Durante il pranzo di Pasqua sul terrazzo di casa, in regime di quarantena causa coronavirus, con le figlie si parla delle paure dei giovani, e una delle ragazze dice: “Forse la nostra generazione di quasi trentenni è bloccata dalla mancanza di prospettive. Anche prima della pandemia, tutto ci appariva incerto. Siamo i figli dell’insicurezza. E adesso ancora di più”.
Provo a buttare lì un commento: “Bisognerebbe aver più fiducia nella Provvidenza divina, senza pretendere di controllare tutto”. Ma la conversazione, sul punto, si esaurisce lì.
Più tardi vedo che il caro amico Giovanni Lugaresi con gli auguri di Pasqua mi ha mandato un brano tratto da una lettera indirizzata alla moglie da Giovannino Guareschi quando, nel 1954, lo scrittore era chiuso in carcere.
Il papà di don Camillo e Peppone, in un momento molto difficile della sua vita, scriveva così: “Completa è la mia fiducia nella Provvidenza che, per essere veramente tale, non deve mai essere vincolata da scadenze. Mai preoccuparsi del disagio di oggi, ma aver sempre l’occhio fisso nel bene finale che verrà quando sarà giusto che venga. I giorni della sofferenza non sono giorni persi: nessun istante è perso, è inutile, del tempo che Dio ci concede. Altrimenti non ce lo concederebbe”.
Sì, bisogna aver fiducia nella Provvidenza. Il bene finale verrà quando sarà giusto che venga. Quel che è certo è che verrà.
A.M.V.