Cari amici di Duc in altum, il contributo che oggi sottopongo alla vostra attenzione e valutazione arriva da un lettore italiano che vive in un paese arabo. La sua analisi della situazione della fede cristiana e di quella musulmana, così come della cosiddetta “cultura del dialogo”, è controcorrente. La domanda che pone è: quale il disegno complessivo e cui prodest?
A.M.V.
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Nel terzo capitolo dei Promessi sposi leggiamo che Renzo, recandosi dall’avvocato Azzeccagarbugli per cercare di salvare il suo matrimonio, porta con sé quattro capponi da regalare all’illustre giurista. Sono “povere bestie”, scrive Manzoni, che stando appese per le zampe, a testa in giù, vanno incontro a una brutta fine, ma intanto si beccano gli uni con gli altri, “come accade troppo sovente tra compagni di sventura”.
Ecco un’immagine che illustra bene, mi sembra, ciò che sta succedendo tra cristiani e musulmani, spesso intenti a beccarsi gli uni con gli altri mentre la sventura incombe su di loro.
Quale sventura? Lo dico subito: la perdita e lo svilimento delle loro rispettive fedi.
Gli insulti, le aggressioni verbali e le insofferenze, soprattutto da parte degli italiani verso i musulmani, crescono nell’ignoranza generale di come stiano effettivamente le cose e della minaccia che ci accomuna.
Ogni vero credente di una delle grandi religioni monoteistiche ha di che stare poco allegro in questi anni. Le ortodossie (dal greco όρθος, “retto”, “corretto” e δόξα, “opinione”, “dottrina”) sono minacciate ovunque e sono tutte in pericolo.
Le spinte mondiali verso la globalizzazione della fede (quasi fosse una merce) snaturano non solo le identità nazionali, le economie e le culture locali, ma anche le religioni.
L’Europa che ha perso le sue radici cristiane, e ha lasciato che i suoi popoli si scristianizzassero, accoglie ora musulmani che seguiranno lo stesso percorso e perderanno le loro radici.
“Venite! Su barche e barconi, legalmente o no. Venite! Ci penseremo noi a farvi perdere la vostra fede!”. Questo il manifesto pubblicitario, non scritto ma implicito, che campeggia ai confini dell’Europa.
A colpi di “uomini giusti ai posti giusti” e situazioni “strane dunque vere” (per parafrasare le famose rubriche del blog Duc in altum di Valli), oggi in Europa tutto ciò che è fede religiosa si annacqua e si svilisce.
Se tra i cattolici il bagaglio formato da dottrina, dogmi e tradizione è messo in discussione o rifiutato (vedi percorso sinodale tedesco), anche i musulmani sperimentano le loro deviazioni. In Germania e Francia molti chiedono che vi siano donne imam, e ci sono già donne che guidano la preghiera del venerdì.
Negli stessi paesi arabi nel giro di poco tempo sono cambiate molte cose. In Arabia Saudita non si contano le innovazioni: i primi festeggiamenti di capodanno con i fuochi d’artificio, le aperture al turismo internazionale, le discoteche halal, i concerti, i cinema, i ristoranti misti per uomini e donne. Tutte cose per noi scontate, ma che numerosi musulmani avvertono come estranee alla loro cultura.
Quanto al documento di Abu Dhabi sottoscritto dal papa e dal grande imam, e tanto pubblicizzato come segno di dialogo, occorre ricordare che non tutti i musulmani l’hanno apprezzato.
In Francia nel frattempo la laicità esasperata arriva a livelli mai visti di intolleranza verso ogni simbolo religioso, spingendosi fino al paradosso, come nel caso del divieto per le donne musulmane di indossare il velo a scuola o in ufficio e quello, rivolto ai cattolici, di allestire presepi in pubblico. Senza più rispetto non solo delle fedi, ma del semplice buon senso.
Come non tutti i cattolici sono felici di vedere loro fratelli nella fede mangiare nelle chiese, magari in compagnia di musulmani, non tutti i musulmani sono felici di vedere loro fratelli nella fede rompere il digiuno nelle chiese cattoliche.
Se molti cattolici si chiedono che diritto abbia il papa di firmare una dichiarazione, come quella di Abu Dhabi, dai contenuti molto discutibili se non eretici, ci sono anche musulmani che si chiedono che diritto abbia l’imam della moschea di Al-Azhar di parlare e firmare a nome dei musulmani, dato che i musulmani non hanno un loro rappresentante unico equivalente a ciò che è il papa per i cattolici.
Sempre a proposito di Abu Dhabi, si ha la netta sensazione che queste operazioni siano volute da chi, in realtà, non cerca il dialogo tra le fedi, ma il loro livellamento, così che, una volta annacquate, le religioni diventino sostanzialmente inutili, o utili solo per sostenere il disegno dell’umanitarismo globale. Queste operazioni, in realtà, danneggiano il vero dialogo e la vera comprensione. E non è un caso che gli scontenti di entrambe le parti, accusati di tradizionalismo e fanatismo, siano perseguitati e messi ai margini.
Che cosa si stia decidendo sopra la testa di tutti non è ancora chiaro, ma molto si va già delineando: la globalizzazione delle nostre fedi, diluite, mescolate e rese inconsistenti, è funzionale a un grande progetto che ci vuole tutti uguali e inconsapevoli. Tra poco non avrà più alcuna importanza essere un fedele dell’una o dell’altra religione. Tutti accetteremo i nuovi diritti (“civili”, “umani”, “ecologici”) mentre le religioni saranno buone solo per fare da stampella all’umanitarismo. Il gran proliferare di incontri, documenti e accordi ai più alti vertici religiosi va proprio in questa direzione: verso una grande religione globalizzata e informe, politicamente corretta, insapore e incolore.
L’esempio cinese è esemplare: un potere forte, complice il patto scellerato firmato dal papa, pretende di gestire e amministrare la Chiesa cattolica normalizzandola. E nel frattempo continua a perseguitare i cristiani così come i musulmani.
La realtà è che si sta tentando di screditare, uniformandole e rendendole scipite, tutte le grandi religioni, in modo tale da disarmarle e, nel tempo, distruggerle.
I musulmani veri soffrono al pari di noi per quanto accade alla loro ortodossia. E penso che molti di loro siano confusi come e più di noi.
Intanto, anziché prendere coscienza di questo attentato globale alle religioni, ci becchiamo fra noi. Come i capponi di Renzo.
Lettera firmata