Sul significato della quaresima
Cari amidi di Duc in altum, nei giorni scorsi un articolo del padre Alberto Maggi sulla quaresima, intitolato La quaresima non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni, ha creato sconcerto in numerosi lettori. Nel suo testo, che potete leggere qui, Maggi, contrapponendo la liturgia del mercoledì delle ceneri nella Chiesa pre-conciliare a quella della Chiesa post-conciliare, parla di “due diverse impostazioni teologiche” e conclude: “Mai Gesù ha invitato a fare penitenza, a mortificarsi, vocaboli assenti nel suo insegnamento”.
Alle argomentazioni di padre Maggi risponde monsignor Nicola Bux.
A.M.V.
***
L’intervento del reverendo, che mi ha sottoposto, richiede alcuni chiarimenti e correzioni, a partire dal titolo, che formulerei così: È tempo di mortificazioni ovvero penitenza, per essere vivificati nella Pasqua.
Fa capolino la schizofrenia di Marcione, l’eretico che contrappone i due Testamenti e i suoi svariati passi. Nell’invito di Cristo alla conversione è racchiusa la motivazione di Jahweh dopo il peccato dell’uomo: “Ricordati che sei polvere…” (Gn 3,19). A questo il Signore premette l’annuncio della Donna che avrebbe schiacciato il capo al serpente (Gn 3,15). Come si fa ad affermare che è qui completamente assente l’annuncio di novità evangelico, quando proprio questo passo, noto come il protoevangelo, precede quello sulla morte? Si ritengono “lugubri” le parole di Dio? Il reverendo in questione pensa di non tornare in polvere? Se disponesse, alla morte, di farsi cremare, non sarebbe questo subito evidente?
Come si può affermare, poi, che Gesù non ha invitato a fare penitenza, se la Chiesa ha tradotto, con questo itinerario, il suo invito alla conversione? In occasione del crollo della torre che uccise tanti, disse: “Se non fate penitenza, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5). In connessione, si trova l’episodio del fico sterile maledetto da Gesù e seccato, è il caso di dire, in tronco (Mc 11,12-14). Gesù non ha un unico atteggiamento: sa pazientare, ma anche decidere drasticamente. Egli ha richiamato più volte il profeta Giona e ricordiamo il suo appello a quelli di Ninive a fare penitenza.
Non si può contrapporre il culto a Dio e la misericordia per l’uomo: infatti, egli dice al tentatore: “Adora il Signore di Dio e servi a Lui solo”; e a Giuda: “I poveri li avrete sempre con voi, ma non sempre avete me”. Il culto a Dio è la prima giustizia che l’uomo deve compiere, poi viene la giustizia verso l’uomo. Questo è molto chiaro quando si esaminano le virtù di un Servo di Dio, nelle cause di canonizzazione. Nulla si anteponga all’opus Dei, cioè al culto divino, ricorda san Benedetto.
Quanto al digiuno, proprio Gesù dice: finché lo Sposo – Lui stesso – è con noi, non si digiuna, ma quando sarà tolto, allora si digiuna. Questo significa il digiuno quaresimale, tradotto nelle pratiche tradizionali, che giunge appunto fino al Venerdì santo e si estende al Sabato santo, quando lo Sposo è ancora nel sepolcro. È falso contrapporre il Venerdi alla Domenica, perché non c’è Risurrezione senza Croce. La Pasqua è un passaggio, lo dice appunto l’etimo: all’interno dello stesso Triduo di Cristo morto, sepolto e risorto, come della Settimana santa, con la Domenica di Passione che l’apre e la Domenica di Risurrezione che la chiude; una sinfonia che si dispiega con ouverture e andanti. Il reverendo in questione, se si ammalasse, non dovrebbe digiunare e sottostare a diete e cure? E il peccatore che si ammala, per guarire, non deve mortificare le passioni? Il sacramento della penitenza – da poenam tenere, cioè sopportare una pena – non l’ha istituito nostro Signore, racchiudendo in esso tutta la mortificazione e l’espiazione del peccato?
Il chicco di grano se non muore non porta frutto. Dunque, non c’è vivificazione senza mortificazione. In definitiva, Gesù ha detto di essere venuto non ad abolire ma a dare compimento. A chi serve e a che serve la contrapposizione tra antico e nuovo? Cosa se ne ricava, se non un errore di prospettiva, ovvero far credere all’uomo che tutto si giochi nell’orizzonte intramondano? La liturgia rinnovata delle Ceneri prevede che si possa usare anche l’antica formula: Ricordati che sei polvere, in linea, appunto, non con l’ermeneutica della discontinuità o rottura, ma del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato (Benedetto XVI).
L’impostazione del reverendo è il risultato dell’elevazione del Concilio Vaticano II, e di quanto ne è seguito, a un “superdogma”: difendere il Concilio è necessario, ma non togliendo importanza a tutto il resto. Joseph Ratzinger ebbe a osservare: “Molte esposizioni danno l’impressione che dal Vaticano II tutto sia cambiato e non abbia valore quello che l’ha preceduto o, nel migliore dei casi, lo possa avere solo alla luce del Vaticano II. L’unica maniera per rendere credibile il Vaticano II è presentarlo chiaramente com’è: una parte dell’intera e unica tradizione della Chiesa e della sua fede”. È solo l’ultimo dei ventuno concili della Chiesa cattolica.
Infine, in questo tempo di contagio, rischioso per la nostra vita sulla terra, onde aiutare il reverendo in questione, e molti altri, a vivere la quaresima come tempo di penitenza per giungere alla riconciliazione della Pasqua, mi si permetta di chiarire l’equivoco sulla natura del sacrificio e il suo nesso con la penitenza, dando la parola al grande sant’Agostino: «Vuoi riconciliarti con Dio? Comprendi ciò che fai con te stesso, perché Dio si riconcili con te. Poni attenzione a quello che si legge nello stesso salmo (50): “Non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti” (18). Dunque, resterai senza sacrificio? Non avrai nulla da offrire? Con nessuna offerta potrai placare Dio? Che cosa hai detto? “Non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti” (50,18). Prosegui, ascolta e prega: “Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi”. Dopo aver rifiutato ciò che offrivi, hai trovato che cosa offrire. Infatti, presso gli antichi offrivi vittime del gregge e venivano denominati sacrifici. “Non gradisci il sacrificio”: non accetti più quei sacrifici passati, però cerchi un sacrificio. Dice il salmista: “Se offro olocausti, non li accetti”. Perciò dal momento che non gradisci gli olocausti, rimarrai senza sacrificio? Non sia mai.” Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi. Hai la materia per sacrificare, non andare in cerca del gregge. Non preparare imbarcazioni per recarti nelle più lontane regioni da dove portare profumi. Cerca nel tuo cuore ciò che è gradito a Dio. Bisogna spezzare minutamente il cuore. Temi che perisca perché frantumato? Sulla bocca del salmista tu trovi questa espressione: “Crea in me, o Dio, un cuore puro” (50,12). Quindi deve essere distrutto il cuore impuro, perché sia creato quello puro». Discorso 19,2-3;CCL 41,253-254).
Il Signore conceda a noi e a molti nella Chiesa odierna, in specie ai pastori, un po’ della sapienza del grande vescovo e dottore!
Nicola Bux