Tanto per essere chiari
Caro dottor Valli, mi sono divertito un sacco – come dicono a Roma – nel leggere su Facebook i commenti al mio ultimo post Valutazioni papali papali: per alcuni padre Giocondo sarebbe lo stesso Aldo Maria Valli sotto mentite spoglie (ringrazio per l’onore di un tale accostamento, ma la mia povera penna dista anni luce da quella del brillante e profondo vaticanista); per altri invece padre Giocondo non esisterebbe affatto, né esisterebbe il suo convento con i suoi strampalati confratelli.
A conforto di tutti i lettori, benevoli e meno benevoli, mi permetto di precisare quanto segue: 1) io esisto veramente (Cartesio al mio posto direbbe: «Scrivo, dunque sono!»), appartengo a un ordine religioso e sono prete; 2) insieme con me esiste anche il mio convento con i diversi confratelli che vado presentando un po’ alla volta (non ho ancora finito di presentarli tutti); 3) ovviamente, il mio nome – come pure quello degli altri frati – è un semplice pseudonimo (cosa questa che il dottor Valli aveva già specificato fin dall’inizio: ma evidentemente c’è sempre qualche lettore un po’ distratto).
In tempi di coronavirus bisogna pur trovare un hobby o un diversivo per alleggerire la situazione: io ho trovato quello di affibbiare ai miei confratelli nomi impossibili che ne descrivano in breve le principali caratteristiche. E uno di loro ha fatto la stessa operazione nei miei confronti, regalandomi il nome con cui mi sottoscrivo.
E che bisogno ci sarebbe di occultare la propria identità, ricorrendo a un nome di fantasia?
Se qualcuno pone questa domanda, allora vuol dire che non ha capito un fico secco dello stato dittatoriale e inquisitorio in cui è precipitata la Chiesa cattolica da sette anni a questa parte, ed è completamente ingannato dalla patina di buonismo che ancora avvolge la vera identità degli attuali padroni della Chiesa stessa.
Fratelli e sorelle, non sarà il caso di aprire gli occhi una volta per tutte?
Ma passiamo al tema di questo post.
Il miracolo più strepitoso
Caro dottor Valli, in questi giorni ci sono giunte in convento due e-mail importanti: 1) la prima del nostro superiore provinciale padre Adolfo da Furore [1] il quale ci ordina di chiudere le nostre chiese e di evitare qualsiasi contatto con la gente di fuori; 2) la seconda del nostro vescovo diocesano il quale, salvo in ogni caso il rispetto delle recenti indicazioni prudenziali della Cei, ci invita a lasciare le chiese aperte specie durante la celebrazione delle Messe di orario, a rimanere a disposizione dei fedeli per qualsiasi necessità spirituale e a fare in chiesa «tempi generosi di adorazione eucaristica».
È inutile dire che la nostra comunità ha scelto immediatamente di aderire alle richieste del vescovo, riservandoci poi di comunicare la cosa al nostro segretario provinciale, padre Buro da Zagarolo. [2] Si è anche deciso di fare alcune ore di esposizione sia al mattino che al pomeriggio, assegnando il coordinamento del tutto al sottoscritto.
In questo modo mi trovo a trascorre diverse ore al giorno nella nostra chiesa, alla presenza del Signore solennemente esposto: e ne sono felice! Un po’ sto in ginocchio, un po’ seduto, e un po’ passeggio su e giù lungo la navata laterale, in dialogo orante con l’Ospite divino. Mi sembra a volte di assomigliare al don Camillo di Guareschi, che percorreva ad ampie falcate la sua chiesa, dialogando ad alta voce con il grande crocifisso del presbiterio, che puntualmente gli rispondeva. Certo, a me il Signore non risponde allo stesso modo, ma se pongo attenzione non mi fa mancare le sue ispirazioni.
E se la cosa può interessare a qualcuno, ecco che cosa gli dico.
Innanzitutto, lo adoro profondamente. Egli è il tutto e noi il nulla, io in particolare. La sua sapienza è semplicemente strabiliante, specie quando riesce a umiliare la superbia del mondo intero servendosi di una entità invisibile e inafferrabile, prodotta – come tutti sospettano – dall’uomo stesso in qualche laboratorio, per finalità indicibili.
Poi gli ricordo che, certo, sono molto preoccupato per la salute corporale di tante persone in Italia e in molte altre nazioni della terra; ma ciò che mi preoccupa ancora di più è la salute spirituale della sua Chiesa, terribilmente confusa e divisa al suo interno, per colpa di colui che ne regge le sorti a partire dal 19 marzo 2013.
E a tal proposito, con le lacrime agli occhi e il sorriso nel cuore, ringrazio il Signore perché per mezzo di “fratello virus” è riuscito a svuotare in un attimo la basilica e la piazza San Pietro, ridimensionando terribilmente il sovrano, la sua corte e le sue iniziative. E aggiungo ad alta voce: «Signore caro, hai fatto trenta: adesso fa’ trentuno!».
Lui mi capisce a volo, ma i lettori forse no; perciò mi spiego.
Chiedo al Signore che compia un miracolo ancora più strepitoso: cioè che per mezzo di “fratello virus” convinca il pontefice regnante e i guardiani della sua folle rivoluzione ad abbandonare per sempre Roma! Sì, avete letto bene: abbandonare per sempre Roma, la Città Eterna, la Sede dell’apostolo Pietro e dei suoi successori! Sarebbe una grazia incommensurabile, un evento epocale, la fine di un incubo terrificante!
Questa idea non è il frutto di una cattiva digestione notturna, ma lo sviluppo logico di ciò che si veniva vociferando in tempi non sospetti, da parte di persone non lontane dall’attuale dirigenza vaticana: l’ipotesi di un trasferimento di Bergoglio a Guidonia, nell’estrema periferia nord della diocesi di Roma; o addirittura di un suo trasferimento in Messico (il che sarebbe molto ma molto meglio, sotto tutti i punti di vista). La prima voce prese a circolare nel gennaio del 2017, la seconda nel maggio del 2019.
«Signore caro, hai fatto trenta: adesso fa’ trentuno!».
Quanto vorrei che anche altre persone, comprese le numerose monache di clausura che seguono con affetto Duc in altum, si unissero a questa preghiera! Chiedo troppo? Suvvia, reverende consorelle: tra tante intenzioni che deponete quotidianamente nel Cuore sacratissimo del vostro Sposo celeste e nel Cuore immacolato della sua dolcissima Madre, aggiungete anche quella che mi sono permesso di suggerire.
Ci può sostenere in una simile richiesta, che potrebbe apparire un po’ impertinente, un passaggio dei messaggi di Anguera, già citato qualche tempo fa: «Cari figli, verrà il giorno in cui le maschere cadranno e i lupi fuggiranno» (messaggio n. 4556, del 14 novembre 2017).
Vergine santa, corredentrice e mediatrice di grazia, tu sai meglio di noi che cosa può essere utile per la santa Chiesa, e cosa no. Come figli smarriti noi ti manifestiamo i nostri desideri, che a volte hanno un senso e a volte no. Su una cosa, però, non ci dovrebbero essere dubbi: sono passati ormai sette anni dalla rinuncia di papa Benedetto all’esercizio attivo del suo ministero petrino, e le sue forze vanno scemando velocemente. Occorre quindi che nella Chiesa vi sia una svolta, una chiarificazione che allontani i dubbi e le nebbie; una purificazione che separi per sempre il grano dalla pula.
Vergine santa, fa’ presto, perché sono già sette anni che non abbiamo più vino!
Padre Giocondo da Mirabilandia
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[1] Furore è un comune in provincia di Salerno.
[2] Zagarolo è un comune in provincia di Roma.