Dunque, né preti sposati, né viri probati, né diaconesse. Chi si augurava che da Querida Amazonia potesse arrivare una “svolta” (tipo cammino sinodale tedesco) resterà probabilmente deluso. Chi invece la temeva può dire: pericolo scampato, almeno per ora.
Di fatto, a proposito dei due punti caldi che tanto hanno fatto discutere, l’esortazione apostolica di papa Francesco non recepisce se non in minima parte, e in modo sfumato, i contenuti del documento finale. Pur consigliandone la lettura, è come se Francesco, tra le righe, ne prendesse le distanze.
A un certo punto il papa sembra togliersi un sassolino dalla scarpa difendendo la scelta (anche questa all’origine di tante polemiche) di introdurre la Pachamama in Vaticano: “Non abbiamo fretta di qualificare come superstizione o paganesimo alcune espressioni religiose che nascono spontaneamente dalla vita della gente…. È possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico. Un mito carico di senso spirituale può essere valorizzato e non sempre considerato un errore pagano”.
Ma, al di là di questo, l’esortazione è così prudente da apparire circospetta.
Sulla questione spinosa del celibato sacerdotale (ricordiamo la vicenda del libro scritto dal cardinale Sarah con Benedetto XVI) Francesco si limita a raccomandare ai vescovi di impegnarsi per le vocazioni e per incentivare lo spirito missionario. “Nelle circostanze specifiche dell’Amazzonia, specialmente nelle sue foreste e luoghi più remoti, occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale”. E ancora: “Se crediamo veramente che è così, è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita e del Sacramento del perdono. Questa pressante necessità mi porta ad esortare tutti i Vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia.
La parola “celibato” nel testo non compare mai. Anzi, papa Francesco ribadisce che soltanto il sacerdote ordinato può celebrare l’eucaristia, assolvere dai peccati e amministrare l’unzione dei malati; e la possibile estensione dell’ordinazione ai viri probati non è presa in considerazione.
Quanto al ruolo della donna, Francesco, che raccomanda di evitare ogni forma di clericalizzazione (se si desse loro accesso all’ordine sacro ci si orienterebbe a “clericalizzare le donne” e “a ridurre la nostra comprensione della Chiesa a strutture funzionali”) scrive: “In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio. È bene ricordare che tali servizi comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo. Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile”.
Difficile, insomma, sottrarsi all’impressione che l’esortazione apostolica sia stata scritta, per dire così, con il freno a mano tirato. Per lo meno rispetto ai rulli di tamburi con il quale il sinodo era stato annunciato e si è poi svolto.
Francesco formula quattro “grandi sogni”: che l’Amazzonia “lotti per i diritti dei più poveri”, “che difenda la ricchezza culturale”, che “custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale” e infine che le comunità cristiane siano “capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia”.
Il papa sottolinea l’importanza di “un vero approccio ecologico” e denuncia le ingiustizie contro gli indios. Chiede che i poveri siano ascoltati e che troviamo la capacità di indignarci e chiedere perdono. Boccia la visione consumistica dell’essere umano, che tende a omologare le culture, e raccomanda di “recuperare la memoria ferita”. La diversità non sia “una frontiera” ma “un ponte”. Ciò che è necessario è “assumere la prospettiva dei diritti dei popoli.
Circa l’ultimo “sogno”, quello “ecclesiale”, il papa invita a “sviluppare una Chiesa dal volto amazzonico” attraverso un “grande annuncio missionario” perché questi popoli hanno “diritto all’annuncio del Vangelo”.
A causa della povertà di tanti abitanti dell’Amazzonia, l’inculturazione dovrà avere “un timbro fortemente sociale”, ma senza mai dimenticare l’esigenza di integrare la dimensione sociale con quella spirituale.
Anche a proposito della liturgia, Francesco si mantiene sulle generali: sottolineato che già il Concilio Vaticano II aveva richiesto uno sforzo di “inculturazione della liturgia nei popoli indigeni”, in una nota ricorda che nel sinodo “è emersa la proposta di elaborare un rito amazzonico”, ma non va oltre.
La prudenza di Francesco è stata forse indotta dal libro a difesa del celibato sacerdotale scritto dal cardinale Sarah con Benedetto XVI e uscito proprio a ridosso della pubblicazione di Querida Amazonia? E come replicheranno ora gli ambienti progressisti che avevano spinto per cambiamenti sostanziali?
Il professor Roberto de Mattei, in un commento a caldo, scrive: “Qualcuno ricorderà a questo punto la strategia dei due passi avanti e uno indietro di papa Francesco, ma quando un treno viaggia ad alta velocità una brusca frenata può farlo deragliare, ponendo fine alla corsa in modo drammatico. Il processo rivoluzionario è una macchina sociale che spesso diviene incontrollabile e travolge i macchinisti”.
Staremo a vedere.
Aldo Maria Valli
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Qui la versione inglese dell’articolo nel sito altaredei
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