L’ansia (dal latino anxi, passato di ango: stringere, soffocare, da cui anche angina e angoscia) ti stringe il cuore, ti soffoca l’anima. In certi momenti lo stato di agitazione è tale da farti sentire prigioniero.
Come la paura, l’ansia può essere utile, perché funziona come un sistema d’allarme. Ma se supera una certa soglia diventa un tormento e può portare a conseguenze drammatiche.
Io non credo di essere un ansioso, ma in questi giorni, segnati dal coronavirus, avverto un certo stato di soffocamento dovuto all’eccessiva esposizione alle notizie sulla pandemia. Sono combattuto. Da un lato, anche per deformazione professionale, vorrei leggero tutto, seguire tutto; dall’altro mi accorgo che più accumulo dati più mi sento confuso. La scienza non ha risposte precise, la politica men che meno. E l’ansia è dietro l’angolo.
Vuol dire che è meglio non informarsi? Certo che no. Personalmente, però, faccio ricorso a una modica quantità di informazioni.
Confesso che guardo sempre meno anche i messaggi che ricevo tramite i social. Troppi dati, troppe ipotesi, troppi dubbi. Non dico che faccio come lo struzzo, ma di certo seleziono molto. Credo anzi che l’arte di selezionare, di discernere (da cèrnere: vagliare, separare, setacciare) sia indispensabile quando si è esposti a un flusso sovrabbondante di dati, notizie, commenti.
In mezzo a tanta incertezza, la fede è l’ancora di salvezza, è il porto sicuro, è parola che non tradisce. E fa molto bene contro l’ansia. “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118 [119], 105). È liberante potersi affidare.
A.M.V.