Cari amici di Duc in altum, è tornato a farsi vivo padre Giocondo da Mirabilandia, il religioso che ogni tanto mi scrive proponendomi le sue argute riflessioni. Questa volta commenta alcuni articoli che sono usciti nel blog e lo fa da una prospettiva che mi sembra interessante.
A.M.V.
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Caro dottor Valli, da alcuni mesi sto seguendo quasi quotidianamente il suo blog Duc in altum; e, più passa il tempo, più ne apprezzo i contenuti e la forma: mi piacciono cioè le grandi tematiche ecclesiali che lei affronta per i suoi lettori, come pure il tono franco e talvolta ironico – ma sempre rispettoso – che lei utilizza.
Qualche volta poi, quando gli argomenti sono particolarmente interessanti, mi ritrovo interiormente a completare o a precisare le cose lette, meravigliandomi subito dopo del fatto che tanti figli della Chiesa – semplici fedeli, ma anche ministri sacri e consacrati – non arrivino a capire le evidenze da lei illustrate.
Ora, con il suo permesso, vorrei inviarle di tanto in tanto alcune di queste mie riflessioni personali, relative – appunto – a singoli passaggi dei suoi pregevoli articoli. Cercherò cioè di individuare qua e là nel suo blog delle “perle di saggezza”, chiosandole e commentandole poi dalla mia prospettiva di prete e religioso. Forse altri preti e religiosi potrebbero mettersi in sintonia con il mio medesimo sentire.
Lei valuterà l’utilità o meno di questo tentativo.
Una sinodalità farlocca e pilotata
«Penso che “sinodo” e “sinodalità” siano tra le parole più truffaldine che la Chiesa, da decenni ormai, sta utilizzando nel quadro del sempre vagheggiato “rinnovamento”. Chi pronuncia spesso la parola “sinodalità” ben raramente dice a che cosa dovrebbe condurre tutto questo “camminare insieme”. Ecco perché parlo di parola truffaldina. Perché è utilizzata come una cortina fumogena. I due sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015 e il sinodo sui giovani del 2018 sono stati utilizzati più che altro per far passare alcune “innovazioni”: nel caso della famiglia, la comunione ai divorziati risposati; e nel caso dei giovani, lo sdoganamento dell’omosessualità. Che cosa è rimasto di tutte le altre migliaia e migliaia di parole spese durante questi sinodi? Nulla». (Aldo Maria Valli, Duc in altum, 8 gennaio 2020)
Credo che la consultazione regolare dell’episcopato mondiale, attraverso l’istituzione del Sinodo dei Vescovi voluto a suo tempo da Paolo VI, sia per un Sommo Pontefice uno strumento potenzialmente utile, proprio in considerazione della complessità dell’epoca che ci troviamo ad affrontare. Non si può dubitare del fatto che San Giovanni Paolo II, per esempio, ne abbia fatto un uso regolare, responsabile e costruttivo.
Ma attualmente la situazione è cambiata radicalmente.
Sotto l’attuale detentore delle Chiavi di san Pietro, la sinodalità è diventata lo strumento subdolo con cui si cerca di de-strutturare la Chiesa e di frantumarne l’unità e la solidità a tutti i livelli: dottrinale, morale, liturgico e disciplinare. Così l’evangelica roccia si va trasformando sempre più in un semplice mucchio di sassi. Infatti, se si trattasse di una sinodalità spontanea e genuina, forse potrebbe ancora rivelarsi utile a qualcosa; ma trattandosi ormai di una sinodalità farlocca e pilotata, essa serve soltanto a far passare come “richiesto dalla base” ciò che è già stato “deciso dal vertice”.
In mano al Papa gesuita e ai pasdaran della sua illusoria rivoluzione, la sinodalità altro non è che un grimaldello o un piede di porco, strumenti che ordinariamente non vengono usati da galantuomini ma da «ladri e briganti», i quali – lo sappiamo bene – non entrano in azione «se non per rubare, uccidere e distruggere» (Gv 10,10).
A grandi falcate verso un “aut aut”?
«Dicendo quel che ho appena detto, non voglio negare che nel 2020, o comunque a breve, possano esserci fratture vistose [nella Chiesa]. Ciò avverrà quando verrà fatto obbligo di prassi ecclesiali o insegnamenti dottrinali davanti a cui la coscienza di sacerdoti e fedeli dovrà attenersi al “non possumus”. In realtà in alcuni ambiti è già così, ma lo è di fatto e non ancora di diritto, o di diritto ma non in modo chiaro. […] Interventi dottrinali del supremo magistero che potrebbero mettere le coscienze [credenti] davanti ad un “aut aut” vengono fatti in contesti comunicativi dal debole valore autoritativo e con un linguaggio impreciso, quindi non vincolante perché non definisce la forma dell’azione. Per questo la confusione è destinata a durare». (Stefano Fontana, Duc in altum, 9 gennaio 2020)
L’analisi del professor Fontana è perfetta; lo stesso dicasi della sua previsione.
I quasi sette anni di regno del Papa argentino hanno prodotto nella Chiesa una grandissima confusione, la quale – a sua volta – ha causato una divisione sempre più marcata tra “cattolici fedeli alla tradizione” e “cattolici succubi della modernità”.
Ora, il problema è capire come evolverà una simile situazione.
Per il momento questa sorta di tiro alla fune ha un carattere del tutto informale, cioè privato e ideale, senza nessuna forma di ufficialità o di rilevanza giuridica; ma non è difficile prevedere che prima o poi la corda si potrebbe spezzare, così da arrivare a uno scisma vero e proprio all’interno della Chiesa Cattolica.
È evidente che a provocare una simile tragedia non saranno mai i “cattolici fedeli alla tradizione”, per il semplice fatto che essi hanno sempre creduto – e sempre crederanno – al valore irrinunciabile del primato pontificio: “ubi Petrus ibi Ecclesia”. Essi pertanto non arriveranno mai, di propria iniziativa, a darsi la zappa sui piedi.
Ma è altrettanto evidente – come evoca il professor Fontana – che potrebbe crearsi una situazione del tutto particolare, nella quale la coscienza dei cattolici potrebbe scontrarsi con un “aut aut”, cioè con la necessità improrogabile di scegliere tra “la persona di un papa” e “la fedeltà alla fede cattolica”. E ciò potrebbe accadere il giorno in cui un Papa, tipo quello attuale, non si limitasse a “consentire l’apostasia” (come già sta facendo con l’insieme dei suoi insegnamenti e delle sue omissioni), ma arrivasse a “imporre l’apostasia”, con tanto di ordini espliciti e di sanzioni inique.
In tal caso, la coscienza di ogni cattolico dovrebbe fare propria la celebre frase pronunciata dall’indomito Pio VII davanti alle assurde pretese di Napoleone Bonaparte: «Non debemus, non possumus, non volumus». Infatti, come insegna l’apostolo Pietro: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29).
Ciò esposto, mi domando: quanti anni – o quanti mesi – dobbiamo ancora aspettare per arrivare ad una imposizione di questo genere da parte degli attuali detentori del potere ecclesiastico? Perché una simile evenienza, pur avendo certo un carattere sciagurato, consentirebbe almeno di dissipare molti dubbi e molte nebbie!
La signora asiatica in piazza San Pietro
«Ci sono novità circa la vicenda della donna asiatica che la sera del 31 dicembre strattonò il papa e fu rimproverata da un irato Bergoglio con alcuni colpi sulla mano. Che cosa disse la signora al papa? Quale appello gli rivolse? […] Eric Mader, che lavora a Taipei (Taiwan) e parla inglese e mandarino, ascoltando e riascoltando le parole della signora è giunto alla conclusione che la frase rivolta al papa sarebbe stata la seguente: “Perché distruggere la loro fede? Perché distruggere i cinesi? [Cerca] i cinesi [sentimenti]. [Parla] con me!”. Tra parentesi sono le parole sulle quali Mader non è assolutamente certo, ma quel che risalta è che la donna si rivolge al papa in tono accorato circa la questione dei cattolici cinesi dopo gli assai discussi, e discutibili, accordi fra Cina e Vaticano, accordi rispetto ai quali l’indomito cardinale Joseph Zen, in una lettera inviata a tutti i cardinali, ha scritto di recente che stiamo assistendo alla ”uccisione della Chiesa in Cina da parte di chi dovrebbe proteggerla e difenderla dal nemico”. […] Ecco dunque di nuovo la traduzione a cui è giunto Mader: “Perché distruggere la loro fede? Perché distruggere i cinesi? Cerca i sentimenti cinesi. Parla con me!”. […] Per quanto riguarda la frase che suona come “cerca i sentimenti cinesi”, Mader spiega che si tratta di un costrutto tipico e che lo potremmo tradurre: “Verifica che cosa pensano veramente i cinesi”». (Aldo Maria Valli, Duc in altum, 10 gennaio 2020)
La vicenda di questa signora orientale ha del miracoloso.
Infatti, se – per ipotesi – lei fosse riuscita a scambiare tranquillamente con il Papa alcune battute, nessuno l’avrebbe notata più di tanto. Invece, trovandosi in favore di telecamera e avendo ricevuto quel tipo di trattamento, ecco che tutti i mass media si sono interessati di colpo alla sua persona, al suo gesto e alle sue parole.
E ciò va considerata come un’autentica permissione della Divina Provvidenza, perché in tal modo questa povera donna è riuscita, in pochi attimi e – per così dire – a mani nude, a realizzare due operazioni davvero titaniche: 1) strappare dal volto di questo Papa la maschera di buonismo con cui egli pretende presentarsi al mondo intero, rivelando invece la sua vera indole iraconda e aggressiva; 2) dare risalto al drammatico atto di protesta che, proprio in questi giorni, l’indomito Cardinale Zen ha realizzato con la sua lettera pubblica, nei confronti dell’accordo segreto che la Santa Sede ha stipulato con il Governo cinese, ai danni dei cattolici di quell’immenso paese.
Sì, è proprio il caso di dirlo: la disavventura romana di questa gentile signora, a cui va tutta la nostra solidarietà umana e cristiana, ha dimostrato al mondo intero, qualora ve ne fosse stato ancora bisogno, che questo Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica non andrebbe chiamato – come qualcuno vorrebbe – “Papa Francesco, il semplificatore”, ma – semmai – “Papa Manesco, il mistificatore”.
Aggiungerei una proposta pratica: visto che in Piazza san Pietro, sulla sinistra di chi guarda, già c’è un gruppo scultoreo in onore dei migranti, perché non si realizza una cosa simile anche sulla parte destra, dedicandola a tutti i cristiani perseguitati dell’Asia – Cina compresa –, e all’interno di una simile composizione non si inserisce anche una signora che, appoggiata a una transenna e con volto profondamente deluso, tende in avanti la sua mano come per afferrare qualcosa o qualcuno?
Il libro a quattro mani sul celibato sacerdotale
«Quello che è stato definito un giallo assume [ora] i contorni del pasticcio. Possibile che su questioni così delicate, che chiamano in causa il già discusso e controverso ruolo del papa emerito, si proceda in modo da lasciare spazio per malintesi del genere? Possibile che al papa emerito non sia stato spiegato per filo e per segno quale utilizzo sarebbe stato fatto del suo testo e della sua firma? Il cardinale Sarah, sempre via Twitter, dichiara: “Affermo solennemente che Benedetto XVI sapeva che il nostro progetto avrebbe preso la forma di un libro. Posso dire che abbiamo scambiato più bozze per stabilire le correzioni”. […] Eppure ora monsignor Gänswein fa sapere che Benedetto XVI non sapeva del libro. Solo un malinteso o c’è dell’altro? All’origine del clamoroso dietrofront di Gänswein ci sono state pressioni?». (Aldo Maria Valli, Duc in altum, 14 gennaio 2020)
Questa vicenda non è soltanto un gran pasticcio – o “un gran papocchio”, come ha titolato qualcuno –, ma l’ennesima prova della prepotenza con cui il passionale Papa regnante e i suoi cortigiani trattano il mite Papa emerito. Come è già avvenuto con gli Appunti dell’anno scorso, lo vogliono umiliare e imbavagliare.
Vorrei esprimere a Papa Benedetto XVI tutto il sostegno morale e spirituale che si deve a un grande Pontefice in una triste vicenda come questa. E vorrei invitare il docile Cardinale Sarah ad aprire finalmente gli occhi sulle reali intenzioni strategiche del Papa argentino; e a saper distinguere più chiaramente tra l’obbedienza che è dovuta a un uomo – fosse pure un Papa – e l’obbedienza che è dovuta a Dio (At 5,29).
Pace e bene.
Padre Giocondo da Mirabilandia
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