“Querida Amazonia”, l’ambiguità sistematica e due Chiese che si fronteggiano

Un mio nuovo libro
Aldo Maria Valli, Le due Chiese. Il sinodo sull’Amazzonia e i cattolici in conflitto (Chorabooks, 2020)

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Dopo la pubblicazione di Querida Amazonia noto che nello schieramento conservatore (lo chiamo così per farmi capire, ma in realtà dovrei dire nello schieramento veramente cattolico) c’è soddisfazione per il fatto che nell’esortazione il papa non dice una sola parola su celibato sacerdotale e sacerdozio per le donne. Al di là delle ipotesi circa i motivi della scelta papale (vero ripensamento o solo riposizionamento strategico?), molti esclamano “scampato pericolo!” e altri si spingono a ringraziare lo Spirito Santo. Ora, non vorrei fare la solita cassandra, ma mi sembra che non sia il caso di essere tanto soddisfatti. In realtà quella che vince è solo l’ambiguità, secondo il ben noto modello Amoris laetitia. Con l’aggravante che qui l’ambiguità è ancora più accentuata, perché non è neppure chiaro se e fino a che punto Francesco assuma il documento finale del sinodo.

Siamo alle solite. Il papa apre processi, per usare un’espressione alla quale è affezionato, lasciando che siano poi i singoli episcopati a regolarsi davanti ai casi concreti. Ma così Pietro abbandona la Chiesa alla confusione e abdica al proprio ruolo di roccia.

La conferenza stampa di presentazione di Querida Amazonia nella sala stampa della Santa Sede ha avuto un che di surreale. I relatori hanno infatti sostenuto che l’esortazione post-sinodale del papa ha confermato la disciplina del celibato sacerdotale, ma che nello stesso tempo il percorso verso l’ordinazione di uomini sposati è ancora aperto. Siamo nel pieno di quella che tante volte mi sono permesso di definire la Chiesa del “sì, ma anche no”, del “no, ma anche sì”.

Col passare del tempo, la teorizzazione di questa ambiguità sistematica si fa sempre più definita, e la parola chiave è sinodalità. Non a caso, nella conferenza stampa il cardinale Michael Czerny, uno dei due segretari speciali del sinodo amazzonico, sostenendo che la questione dei viri probati non è “chiusa” e rimane “irrisolta”, ha detto che tutto ciò fa parte del “processo sinodale”.

Il sinodo dei vescovi, nato dopo il Concilio Vaticano II come strumento per aiutare il papa a governare la Chiesa, si sta così trasformando in un alibi non tanto per rivoluzionare la Chiesa (come qualcuno per altro vorrebbe), ma per lasciarla in un cronico stato di incertezza e di indeterminatezza, in modo tale che non ci sia mai una parola definitiva.

Così la contraddizione non è più un ostacolo da superare attraverso l’esercizio dell’autorità, ma uno stato che l’autorità fa proprio. E l’incertezza non va più affrontata e risolta, ma assunta come caratteristica naturale dell’insegnamento e del magistero papale.

Sono rimasto colpito dal fatto che, nel commentare Querida Amazonia, un osservatore abbia scritto un articolo intitolato E se avessimo capito male? Ora, io sono il primo a riconoscere che spesso i documenti della Chiesa non sono di facile e immediata comprensione, ma ormai i vaticanisti sono obbligati a comportarsi quasi da indovini. Come aruspici, ci dobbiamo muovere fra i testi alla ricerca di segni, per capire non solo che cosa vogliono dire, ma quale sia il loro grado di autorità. E in tutto ciò evidentemente c’è qualcosa che non funziona, perché la prima forma di carità che il successore di Pietro dovrebbe esercitare, per confermare i fratelli nella fede, è la chiarezza, è la limpidezza del suo insegnamento.

Su Duc in altum ho cercato di seguire passo passo il processo sinodale amazzonico, che sotto tanti aspetti si è intersecato con il cammino sinodale tedesco, e così ne ho tratto un piccolo libro che ho voluto intitolare Le due Chiese. Il sinodo sull’Amazzonia e i cattolici in conflitto (edito da Chorabooks), perché mi sembra che il dato saliente in questa fase sia l’estrema divisione all’interno della Chiesa cattolica. La teoria dell’aprire processi, qualunque cosa voglia dire, ha condotto a una frammentazione non più sostenibile. E non è vero, come ha sostenuto di recente il cardinale Parolin, che i cattolici si scontrano per questioni di potere. Dire così significa avere una visione solo politica della Chiesa e non cogliere il profondo disagio di tanti fedeli. In realtà i cattolici si scontrano sui contenuti di fede, e in gioco non c’è tanto il potere quanto la Verità.

Ripercorrere, come faccio nel libro, ciò che è avvenuto durante il sinodo amazzonico (Pachamama compresa) non vuol dire, allora, provare un gusto perverso nel rinfocolare le polemiche, ma cercare di offrire un contributo, per quanto piccolo, verso una presa di coscienza della posta in gioco.

Occupandosi dell’ambiguità come metodo ormai strutturale del “nuovo paradigma” amazzonico-germanico, don Alberto Strumia scriveva ieri su Duc in altum che si tratta qualcosa di inaccettabile, perché Gesù ha insegnato “Sia invece il vostro parlare: sì, sì, no, no”, e “il di più viene dal Maligno”. Nella nostra santa Madre Chiesa cattolica non può esserci spazio per l’ambiguità. E sbaglia di grosso chi ritiene che mediante questa “liquidità” la Chiesa possa raggiungere meglio il mondo. In realtà su questa strada la Chiesa non fa che sposare la falsa sapienza del mondo, incentrata sull’idea che la verità non esista e che cercarla sia inutile.

E come definire tutto questo se non un suicidio? D’altra parte, i dati provenienti da Brasile e Germania, per citare le due realtà alla testa dei processi sinodali ai quali abbiamo assistito negli ultimi tempi, ci dicono che lì la situazione della Chiesa cattolica è fallimentare, con una continua emorragia di fedeli.

Non tutti comunque sono disposti ad assistere passivamente al pervicace tentativo di suicidio. La resistenza continua.

Aldo Maria Valli

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Il mio libro Le due Chiese. Il sinodo sull’Amazzonia e i cattolici in conflitto (Chorabooks, 2020) è disponibile qui
Ricordo anche l’altro mio recente libro:
Aldo Maria Valli (a cura di), Non abbandonarci alla tentazione? Riflessioni sulla nuova traduzione del “Padre nostro”
Chorabooks, 2020

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