Se la Messa va… messa a punto
Ho scritto tante volte, su Duc in altum e altrove, che noi cattolici non dovremmo mai dimenticare il nostro diritto, sancito anche dal Codice di diritto canonico, di ricevere dai pastori una formazione spirituale adeguata e di poter rendere gloria a Dio in modo corretto. Recita infatti il canone 213: “I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti”, e il 214 aggiunge: “I fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi Pastori della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però conforme alla dottrina della Chiesa”.
Lungi da me il tentativo di ridurre la fede e il culto a una questione di codici. È tuttavia fuori discussione che, nella situazione attuale, di fronte a tanta confusione dottrinale e a tanti abusi liturgici, il comune fedele ha bisogno di essere sostenuto e di rendersi consapevole dei propri diritti.
Spesso i lettori mi scrivono lamentandosi di abusi e distorsioni nella celebrazione della Santa Messa secondo la forma ordinaria del rito romano. Non sono fedeli “tradizionalisti” o lefebvriani e non necessariamente hanno nostalgia della Messa preconciliare. Semplicemente desiderano una Messa onesta, pulita, senza stranezze e invenzioni. Ma non sanno come fare perché questo loro diritto sia preso in considerazione. Parlare con il parroco? Rivolgersi al vescovo diocesano? Scrivere direttamente al papa? Qualcuno ci prova, ma o non riceve risposta oppure riceve risposte vaghe oppure ancora viene trattato come un credente un po’ strano e minorato, uno che, non sapendosi adeguare al vento del cambiamento, va più che altro compatito e abbandonato al proprio destino di inguaribile piantagrane.
Ogni tanto, però, a dare una mano a tutti noi “piantagrane” incalliti, ecco un contributo che ci aiuta a orientarci meglio e, soprattutto, a non cedere allo sconforto che conduce o all’inasprimento o, Dio non voglia, alla fuga.
In questo senso, un aiuto certamente importante arriva dal libro di Aurelio Porfiri Messa a punto. Viaggio intorno alla forma ordinaria del rito romano (Chorabooks, 2019) nel quale l’autore, come sottolinea don Enrico Finotti nella prefazione, ribadisce il carattere sacro della liturgia, un’azione all’interno della quale ogni elemento, fin nel più minuto dettaglio, non deve solleticare l’umano protagonismo, bensì elevare al mistero di Dio e farne percepire la sua trascendente presenza e maestà.
Per qualcuno una tale sottolineatura sembrerà pleonastica, ma, al punto in cui siamo, occorre tornare a dire che il culto è rivolto a Dio, non all’uomo! Da certe celebrazioni, infatti, ciò che emerge è il protagonismo umano, è la centralità della cosiddetta assemblea, e nostro Signore sembra quasi un intruso, con tanti saluti alla glorificazione di Dio e alla santificazione dei fedeli.
Don Finotti scrive di aver letto “con gaudio interiore e utilità pratica” il libro del maestro Porfiri, e io, nel mio piccolo, mi associo. Tantissimi gli spunti di riflessione offerti da queste pagine.
Prendiamo il caso, tanto per fare un esempio, del Padre nostro. Porfiri non si sofferma sulla vexata quaestio del “non ci indurre” o “non ci abbandonare” alla tentazione. Chiede però, e mi sembra il minimo, che la preghiera sia recitata in modo ordinato, suddividendo bene, con opportune pause, le sette petizioni di cui è composta. Invece, molto spesso, il Padre nostro è recitato in modo confuso e caotico, da fedeli che non riescono nemmeno a procedere all’unisono, oppure è cantato sulle note di composizioni improponibili. E ricordiamo: “Il fatto di tenersi per mano è un abuso. Derivante da una concezione protestante della liturgia, in cui al centro c’è il senso comunitario più che quello del sacrificio”.
Prendiamo il caso, anche, dello scambio del segno della pace, che diviene spesso occasione per sarabande inqualificabili, peggiorate, se possibile, dal celebrante che abbandona l’altare e scende in mezzo all’assemblea.
Da buon maestro e compositore di musica sacra, Porfiri si sofferma con particolare attenzione sulla questione dei canti e delle musiche, e potete immaginare la sua sofferenza. Quando si parla del canto, si pensa subito, ancora una volta, all’assemblea. Ma è il canto dei sacri ministri quello più importante! Solo che i sacri ministri, spesso, o non cantano affatto o lo fanno a loro volta con modalità che nulla hanno a che fare con la dignità liturgica.
Come potete ben capire, l’elenco degli argomenti è sterminato. Merito di Porfiri è di affrontarli tutti in modo sintetico ma senza fare sconti e portando la nostra attenzione su dettagli che ormai, in mezzo alla maleducazione liturgica imperante, non notiamo nemmeno più.
A dirla tutta, noi poveri fedeli siamo allo sbando. I virus della sciatteria, dell’umano protagonismo, della voglia sfrenata di rinnovamento o dell’intellettualismo sono penetrati nell’azione liturgica devastandola.
Don Finotti osserva che “l’ostacolo odierno al retto riconoscimento del sacro autentico è il soggettivismo imperante, per il quale il sacro non avrebbe alcuna base oggettiva e sarebbe il prodotto soggettivo della coscienza e del sentimento di ognuno”. C’è un chiaro parallelismo tra il soggettivismo liturgico e quello dottrinale e morale. Il sacro ha carattere oggettivo esattamente come il vero, il buono e il bello, e la Chiesa è la custode di tale oggettività. Ma chi se ne ricorda?
Grazie dunque al maestro Porfiri che, instancabilmente, segnala la deriva secolarizzante di tante, troppe celebrazioni le quali di liturgico, purtroppo, mantengono solo il nome.
Aldo Maria Valli
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Aurelio Porfiri Messa a punto. Viaggio intorno alla forma ordinaria del rito romano (Chorabooks, 2019)
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