Cari amici di Duc in altum, l’amico Aurelio Porfiri prosegue nella sua carrellata di consigli letterari. Dopo La rivoluzione nell’uomo. Una lettura anche teologica del ’68, di Corrado Gnerre (Fede & Cultura) oggi ci propone le Lettere a Lucilio di Lucio Anneo Seneca.
A.M.V.
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Secondo illustri studiosi ci furono contatti fra il grande pensatore romano Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65 d.C.) e ambienti cristiani, segnatamente con san Paolo. In un articolo di Gian Enrico Manzoni, su Avvenire, si dà conto degli studi di Marta Sordi che supporta una tesi del genere: “Marta Sordi si pronuncia innanzitutto a favore della probabilità di una conoscenza personale tra Paolo e Seneca. L’arrivo dell’apostolo a Roma andrebbe collocato nel biennio 56 – 58, quando Seneca era potentissimo a Roma e influente consigliere di Nerone; Paolo avrebbe avuto in quel periodo buone amicizie tra i pretoriani, guidati da quel prefetto, Afranio Burro, che sappiamo amico di Seneca: in tale contesto l’ipotesi di un incontro tra le due grandi personalità non è certo inverosimile, anche se non abbiamo alcuna prova certa in merito. Abbiamo invece la prova di un rapporto tra la famiglia di Seneca, la gens Annaea, e Paolo stesso, attraverso un’iscrizione funeraria della fine del I o dell’inizio del II secolo, trovata a Ostia, luogo del martirio di Paolo”.
Sia quello che sia, è certo che la lettura di Seneca è certamente salutare anche in una prospettiva cristiana, in quanto nel suo pensiero tanti sono i punti di contatto con il pensiero della nuova religione che stava per dilagare nel mondo.
Uno dei testi fondamentali in questo senso sono le Lettere a Lucilio, che consulto nell’edizione Garzanti e nella traduzione dal latino di Caterina Barone.
In questa raccolta di lettere sono tanti i temi trattati e tanti i motivi di riflessione che ci vengono offerti.
Leggiamo nell’introduzione: “Nato a Cordova nel 4 a.C. (ca.), Lucio Anneo Seneca visse in un momento storico caratterizzato da due avvenimenti di singolare importanza: l’avvento del cristianesimo e il consolidarsi della nuova forma di governo instauratasi a Roma, l’impero. Ma se quest’ultimo ebbe un’importanza determinante nella vita di Seneca, altrettanto non si può dire per il cristianesimo, il cui influsso, se fu reale, si avverte solo marginalmente nella sua morale e nelle sue opere; infatti, quei punti di contatto che possono individuarsi nei suoi scritti devono probabilmente essere ricondotti nell’ambito della filosofia stoica, sia pure permeata di quella spiritualità che la nuova religione andava sempre più diffondendo”.
Nella prima lettera, ecco una bella riflessione sullo scorrere del tempo: “Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata”. E poi: “Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro”. Una riflessione che sarà approfondita da autori cristiani di primo piano, come sant’Agostino.
Nella seconda lettera ecco qualche altra perla: “Chi è dappertutto, non è da nessuna parte”. E poi: “Povero non è chi ha poco, ma chi vuole di più”.
Nella quarta lettera una riflessione molto profonda sulla morte: “Nessun male è grande se è l’ultimo”. E ancora: “Tu, invece, preparati ogni giorno a lasciare serenamente questa vita a cui tanti si avvinghiano e si aggrappano, come chi è trascinato via dalla corrente si aggrappa ai rovi e alle rocce”.
Nella quinta lettera: “Un unico consiglio: non abbigliarti e non vivere in maniera stravagante, come le persone che non vogliono progredire, ma mettersi in mostra”; “Bisogna essere nell’intimo completamente diversi dagli altri, ma simili al resto della gente nell’aspetto esteriore”. Ma il ricco Seneca avverte anche: “La filosofia richiede frugalità, non sofferenza, e la frugalità può essere decorosa”.
Tutto ciò conduce il pensatore a riflettere anche sulla valenza da dare al desiderio: “Ma voglio dividere con te anche il piccolo guadagno di oggi: ho letto nel nostro Ecatone che non avere più accesi desideri serve anche come rimedio alla paura. ‘Non avrai più paura se smetterai di sperare’. ‘Ma – potresti obiettare – come fanno a stare insieme sentimenti tanto diversi?’ Eppure è così, Lucilio mio: sembrano in contraddizione e invece sono collegati. Come le stesse manette legano il detenuto e la guardia, così elementi tanto differenti procedono di pari passo: la paura segue la speranza. E non mi meraviglio che le cose vadano così: speranza e timore sono contrassegni di un animo inquieto e preoccupato del futuro. La loro causa prima è che noi non ci adattiamo al presente, ma ci spingiamo lontano con il pensiero; per questo la capacità di fare previsioni, che pure è una delle qualità migliori dell’uomo, si risolve in un male. Le belve evitano i pericoli che vedono e, una volta schivatili, si sentono al sicuro: noi ci tormentiamo e per il futuro e per il passato. Molte nostre prerogative ci nuocciono; la memoria rinnova l’angoscia della paura, il prevedere il futuro ce l’anticipa; nessuno è infelice solo per il presente”.
Ci farà bene meditare con Seneca, specie in questo tempo.
Aurelio Porfiri
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Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, Garzanti