Se l’isolamento torna a essere un valore

Ho sempre pensato che il buon Dio, oltre che onnipotente, sia anche sottilmente ironico. E in questi giorni ne abbiamo la conferma.

Tempo fa il Vaticano ha emanato, con un paio di documenti, nuove norme per coloro che fanno vita contemplativa, i monaci e le monache che vivono nei monasteri. Si tratta di documenti tutti tesi a stravolgere il monachesimo nel nome dell’apertura, del rinnovamento e dell’aggiornamento, secondo l’idea che starsene chiusi entro quattro mura, in preghiera, sia sostanzialmente inutile, perché ciò che conta è l’impegno sociale. Di qui anche l’idea balzana che le monache debbano addirittura uscire dai conventi per frequentare corsi di aggiornamento, manco fossero manager in carriera.

Su questo stravolgimento ho scritto un librino, intitolato Claustrofobia, nella cui introduzione una monaca di clausura (costretta all’anonimato) parla di “sterminio silenzioso” della vita contemplativa, un crimine premeditato da chi, non credendo nella potenza del divino, ha la pretesa di imporre la propria visione tutta orizzontale della vita religiosa, ridotta ad assistenzialismo sociale.

Del resto, conosciamo gli slogan della “Chiesa in uscita”: apertura, accoglienza, ponti e non muri eccetera.

Ma ora ecco che sulle nostre città e sulle nostre contrade si abbatte, inattesa, un’epidemia, ed ecco che, all’improvviso, scopriamo che per difenderci, per cercare di ostacolare l’assalitore, la ricetta non sta certamente nell’apertura, bensì nella chiusura. Vietato avere contatti ravvicinati, vietato toccarsi, vietato stare in gruppo. Meglio l’isolamento, meglio starsene in casa e limitare le uscite allo stretto indispensabile. Certo, non è una chiusura liberamente scelta e abbracciata come nel caso delle claustrali, ma l’indicazione resta chiara: a volte i muri servono, eccome, e serve starsene al riparo. Se i ponti sono importanti, anche i muri hanno una loro funzione per niente trascurabile e, anzi, nei momenti difficili, di “emergenza” come si dice oggi, sono proprio i muri quelli che ci permettono di difenderci.

I documenti di cui sopra vogliono combattere, o quanto meno annacquare, l’isolamento, considerato un male perché allontana dai problemi della società. Si vuole ignorare che proprio nell’isolamento dei monasteri, da parte di uomini e donne che cercavano Dio, la cultura classica fu conservata e trasmessa a noi moderni. Si vuole ignorare che proprio nei monasteri sopravvisse la scienza medica, in grado di assicurare assistenza e cura durante carestie e pestilenze.

E ora, nel momento della difficoltà, isolamento e separazione tornano improvvisamente a essere valori, non disvalori. E il chiudersi, il trincerarsi, diventa legittima forma di protezione.

Ecco perché parlo di sottile ironia del buon Dio, che trova sempre il modo di mescolare le nostre povere carte, mostrandoci quanto siamo stolti nella nostra pretesa di fare a meno di lui.

“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore… Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia” (Ger 17,5-10).

A.M.V.

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Fotografia di Aldo Maria Valli ©

 

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