Cari amici di Duc in altum, Paolo Gulisano, medico e scrittore, mi ha inviato questo articolo che vi propongo.
A.M.V.
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Siamo arrivati al terzo mese di epidemia da Covid-19, anzi di pandemia, come ha formalmente dichiarato l’Organizzazione mondiale della sanità. E forse proprio in virtù di questa dichiarazione negli ultimi giorni il vescovo di Roma ha dedicato maggiore attenzione all’emergenza.
Nei primi due mesi gli interventi del pontefice sull’argomento sono stati pochissimi; il suo interesse è restato focalizzato sui temi canonici: accoglienza dei migranti, misericordia, mali del populismo. Ma ormai è diventato impossibile ignorare l’esistenza del problema, sia per le crescenti restrizioni alle libertà individuali, sia per il fatto che prima le diocesi del Nord hanno deciso di sospendere la celebrazione delle Sante Messe e poi la stessa Conferenza episcopale italiana – che peraltro ha con il vescovo di Roma un legame molto importante, evidentemente – ha decretato la sospensione di ogni celebrazione liturgica in pubblico.
Così Jorge Mario Bergoglio ha incominciato a dedicare all’epidemia alcuni brevi interventi, e negli scorsi giorni si è anche recato in pellegrinaggio presso Santa Maria Maggiore e la chiesa di san Marcello al Corso.
Ma l’intervento magisteriale più importante è quello che ha fatto oggi, affidando il suo pensiero al giornale del cuore, ovvero Repubblica. Questa volta l’interlocutore non è stato il confidente di sempre, Eugenio Scalfari, ma il vaticanista Paolo Rodari.
E quali sono le considerazioni del papa? Esaminiamole punto per punto. La prima domanda dell’intervistatore verte su che cosa abbia domandato quando è andato a pregare nelle due chiese romane. Risposta: “Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo”. Una risposta laconica, che esprime in modo generico il sentimento e la speranza che ogni individuo nutre in questo momento. Nessuna invocazione speciale, nessuna consacrazione, nessun atto di affidamento.
Alla seconda domanda, che entra nel vivo della situazione di incertezza, ansia e paura vissuta da milioni di persone, il successore di Pietro risponde che “dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni da avere verso chi ci sta vicino…”. Insomma: qualche parola buona, qualche carezza, qualche abbraccio. Peccato che baci, abbracci e carezze siano proibiti dalle leggi draconiane in atto.
Il papa continua dicendo che spesso nelle nostre case c’è freddezza e non c’è comunicazione, perché ognuno si fa i fatti suoi e le persone “sembrano tanti monaci isolati l’uno dall’altro”. Notiamo che, come sempre, quando c’è da esprimere un concetto negativo, Begoglio ricorre alle metafore religiose. Non si capisce proprio perché le persone chine sui propri cellulari dovrebbero richiamare l’immagine di monaci “isolati l’uno dall’altro”. Ma si sa: il monachesimo, l’orazione e il silenzio non sono cose molto amate dalle parti di Santa Marta.
L’intervistatore passa quindi a toccare un argomento assai importante: il problema del lutto di chi ha perso qualcuno dei propri cari, il mistero del dolore, da sempre oggetto dell’attenzione della teologia e della spiritualità cristiana. A questo proposito però Bergoglio evita di entrare nel merito e porta il discorso sul tema della consolazione. Oh bene, dice dentro di sé il lettore di buona volontà: finalmente si potrà leggere qualche richiamo a Dio e alla fede. Invece, nulla di tutto ciò. Dio e la fede non compaiono. Bergoglio torna piuttosto sul tema del comportamento con gli altri, e fa esplicitamente riferimento a un articolo (pubblicato sempre da Repubblica, naturalmente) di Fabio Fazio. Il bianco vescovo dunque non si attarda a citare il Vangelo, sant’Agostino o qualche Padre della Chiesa, ma punta tutto sul noto conduttore televisivo. E che cosa ha scritto Fazio da aver tanto colpito il santo padre? Ha scritto che “i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri”. E bravo Fazio, che l’ha brillantemente colto!
Ma c’è un’ulteriore riflessione faziana che ha molto colpito il papa, il quale la rilancia alla grande: “È evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato, ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua”. Un’affermazione che Bergoglio sottoscrive in pieno.
A questo punto dell’intervista lo sconforto è al massimo, specialmente se il lettore, come nel caso del sottoscritto, è un medico. Come sarebbe bello se il papa riuscisse a comprendere che l’evasione fiscale – che per lui è uno dei pochissimi peccati rimasti – non c’entra nulla con la mancanza di respiratori. Come sarebbe bello se riuscisse a capire che questa situazione di emergenza è stata determinata da scelte politiche fatte negli anni scorsi, che hanno tagliato miliardi di euro di risorse per la Sanità: posti letto, medici, infermieri. Scelte politiche sciagurate: questa la causa dei problemi. Non l’evasione fiscale di qualche commerciante che non fa lo scontrino.
Sarebbe bello se Bergoglio potesse o volesse capire tutto questo, così come il fatto che il diffondersi dell’epidemia dalla sua amata Cina al resto del mondo è anche conseguenza delle mancanze di controlli verso chi viaggia, in nome della globalizzazione e dell’ideologia dello spostamento illimitato e incontrollato. Ma dubitiamo che capisca, anche perché l’intervista si chiude senza alcun giudizio su ciò che sta accadendo, senza nessuna lettura del dolore o della morte in una visione di fede, senza dare alcun significato al male che un piccolissimo virus ha scatenato, mettendo in crisi il mondo e la sua presunzione ipertecnologica.
Sarebbe bastato citare Giobbe. Ha preferito citare Fazio.
L’intervista si chiude con un generico appello all’amore universale. Pertanto, mi chiedo, perché intervistare il papa? Sarebbe bastato il Gran Mogol delle Giovani Marmotte.
Paolo Gulisano