Cari amici di Duc in altum, ricevo e volentieri vi propongo questo articolo del professor Gian Pietro Caliari.
A.M.V.
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“E che dire del fatto che sono sancite molte disposizioni dannose nei confronti dei popoli, molte persino esiziali, ma ciò nonostante queste non portano il nome di legge, peggio che se dei furfanti le avessero stabilite nelle loro bande? Infatti […] nemmeno una legge relativa a un popolo, qualunque essa sia, può essere detta legge, se il popolo ne abbia ricevuto qualche danno. La legge pertanto è la distinzione del giusto e dell’ingiusto manifestata in conformità alla natura, che è il più antico e principale di tutti gli elementi a cui fanno riferimento le leggi umane, che colpiscono con pene i malvagi, e difendono e proteggono gli onesti” (De legibus II, 13).
Così ragionava Marco Tullio Cicerone argomentando sulla natura della legge, la quale mai può essere considerata tale se il suo fine è il male! Lex spectat naturae ordinem et nulla lex oritur ex injuria!
Il flebile miagolio notturno della Conferenza Episcopale Italiana, dopo l’ennesimo DPCM di un Presidente del Consiglio dei Ministri, che si è auto-proclamato novello Cesare e Pontifex Summus, non basta di certo a sanare mesi di abusi di potere e d’ufficio dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, né a compensare la complice inazione e le omissioni gravissime dell’episcopato italiano.
Neppure di fronte a infami abusi e a criminosi atti repressivi dei basilari diritti dei cittadini della Repubblica e dei diritti della Chiesa Cattolica, – compiuti sì dalle benemerite Forze dell’Ordine, ma istigate dal potere centrale – i vescovi non hanno saputo assumersi gli oneri derivanti dal loro sacro ministero: “I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi. Presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa. […] Nella persona quindi dei vescovi, assistiti dai sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 20-21).
Oggi, più che mai in passato, è giunto il tempo che i Christifideles agiscano opportune et inopportune ricordando ai signori Vescovi che i laici “comportandosi da cittadini a tutti gli effetti, debbono saper difendere la libertà della Chiesa per il compimento del suo proprio fine, non soltanto come enunciato teorico, ma rispettando e apprezzando il grande aiuto che essa presta al giusto ordine sociale (Apostolorum Sucessores, Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi, can. 110).
Una tale azione, rettamente ispirata, è oggi urgente, necessaria e improcrastinabile perché sono state scientemente sovvertite le fondamenta della Repubblica Italiana e sono state ulteriormente e velocemente consolidate motivazioni e strutture per l’attuale e, sopratutto, futura persecuzione della Chiesa e dei cattolici italiani.
Infatti, “fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell’agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani” (Concilio Vaticano II, Dignitatis Humanae, 13).
Dal punto di vista meramente giuridico e politico, gioverebbe ricordare che il Presidente del Consiglio dei Ministri “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile” (Costituzione Italiana, art. 95).
Ebbene, il Signor Giuseppe Conte – solo per quanto attiene alla libertas religionis et Ecclesiae – è direttamente responsabile della violazione palese, colposa e reiterata dell’articolo 7 della Costituzione (“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”); e dell’articolo 19 (“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma […] e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”).
Inoltre, della violazione grave e reiterata – senza che si sia preceduto ad un atto di denuncia unilaterale – di Patti Internazionali bilaterali e multilaterali ratificati dal Parlamento della Repubblica Italiana.
In primis, dell’Accordo di Villa Madama del 1984 che regola i rapporti fra due enti – lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica – che “sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” (art. 1).
Sarebbe utile, tanto per il Signor Conte quanto per i signori vescovi italiani, ricordare alcuni aspetti di detto accordo.
“La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale[…] è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale” (art. 2 § 1).
“Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica” (art. 5 § 2).
“La Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, a permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici” (art. 11 § 1).
Se violazioni di tale evidenza sono state possibili in un regime costituzionale che si regge sul principio di legalità e sul rispetto della riserva di legge, solo attraverso dei meri atti amministrativi, i DPCM appunto, lo è stato anche per l’inadeguatezza, la negligenza, e la pusillanime sottomissione della Conferenza Episcopale Italiana al potere politico.
In pochi mesi, i vescovi italiani hanno persino dimenticato un basilare insegnamento del tanto declamato Concilio Vaticano II, che serve ormai solo a sciacquarsi la bocca quando ci sono da additare i cosiddetti tradizionalisti: “è questa, infatti, la libertà sacra, di cui l’unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l’impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l’ordinamento giuridico della società civile” (Concilio Vaticano II, Dignitatis Humanae, 13).
La supina e passiva obbedienza della CEI ai DPCM, che dal 23 febbraio si sono succeduti a ritmo incalzante, ha creato un pericoloso precedente e vero vulnus juris all’indipendenza e sovranità della Chiesa Cattolica in Italia e non ha affatto manifestato l’impegno pattizio “al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti” fra Stato e Chiesa, vale a dire quello dell’indipendenza-sovranità” e neppure ha rappresentato una “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
Fin dall’inizio dell’attuale crisi poi, come si evince solidamente e senza possibilità di smentita dalle comunicazioni degli Ordinari e anche dai cartelli affissi alle Chiese, gli Ordinari si sono resi meramente esecutori di generici divieti che erano emanati dal potere dello Stato e riguardavano, inizialmente, non meglio specificate “manifestazioni religiose” e non celebrazioni cattoliche o atti cultuali.
Da subito, i Vescovi hanno, poi, autoimposto ai fedeli la privazione di sacramenti, quali la Confessione o la ricezione dell’Eucarestia fuori dalla Messa, contravvenendo a un principio base del Diritto Canonico: “I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli” (CJC can 843 § 1).
I Vescovi, poi, quando l’iconoclastia eversiva di Palazzo Chigi ha rotto gli argini della ragionevolezza e si è spinta ad esplicitare la proibizione delle messe, non hanno nemmeno considerato di valutare la portata costituzionalmente eversiva di un atto che in se et per se aveva il carattere di manifesta incostituzionalità.
Non solo, tale atto ha rappresentato un’aperta violazione del Diritto Internazionale Pattizio. Infatti, esso ledeva da un lato il dettato della Costituzione Italiana e dall’altro gli Accordi pattizi intercorsi liberamente fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede.Persino, per le celebrazioni della Settimana Santa e del Sacro Triduo Pasquale la CEI ha voluto concordare con Palazzo Chigi le modalità delle celebrazioni, negoziando e dettagliando persino il numero e il ruolo dei partecipanti, dimentichi che “poiché i sacramenti sono gli stessi per tutta la Chiesa e appartengono al divino deposito, è di competenza unicamente della suprema autorità della Chiesa approvare o definire i requisiti per la loro validità e spetta alla medesima autorità o ad altra competente, a norma del can. 838 §§ 3 e 4 determinare quegli elementi che riguardano la loro lecita celebrazione, amministrazione e recezione, nonché il rito da osservarsi nella loro celebrazione” (CJC can. 841)
Gli atti posti in essere dagli Ordinari, in supina obbedienza al potere civile, rappresentano poi una palese violazione anche sub specie canonica, quale nello specifico lo spergiuro del giuramento pronunciato da ogni Vescovo al momento della sua elezione alla dignità episcopale. Nella formula di giuramento che precede l’ordinazione episcopale, il nominato, infatti, giura sui Santi Vangeli, “promuovere e difendere i diritti e l’autorità dei Romani Pontefici” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Formula da usarsi per il giuramento).
Fra i diritti del Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, c’è quello di esercitare una “potestà ordinaria suprema, piena immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente” (CJC can. 331). Vale a dire una autorità sovrana interna ed esterna: superiorem non reconoscens.
Il Diritto Internazionale ha, infatti, sempre in dottrina, in giurisprudenza e nella prassi riconosciuto nella Chiesa Cattolica-Santa Sede un soggetto di Diritto Internazionale Pubblico con tutte le facoltà attive e passive che tali soggetti superiorem non reconoscentes possono esercitare nella Comunità Internazionale e nei rapporti fra e con gli Stati.
L’Accordo di Villa Madama è intercorso pattiziamente fra due soggetti di Diritto Internazionale Pubblico, vale a dire la Repubblica Italiana e la Santa Sede. “Col nome di Sede Apostolica o Santa Sede si intendono […] non solo il Romano Pontefice, ma anche, […] la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana” (CJC can. 361).
La CEI dunque non è la Sede Apostolica e neppure un soggetto di Diritto Pubblico Internazionale!
Se risulta del tutto evidente che il Governo della Repubblica Italiana, con la complicità supina della CEI ha non nominalmente ma sostanzialmente violata la natura pattizia dell’Accordo di Villa Madama, con altrettanta lapalissiana chiarezza appare che la CEI, permettendo tale violazione, ha leso i diritti sovrani del Romano Pontefice vel della Sede Apostolica vel della Santa Sede, che dell’Accordo di Villa Madama è firmataria per la sua riconosciuta natura di soggetto pubblico del Diritto Internazionale.
Nondimeno, infine, si deve ribadire che nessun Ordinario, né tanto meno le Conferenze Episcopali a qualsiasi livello siano e che per di più neppure appartengono alla struttura gerarchica di origine divina della Santa Chiesa di Dio, non avevano e non hanno alcun potere e facoltà per negoziare – se non espressamente delegate dalla Sede Apostolica – questioni relative alla Libertates Ecclesiae che siano già definite in atti di natura pattizia fra la Santa Sede e la Repubblica Italiana.
Al contrario e fin dallo scorso 23 febbraio sarebbe stato dovere in primis di ogni Ordinario e della CEI protestare per una così palese violazione del Diritto ed ergersi a difesa della Libertas Ecclesiae così violentemente e pervicacemente offesa, umiliata e violata.
Non da ultimo, sarebbe bene che la CEI ricordasse al Signor Giuseppe Conte, cattolico adulto e “devoto di Padre Pio”, che è sacro dovere della Chiesa a norma del Diritto Canonico investigare e sanzionare il battezzato che ne violi palesemente i diritti e i doveri.
Ora, appare del tutto evidente, che se l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri ha leso e violato la Costituzione e le leggi della Repubblica, questo, a norma dell’articolo 96 della Costituzione, sarà affare della magistratura ordinaria repubblicana.
Il battezzato Giuseppe Conte, tuttavia e con altrettanta evidenza, è canonicamente perseguibile “per complotto contro la Chiesa” (CJC can. 1374) e per aver “impedito la libertà del ministero” della Chiesa Cattolica stessa (CJC can 1375). Questo, invece, a norma del Diritto Canonico e del disposto del canone 1717, è di pertinenza dell’Ordinario del luogo dove il battezzato Conte abbia ordinaria residenza.
Gian Pietro Caliari