Nella nuova biografia di Joseph Ratzinger, uscita qualche giorno fa in Germania, Benedetto XVI, intervistato da Peter Seewald, fa alcune dichiarazioni che mettono in luce la sua comprensione della rinuncia al papato attivo. Nel libro parla della “dimensione spirituale” del suo attuale stato e lo definisce “il mio mandato”. Con la rinuncia, dice, si è spogliato di qualsiasi “potere giuridico concreto” e ruolo di governo, ma ha mantenuto un “mandato spirituale”.
Le dichiarazioni si trovano alla fine del libro Benedikt XVI. Ein Leben (di quasi 1200 pagine), nell’intervista concessa a Seewald nell’autunno del 2018.
A Seewald, che sottolinea come alcuni studiosi di storia della Chiesa ritengano inesistente il titolo di papa emerito, Benedetto XVI risponde facendo un paragone con i vescovi emeriti, i quali, se è vero che non hanno più una sede episcopale, continuano ad avere una relazione speciale con quella sede, una “connessione spirituale” che “si trova al di fuori della sostanza giuridica concreta dell’ufficio episcopale” e tuttavia è considerata come una “realtà”. E a questo punto Benedetto XVI afferma: “Non è concepibile il motivo per cui un simile concetto giuridico non debba essere applicato anche al vescovo di Roma”, spiegando così che, a suo modo di vedere, ha rinunciato all’ufficio papale ma non alla “dimensione spirituale” di tale ufficio.
Parlando della figura del papa emerito, Benedetto XVI fa anche un confronto con i cambiamenti generazionali e dice che anche un padre di famiglia può rinunciare al “suo status legale” pur mantenendo la sua “importanza umana e spirituale”, e questa “rimane fino alla morte”. L’aspetto “funzionale” della paternità può cambiare, ma quello “ontologico” resta inalterato.
L’esempio viene dalle famiglie di agricoltori bavaresi, dove il vecchio padre a un certo punto della sua vita consegna la fattoria principale al figlio e va a vivere in una casa più piccola, ma sulla stessa terra. Al figlio tocca quindi la responsabilità di fornire al padre ciò di cui ha bisogno. “Ciò significa: l’aspetto spirituale della paternità rimane, mentre la situazione cambia rispetto ai diritti e ai doveri concreti”.
Nel corso dell’intervista Benedetto XVI dice anche che non desidera commentare la questione dei dubia presentati dai cardinale Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner su Amoris laetitia, poiché un suo eventuale commento lo “porterebbe troppo nell’area concreta del governo della Chiesa e quindi esulerebbe dalla dimensione spirituale che è la sola ancora propria del mio mandato”.
Circa i suoi interventi resi pubblici da quando è papa emerito, Ratzinger dice: “L’affermazione secondo cui intervengo costantemente nei dibattiti pubblici è una malevola distorsione della realtà”. Coloro che vedono nelle sue parole “un pericoloso intervento nel governo della Chiesa” dimostrano di partecipare “a una campagna contro di me che non ha nulla a che fare con la verità”. Fra coloro che operano questa distorsione Benedetto XVI cita in particolare la “teologia tedesca” che, in modo “stupido e malvagio”, ha interpretato le sue parole in un modo tale che “è meglio non parlarne”. “Preferisco non analizzare le vere ragioni del perché si desideri mettere a tacere la mia voce”.
Circa l’autocomprensione del papato emerito da parte di Benedetto XVI Maike Hickson ha sentito il parere di monsignor Nicola Bux, già collaboratore di Ratzinger come consulente della Congregazione per la dottrina della fede, il quale osserva: “Secondo me, uno degli aspetti più problematici sta nell’idea, implicita nell’atto di papa Ratzinger, che il papato non sia un ufficio unico e indivisibile, ma, al contrario, un ufficio divisibile, che può essere spacchettato”.
Secondo Bux, “il parallelo tra l’ufficio papale e l’ufficio episcopale, per quanto riguarda l’abdicazione dall’ufficio papale, non è corretto”. Infatti, “l’ufficio episcopale è conferito da una ordinazione o consacrazione episcopale, il che imprime un carattere indelebile nell’anima del vescovo. Pertanto, sebbene possa essere sollevato da una particolare responsabilità pastorale, il vescovo rimane sempre un vescovo. L’ufficio papale invece è conferito dall’accettazione della elezione alla Sede di Pietro, cioè da un atto della volontà della persona eletta, con il quale la persona accetta la chiamata a essere il Vicario di Cristo sulla terra. Dal momento in cui la persona eletta acconsente, ha la piena giurisdizione di romano pontefice. ”
Se la persona eletta non è un vescovo, prosegue monsignor Bux, deve essere immediatamente consacrata vescovo perché il papato comporta l’esercizio dell’ufficio episcopale, ma è papa dal momento in cui acconsente alle elezioni. “Se la stessa persona, a un certo punto, dichiara di non poter più adempiere alla chiamata di essere il vicario di Cristo sulla terra, perde l’ufficio papale e ritorna alla condizione in cui si trovava prima di dare il consenso a essere il vicario di Cristo sulla terra”.
A.M.V.
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Fonte: LifeSiteNews