Santa pazienza! L’esclamazione faceva parte del repertorio dei nostri nonni, ma è tornata di moda. Ci vuole davvero tanta pazienza in questi giorni segnati da mille restrizioni.
Pazienza (dal verbo patire) è capacità di sopportare il limite che provoca sofferenza. Non a caso il malato è un paziente.
Sant’Agostino scrisse che la pazienza è una virtù dell’anima, un grande dono di Dio. Va dunque richiesta. “I pazienti preferiscono sopportare il male per non commetterlo piuttosto che commetterlo per non sopportarlo”.
Ci può essere anche una pazienza cattiva. In vista del crimine che vuole compiere, il criminale può essere paziente. È il fine che determina la qualità morale della pazienza.
Il cristiano sopporta i mali terreni in vista del bene eterno. La pazienza è componente delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
La pazienza va esercitata in particolare contro il diavolo, che le prova tutte. La pazienza di Giobbe è diventata emblematica. “Dio ha dato, Dio ha tolto: sia benedetto il nome del Signore”. Giobbe è uomo di Dio: la sua pazienza è espressione di fedeltà in ogni circostanza.
La pazienza che guarda a Dio non è passività, non è l’atarassia (ἀταραξία, “assenza di agitazione”), l’imperturbabilità degli stoici. È un mettersi nelle mani di Dio con fiducia e riconoscenza, in vista del bene più alto. In questo senso i nostri nonni avevano proprio ragione quando dicevano “santa pazienza”.
Se in questi giorni ci armeremo di santa pazienza, ne usciremo più forti. Perché più vicini a Dio.
A.M.V.