Cari amici di Duc in altum, con il contributo che qui vi propongo il maestro Aurelio Porfiri conclude la sua serie sulla musica per i giovani nella Chiesa e nella liturgia.
A.M.V.
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Per tirare le fila sulla cosiddetta “musica per i giovani”, e sul suo impiego nella liturgia, è il momento di una breve riflessione conclusiva.
Abbiamo visto come si sia fatto un uso strumentale (scusate il gioco di parole) dei repertori per i giovani pensando che così ragazzi e ragazze sarebbero rimasti in Chiesa. Invece il flusso “in uscita” (ma non nel senso che vorrebbe papa Francesco) non è stato mai rallentato. Io trovo che il principio espresso nel documento della Cei, di cui abbiamo parlato in precedenza, sia di grande saggezza: “Una vera pastorale non svilisce la liturgia, col pretesto di adattarla, ma educa a comprenderla, per adattarsi ad essa”. Parole sagge, dicevo, ma non so quanto recepite.
I giovani non vanno a Messa per suonare la loro musica, ma perché tramite la musica devono edificarsi e dare gloria a Dio. Quindi scopo della musica nella liturgia non è compiacere i giovani, ma dare gloria a Dio.
Tempo fa un anziano sacerdote, con l’intenzione di scandalizzarmi, mi ha detto che in fondo a Dio non importa niente della musica che facciamo per lui, perché non ne ha bisogno. La musica è soltanto per noi, per aiutarci a pregare meglio.
Non mi sono scandalizzato, perché è un’obiezione che ho già sentito molte volte. Da una parte è vero che Dio non ha bisogno della nostra musica, ma dall’altra è pur vero che siamo noi che abbiamo bisogno di dare gloria a Dio anche tramite una musica degna. Un padre continua a essere tale anche se il figlio non dimostra sempre il suo rispetto, ma mostrare rispetto al padre aiuta il figlio a essere una persona migliore, a capire il senso delle gerarchie, a essere grato per l’affetto e la cura che qualcuno ha per lui. Quindi dire che Dio non ha bisogno della musica che noi facciamo per lui significa porre il problema in un modo completamente sbagliato.
Parliamo molto dei giovani, ma quanto li conosciamo? Un bel libro dello psicologo Mario Pollo, Il volto giovane della ricerca di Dio (Piemme, 2003), indagine sociologica sui giovane e la fede, ha ormai diciassette anni ma dice cose ancora valide.
Il campione interrogato dal sociologo mostra che c’è uno scollamento netto fra i giovani (e non solo) e i valori cattolici e cristiani. Il papa ha detto recentemente che non siamo più nella cristianità. Penso che sia vero. Il problema è che la missione della Chiesa dovrebbe essere di riportare la società nell’alveo cristiano, ma lo fa?
Ci sono alcuni, nella Chiesa stessa, che pensano che per convertire il mondo occorra convertirsi al mondo. Altri, tra cui chi scrive, pensano invece che questa sia una strategia completamente errata. Convertirsi al mondo significa annullare la Chiesa nel mondo, non riconquistare il mondo alla Chiesa.
Noi possiamo anche applicare testi liturgici alla musica commerciale, ma questa non si scrollerà mai di dosso i suoi valori, i quali sono, in massima parte, quelli del mondo, ovvero valori improntati al più profondo relativismo, proprio quel relativismo che la Chiesa ha sempre condannato.
Come ho già detto, la musica non è mai completamente neutra. Quando ascoltiamo un brano di musica il nostro cervello lo scompone e lo analizza paragonandolo all’archivio di brani che abbiamo già ascoltato in precedenza. Non ci sono ascolti “neutri”. Questo purtroppo nella Chiesa non lo si è compreso mai abbastanza.
Io continuo a dire che la missione più grande della Chiesa e quella di educare i giovani. La gioventù è una fase di passaggio verso la maturità: i giovani vanno guidati alle cose belle e vere. Pensare che loro non siano in grado di apprezzare la bellezza non significa aiutarli, ma fargli un torto enorme. In realtà, tutto questo “andare incontro ai giovani” avviene spesso senza che ci sia nei loro confronti vera fiducia, perché li si giudica incapaci di cercare la verità e di apprezzare la bellezza.
Ho sperimentato tantissime volte, anche con giovani lontani dalla Chiesa o neanche battezzati, che quando sono guidati con pazienza sanno veramente apprezzare la bellezza della vera musica liturgica, che resterà per sempre nei loro cuori.
Aver abdicato al ruolo educativo è la più grave mancanza della Chiesa cattolica negli ultimi decenni. Quanto la Chiesa ha prodotto di bello nel passato è servito a nutrire generazioni e generazioni di santi e di semplici credenti. Tutto quello sforzo economico e culturale la Chiesa lo aveva fatto per portare più anime a Dio. Ma adesso?
L’inchiesta di Mario Pollo ci mostra una gioventù in fondo vulnerabile, che ha bisogno di un’esperienza forte della fede e non di imbonimenti fatti con musichette accattivanti al ritmo di chitarre strimpellate alla bell’e meglio.
Divo Barsotti diceva nel 1980: “L’amore che voi dovete avere verso i vostri figli deve essere come l’amore stesso di Dio, che è discreto, umile e paziente. Questo perché è naturale ma anche necessario che siano loro a scoprire il volto del Cristo, e tu tanto più li aiuterai quanto più darai loro l’esempio di una vita religiosa nella pazienza, nell’umiltà. Fiducia assoluta! Non si può imporre Dio, perché Dio vive nel cuore; è dall’intimo che sorge. Fintanto che il bambino è puramente passivo nei confronti dei genitori, si capisce che rimanga fedele alle pratiche, voglia andare in chiesa, ma ad un certo momento cambia: ecco allora il compito dei sacerdoti e dei genitori di rivelargli Dio. Se questi preti non diventano un po’ più santi è un disastro, perché come rigettano le prediche dei genitori, così rigettano tanto più le prediche del parroco; ma invece non possono rigettare mai l’esempio di una vita santa, la rivelazione che di Dio dà con la sua dolcezza e umiltà un vero testimone di Dio“.
E come il sacrificio quotidiano porta alla santità così il lavorio artistico quotidiano porta all’opera d’arte ben fatta. E di questa, se ben guidato, il giovane è capace di innamorarsi.
Nella mia vita musicale ho avuto almeno quattro o cinque maestri. Alcuni di questi non ci sono più, alcuni sono ancora vivi. Devo tantissimo a ciascuno di loro, perché mi hanno rivelato mondi che altrimenti non sarei stato capace di scoprire da solo. Il lavoro con loro è stato molto più importante dei titoli accademici che a un certo punto ho conseguito. Il maestro di canto nelle parrocchie, nel catechismo, nelle comunità religiose, deve guidare gli altri a cogliere la bellezza della vera musica sacra, una bellezza che, una volta scoperta, non si abbandona.
Aurelio Porfiri
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Le precedenti puntate sono apparse in Duc in altum qui:
La “Messa beat” e l’inganno dell’eterna gioventù
La falsa liberazione del Sessantotto
Così si arrivò alla “Messa beat”
La “Messa beat” e il suo autore
La “Messa beat” e quello sterile tentativo di compromesso da parte dei vescovi
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