Cari amici di Duc in altum, ricevo e volentieri vi propongo questa lettera scritta da un sacerdote dalla Lombardia.
A.M.V.
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Caro Aldo Maria Valli, le scrivo per condividere una ferita che in questo periodo difficile ha colpito il mio animo di sacerdote.
Sono un parroco nella campagna della Bassa lombarda, molto vicino alla prima zona rossa e anche qui abbiamo vissuto con apprensione il lockdown. In questi anni mi sono state affidate tre piccole parrocchie che superano di poco le duemila anime. I contagi sono stati una cinquantina e nell’arco di dieci giorni a metà marzo i morti di Covid19 sono stati quindici. Nulla a che vedere con i grandi numeri menzionati sui giornali nazionali, ma – mi creda – la realtà non si misura solo attraverso la quantità. Sono invece persuaso che spesso conti di più la qualità. Infatti, fa più danni un colpo mortale che innumerevoli ferite superficiali. Sto parlando della sofferenza per l’aver dovuto celebrare quindici “pseudo-funerali”. Non mi riferisco solo al dolore per la perdita dei miei parrocchiani (la gente moriva anche prima, forse la differenza è che non risaltava nella cronaca), ma alla modalità prevista per il rito funebre.
Privare queste anime dell’intercessione attraverso la Santa Messa e togliere il conforto ai loro cari attraverso il rito funebre è stato il segno di quanto la nostra società sia ormai giunta allo sbando.
Tutte le grandi civiltà della storia hanno avuto rispetto per i propri morti e i culti funebri ricoprivano un ruolo fondante. Forse abbiamo avuto la prova di non essere una grande civiltà? Temo di si!
Ne ho avuto la conferma durante uno di questi “pseudo-funerali”. Mi son ritrovato al cimitero con quattro addetti delle pompe funebri; i parenti erano giustamente impossibilitati alla partecipazione a causa della quarantena. Iniziando il rito, mi sono accorto che nessuno dei presenti rispondeva alle mie invocazioni e alle mie preghiere. Ho provato una gran pena per quell’anima, una sensazione di desolazione e solitudine immensa. Mai mi sarei aspettato di vivere una situazione del genere!
Uscendo dal cimitero mi è venuta alla mente quella bellissima scena di Don Camillo, solo nella sua chiesa parrocchiale, allagata dall’esondazione del fiume Po, con la sua gente in ascolto sull’argine maestro. Vi ho rivisto l’immagine mia e di molti sacerdoti testardi nel rimanere in questa Chiesa con una gerarchia ecclesiastica che imbarca acqua da tutte le parti, in una civiltà moralmente allo sbando. Eppure, tentiamo di tenere viva la speranza (la virtù teologale) nei nostri parrocchiani, I quali non sono raccolti sull’argine, ma rinchiusi nelle loro case e privati del conforto dei sacramenti.
Quanto avrei voluto salire sul campanile e mettermi a urlare facendo mie quelle parole di conforto dette da Don Camillo: “Fratelli, sono addolorato di non poter celebrare l’ufficio divino, ma sono vicino a voi per elevare una preghiera verso l’alto dei cieli!”.
Lettera firmata
P.S. – Le confesso di aver ceduto, anch’io, alla seduzione della Santa Messa in streaming. Proprio l’altro giorno, passando a piedi per il paese, si è aperta una finestra e scostando le tende una signora mi detto: “Grazie per la Messa, per esserci sempre e per non averci abbandonato”. Al momento, non sapendo che cosa dire, ho semplicemente risposto: “Grazie a lei, ma ho fatto solo il mio dovere”. Ecco, io volevo dare speranza ai miei parrocchiani e alla fine sono loro che la danno a me! È proprio vero, il conforto del Signore arriva per vie inattese.