Cari amici di Duc in altum, Aurelio Porfiri prosegue nella carrellata di consigli di lettura. Oggi tocca al volume Alla luce del mito di Marcello Veneziani.
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Bisogna essere in grado di assorbire quello che c’è di buono anche in autori che non si riconoscono nel nostro stesso credo religioso o politico. Un autore non strettamente cattolico (anche se ha sempre riconosciuto l’importanza della religione, in senso crociano) ma che ha avuto un’influenza importante su di me è Marcello Veneziani, del quale consiglio Alla luce del mito. Guardare il mondo con altri occhi (Marsilio), testo di grande fascino e intelligenza, come del resto gli altri libri di questo pensatore.
Il libro è un viaggio intorno all’idea di mito, contro la riduzione del tutto alla materia. Mito non inteso come “immaginario”, ma come verità remote eppure presenti sotto un involucro da decifrare. Non tutti i miti sono per forza positivi, ma la loro comprensione è importante per capire noi stessi. Dice Veneziani a un certo punto: “Il mito è visione della realtà nelle sue connessioni profonde e trascendenti, è la realtà elevata a racconto, disegno e profezia. Il mito non mente ma narra la vita su un altro piano, da un punto di vista superiore. Per dirla nello stesso linguaggio mitologico, è la vita e il mondo visti con gli occhi degli dei”.
Il viaggio di Veneziani nel mito è denso, a tratti entusiasmante, benedetto dalla viva intelligenza e dalla scrittura coinvolgente. L’autore ci avverte che il mito precede il logos: “In principio fu il verso. Prima del balbettio puerile, la voce fu un verso, animale e poetico. Prima del logos, la parola fu mito e poesia. Il verso precede il pensiero, e poi lo raccoglie, come un’essenza e un’eredità da mettere in salvo. Quel pensiero sorgente esce dal verso ed entra nel mito”.
Interessante la distinzione fra miti discendenti e ascendenti: “I miti sono discendenti o ascendenti, ossia possono provenire dall’alto come irruzioni celesti oltre l’umano, la storia e il mondo; o sono figure e fenomeni che emergono e si elevano dall’umano, dalla storia e dal mondo. Le prime si possono definire mitofanie, manifestazioni divine, segni celesti, forze superiori o soprannaturali discese dall’altrove. Nei casi di elevazione, invece, la mitizzazione somiglia al processo di cristallizzazione che Stendhal evocò a proposito dell’amore. Si cristallizza un’immagine, si separa dalle imperfezioni, da fluente si rende fissa; come il sale si fa diamante così la figura si fa mito”. Parole che ci fanno pensare, soprattutto per i miti ascendenti, all’incessante creazione di miti di cui si nutrono le società, dal mondo dello spettacolo a quello dello sport, dai marchi commerciali alle carriere politiche. Le società sono gigantesche macchine di produzioni di miti.
In un passaggio dal sapore mistico viene detto: “Il mito è quel che si può dire, l’Essere invece è quel che non si può dire. Il mito va narrato, l’Essere va taciuto. Il mito schiude, l’Essere racchiude. La verità è indicibile, il suo abito invece si può descrivere, magnificare e ricamare. Verso il mito si procede a occhi aperti, all’Essere si accede a occhi chiusi, in estasi o abbandono”.
Interessanti le osservazioni che mettono in luce il rapporto fra mito e religione: “Il mito precede la teologia e rende visibili e lucenti la fede e la religione, dotandole di una narrazione e un’epopea. Nessuna religione è pensabile e configurabile senza il mito e fuori di esso. Il mito è la placenta che la precede e l’alone che la segue, quando gli dei se ne vanno, tramontano o vengono dichiarati morti. Se il grande Pan è morto, il Mito non muore con lui ma ne assume l’eredità; trasmette il suo Dna divino, rigenera il mondo, consegna il suo patrimonio, ravvisa nel tramonto i segni e i bagliori di una rinascita”.
Scrive ancora Veneziani: “Con particolare fervore la teologia protestante si impegnò a demitizzare il mondo (si pensi a Rudolf Bultmann). Ma un teologo protestante come Dietrich Bonhoeffer ebbe il coraggio di riconoscere: se togli il mito togli la religione. Infatti la demitizzazione condusse all’irreligione”.
Questo libro va letto con calma, pagina dopo pagina, criticamente ma anche lasciandosi coinvolgere.
A proposito di mito e scienza, leggiamo: “Il punto d’incontro tra il pensiero mitico che ispira la visione e il pensiero critico che sorregge la ricerca scientifica è nella facoltà di scorgere nella realtà altre potenzialità, altri nessi e altri percorsi. Il mito, come la scienza, sorge dalla sete di vedere, narrare e pensare il mondo con altri occhi, sotto altra luce. Il mito è sintesi, la scienza è analisi. Il mito genera la visione, l’arte e il racconto. La scienza invece induce alla ricerca, alla sperimentazione e alla scoperta. Ambedue non si accontentano dei fatti apparenti e della loro sequenza, li oltrepassano”.
Vale la pena dedicare tempo ai testi di questo autore, che ci richiama all’importanza di parole come tradizione, identità, appartenenza, e che ci obbliga a un confronto serrato con il nostro tempo e con il modo in cui lo viviamo.
Aurelio Porfiri