Pietro, Vicario di Cristo. Non solo un “titolo storico”
Come certamente avrete appreso, nell’edizione 2020 dell’Annuario pontificio c’è una novità.
Proprio nelle prime pagine, dove viene presentato il papa regnante, c’è il nome del pontefice, Jorge Mario Bergoglio, c’è una sua breve biografia e poi, sotto la definizione di “titoli storici”, c’è l’elenco dei termini che connotano l’identità spirituale, religiosa e giuridica del romano pontefice: Vicario di Gesù Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, Sommo Pontefice della Chiesa Universale, Primate d’Italia, Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano e Servo dei Servi di Dio.
Se si confronta questa presentazione con quella dell’Annuario pontifico 2019 si nota subito un cambiamento che non è soltanto di impostazione grafica. Fino all’anno scorso, infatti, prima di tutto, in caratteri grandi, veniva il titolo di Vicario di Gesù Cristo, poi, in caratteri più piccoli, c’erano gli altri titoli e poi ancora veniva il nome del papa regnante, seguito dalla biografia essenziale.
Un cambiamento del genere di certo non può essere avvenuto se non su richiesta del papa stesso, per cui sarebbe interessante sapere da lui il motivo di questa novità. Tenuto conto che stiamo parlando dell’identità stessa del papa, penso che i fedeli cattolici avrebbero il diritto di conoscere dalla viva voce del pontefice che cosa lo ha spinto a cambiare.
Da parte nostra, possiamo fare qualche semplice osservazione.
Mentre in precedenza ciò che risaltava era il titolo di Vicario di Gesù Cristo, nella nuova formula ciò che risalta su tutto è il nome di colui che in questo momento è sul soglio di Pietro. C’è dunque una sorta di ribaltamento di prospettiva, così che ora la dimensione umana del papa sembra prevalere su quella spirituale.
Nella vecchia formula, ciò che la Chiesa cattolica riteneva più importante veniva messo in alto, in caratteri grandi. Come dire: ecco ciò che conta. Dopo di che veniva il nome del papa regnante, il quale certamente non è poco importante, ma altrettanto certamente viene dopo, perché il papa è colui che è chiamato a essere Vicario di Cristo per un tratto di strada nella storia degli uomini.
Ora invece il fatto che il titolo che designa l’investitura sancita nel Vangelo (“Tu sei Pietro e su questa pietra…”), si trovi più in basso, tra i cosiddetti “titoli storici”, sembra dire che si tratta solo di una tradizione, qualcosa che abbiamo ereditato da tempi lontani, ma non di grande significato per noi oggi.
In un singolare commento ho letto che il papa regnante avrebbe chiesto il cambiamento in quanto “notoriamente allergico ai titoli onorifici”. Una frase senza senso, intanto perché quello di Vicario di Gesù Cristo non è un titolo onorifico ma è un attributo che ci dice proprio l’identità più profonda e più vera del pontefice, e poi perché, se davvero il papa avesse ragionato così, significherebbe che non è consapevole di ciò che significa essere vicario di Gesù Cristo.
Provoca comunque una certa inquietudine vedere l’appellativo di Vicario di Cristo inserito fra quelli che vengono definiti “titoli storici”. Come se l’appellativo stesso avesse soltanto, appunto, valore storico, non teologico e spirituale.
Nel libro-intervista Varcare la soglia della speranza (1994), Giovanni Paolo II, rispondendo a una domanda di Vittorio Messori, disse: “Il Papa è detto anche Vicario di Cristo. Questo titolo va visto nell’intero contesto del Vangelo. […] In questa prospettiva, l’espressione Vicario di Cristo assume il suo vero significato. Più che a una dignità, allude a un servizio: intende cioè sottolineare i compiti del Papa nella Chiesa, il suo ministero petrino, finalizzato al bene della Chiesa e dei fedeli. Lo aveva capito perfettamente san Gregorio Magno il quale, tra tutte le qualifiche connesse con la funzione di Vescovo di Roma, prediligeva quella di Servus servorum Dei (Servo dei servi di Dio)”.
Sull’appellativo di Vicario di Cristo si potrebbero fare moltissime considerazioni, da molteplici punti di vista. Sotto il profilo teologico, risaltano le parole rivolte da Gesù a Pietro: “Pasci le mie pecore… Pasci il mio gregge” (Gv 21:16-17). Ecco perché Pietro diventa vicario. Vicario significa infatti “fare le veci”, esercitare un’autorità o una funzione in rappresentanza di un’altra persona di grado superiore.
Come ha stabilito il Concilio di Firenze del 1439, la parola vicario sta a indicare l’occupare il posto di Gesù come pastore, missione ricevuta unicamente da Pietro. Siamo dunque di fronte a una relazione che è proprio peculiare di Pietro e dei suoi successori. Ecco perché, in precedenza, nell’Annuario pontifico questo appellativo veniva posto in alto, con particolare rilievo.
Nel Catechismo della Chiesa cattolica leggiamo: “Del solo Simone, al quale diede il nome di Pietro, il Signore ha fatto la pietra della sua Chiesa. A lui ne ha affidato le chiavi” (n. 881).
Per dirla tutta, sminuire il ruolo del papa quale Vicario di Cristo, e farne solo il vescovo di Roma, è da protestanti.
Aldo Maria Valli
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Fonte: rubrica La trave e la pagliuzza per Radio Roma Libera