastorale sui rigidi schemi di una dottrina insensibile, poi quella ambientalistico-eco-alimentare, con la riammissione al Tempio dei mercanti venditori di pesce e di sardine. E con tutte queste quella finale della pratica pietosa dell’eutanasia ecclesiale gratuita, magari con tanto di risarcimento degli astanti non credenti che non vedono l’ora di incamerare i beni ecclesiastici come è sempre avvenuto nelle migliori epoche della storia! A cominciare dalla scuole cattoliche costrette a chiudere una dopo l’altra.
«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).
Ne troverà, forse, ancora una “malata” come quella oggi di moda. Ne troverà una vera dove solo Lui sa andarla a cercare: nell’anima dei semplici che non l’hanno voluto a tutti i costi mai abbandonare! Sono quelli che come i pastori di Betlemme si recano «senza indugio» (Lc 2,16) ad adorarlo dinanzi alla grotta dove Egli nasce, come il ciclo del tempo liturgico anche quest’anno non manca, grazie a Dio, di ricordarci per rinsaldare, nonostante tutto, proprio la nostra fede: “Puer natus est nobis. Venite, adoremus”.
E celebrando la sua prima venuta siamo ormai tutti concentrati sulla seconda che attendiamo sempre più desiderosi, con crescente “coscienza escatologica”. «E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine».
don Alberto Strumia