Cari amici di Duc in altum, sul diritto al culto nuovamente negato dal governo ho ricevuto una lettera che voglio condividere con voi. L’ha scritta un sacerdote, don Luca. E merita riflessione. “Ai vescovi chiedo coraggio”, scrive don Luca, ricordando il giudizio di Dio.
A.M.V.
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Caro Aldo Maria Valli, abbiamo sofferto con la nostra gente per la fatica e le restrizioni che la situazione di pericolo ha imposto a tutti. Abbiamo obbedito a Dio, nella coscienza certa che amare il prossimo significasse accettare le norme emanate dal governo. Abbiamo obbedito al governo: senza protestare, senza mandare messaggi minatori, senza cantare, senza gridare. Rifarei tutto, come ho fatto finora.
C’è, tuttavia, un punto su cui adesso bisogna riflettere: di che cosa abbiamo bisogno? La logica di superamento delle attuali restrizioni è esattamente questa: ciò di cui non abbiamo bisogno assoluto riaprirà dopo. Già. Abbiamo bisogno di lavoro, di soldi e di svago. Non dico che non sia vero, ma quei diritti, che sono sacrosanti, non sono meno inalienabili della possibilità di pregare insieme, di celebrare il culto, di ricevere i sacramenti. Non stiamo chiedendo l’obbligo di partecipare alla Messa per tutti i cittadini italiani, ma la possibilità di partecipare per chi, nel rispetto delle norme di sicurezza, desideri accostarsi a Dio. Per i cattolici – per quelli veri, che non sono quelli adulti e quelli che fanno da soli in casa le nuove liturgie della creatività imbarazzante e vuota – è essenziale che ci sia la fonte della vita: la fonte, non la riserva.
Non ho paura della forza del governo. Non ho paura della libertà. Non ho paura delle conseguenze della fede. Ho paura del giudizio di Dio: mi chiederà che cosa ho fatto perché alla mia gente non mancasse il pane. Risponderò. Mi chiederà che cosa ho fatto perché alla mia gente venisse offerta la grazia dei sacramenti. Vorrei rispondergli così: non ho avuto paura, ci ho provato, ho pagato il prezzo del martirio. Ho paura di sprecare la grazia, non di perdere la vita.
Ai vescovi chiedo di essere coraggiosi: il tempo del cenacolo chiuso è finito. Senza la grazia dei sacramenti, celebrati per il popolo e con il popolo, non possiamo sperare di risolvere nulla. A meno che, pelagiani orgogliosi, ci immaginiamo così forti da poter dare noi stessi, senza offrire Dio.
Qualcuno di voi, cari vescovi, mi ricorderà che in fondo dobbiamo essere pronti a soffrire: lo sono, ma non per far soffrire il popolo santo di Dio. A quei teologi, poi, che mi ricordano che la chiesa domestica è la risposta alle fatiche di oggi dico così: nelle case entravano gli apostoli e spezzavano il Pane, non facevano i teatrini sulla Morte di Gesù.
A voi, amati fratelli e sorelle del popolo di Dio, dico così: non vi negherò i sacramenti! Sono libero, anche di pagare le conseguenze dell’Amore!
Don Luca