Il riscatto del “sensus fidei”
Cari amici di Duc in altum, è disponibile su radioromalibera il mio nuovo contributo per la rubrica La trave e la pagliuzza. Lo potete ascoltare qui. Qui sotto trovate invece il testo scritto.
A.M.V.
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Papa Francesco parla spesso del “popolo” e dice che bisogna ascoltarlo. Bene. Voglio prenderlo sul serio. Ecco perché dedico il mio intervento settimanale a quello che definisco il riscatto del sensus fidei.
Il sensus fidei è, potremmo dire, il buon senso del battezzato. È un dono dello Spirito Santo che riceviamo in quanto battezzati e ci rende testimoni e partecipi della funzione profetica di Cristo.
In virtù del sensus fidei il battezzato, anche se non è teologo, possiede una conoscenza intima della fede, così come è stata tramandata lungo le generazioni all’interno della Chiesa, e grazie a questa conoscenza o, se vogliamo, a questa sensibilità, è anche in grado di avvertire quando la fede e la Chiesa sono messe sotto attacco e poste in pericolo.
Nei sette anni di pontificato di Francesco per molti di noi è avvenuto qualcosa di sconvolgente. Abituati a ritenere che la Chiesa sia al nostro fianco nell’aiutarci a evitare di essere sballottati qua e là da ogni vento di dottrina (secondo l’espressione usata dal cardinale Ratzinger nella Missa pro eligendo pontifice del 18 aprile 2005), abbiamo dovuto prendere coscienza del fatto che proprio la Chiesa, perfino con i suoi massimi rappresentanti, si è piegata come mai in passato alle “correnti ideologiche” dominanti e alle “mode del pensiero”, introducendo nel suo insegnamento dosi sempre più massicce di relativismo e sincretismo. Non solo: proprio come denunciato dal futuro Benedetto XVI, chi osa avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, è etichettato come fondamentalista, colpito ed emarginato.
Tuttavia, pur in mezzo alle difficoltà, il sensus fidei ha continuato a lavorare, e tanti fedeli hanno accettato anche di pagare un prezzo pur di proclamare una fede chiara e di mettere in guardia dalle adulterazioni.
Ecco perché dico che in questi sette anni di pontificato abbiamo assistito a un riscatto del sensus fidei. A dispetto di un’assillante narrativa tutta dalla parte della cosiddetta “Chiesa in uscita”, molti sono comunque riusciti a scorgere il pericolo e hanno deciso di reagire, fino a pronunciare un chiaro non possumus.
I campanelli d’allarme sono squillati a ripetizione. Pensiamo all’esortazione apostolica Amoris laetitia, nella quale il papa arriva a definire uno stato oggettivo di peccato grave come “non ancora pienamente l’ideale oggettivo” e sostiene che possiamo conoscere con “una certa sicurezza morale” che Dio stesso ci chiede di continuare a commettere atti intrinsecamente errati, come l’adulterio. Pensiamo alla dichiarazione di Abu Dhabi, con la quale il papa ha sottoscritto l’incredibile affermazione secondo cui la diversità delle religioni è frutto della “sapiente volontà divina”. Pensiamo al culto tributato in Vaticano, con la partecipazione attiva del papa, all’idolo amazzonico detto Pachamama. Pensiamo, ancora, all’affermazione di Francesco (nell’omelia tenuta durante la santa messa in occasione della festa liturgica della Beata Vergine Maria di Guadalupe il 12 dicembre 2019) secondo cui Maria “è una donna”, “una signora” e “una discepola” che ha voluto essere una “meticcia”, si è “meticciata con l’umanità” (“se mestizó con la humanidad”) e così “meticciò” Dio stesso (“mestizó a Dios”).
Ebbene, in tutti questi casi (solo per citare alcuni dei più eclatanti e sconcertanti) per un numero crescente di fedeli, nonostante una propaganda tesa a far intendere che tutto andava benissimo, è stato proprio il sensus fidei a far squillare il campanello dell’allarme.
Perché è successo? Appunto perché con il battesimo lo Spirito Santo dona quell’unzione della quale san Giovanni dice: “Voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza”; “l’unzione che avete ricevuto da lui [da Cristo] rimane in voi, e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca”; “la sua unzione vi insegna ogni cosa” (1Gv 2,20.27).
Possiamo dire che il battezzato possiede un istinto per la Verità evangelica. Un dono che permette al cristiano di rispondere alla vocazione profetica e di distinguere la retta dottrina dalle sue adulterazioni.
Sappiamo d’altra parte che il consensus fidelium è un criterio sicuro per capire se una dottrina o una pastorale sono in linea con la fede apostolica. Il consensus fidelium non si lascia conquistare dagli slogan che suonano bene alle orecchie del mondo. Piuttosto, secondo l’espressione usata da Vincenzo di Lerino, fonda la sua valutazione in base a “ciò che in ogni luogo, sempre e da tutti è stato creduto”.
Il cardinale John Henry Newman, mettendo in luce la stretta connessione tra consensus fidelium e sensus fidei, spiegava che quest’ultimo è “quel genere di discernimento istintivo o senso spirituale per mezzo del quale i cristiani che vivono genuinamente la loro fede nel Vangelo riescono a percepire intuitivamente ciò che è conforme alla Parola di Dio e ciò che non lo è”. Mi sembra una definizione adeguata a ciò che molti cattolici stanno vivendo di fronte a un magistero spesso confuso, ambiguo o apertamente deviante.
Il sensus fidei non è però qualcosa di magico. È sì un dono, ma va nutrito. Più la fede è vissuta e alimentata, più il sensus fidei si sviluppa e si irrobustisce, fino a chiamare il fedele a scendere in campo a difesa della fede e della Chiesa.
Chiediamo dunque al Signore di tenere desto il sensus fidei e di far sì che i pastori, anziché bollare la mancanza del consensus fidelium come qualcosa di eversivo o distruttivo (vero, cardinale Bassetti?), si dimostrino capaci di tener conto con umiltà dei campanelli d’allarme fatti squillare dai fedeli. In questo modo la parola “ascolto” sarà sottratta alla vuota retorica della “Chiesa in uscita” e tornerà ad avere un significato preciso.
Aldo Maria Valli
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