E dopo il Covid-19? Tutto sarà come prima
Cari amici di Duc in altum, “niente sarà più come prima” è uno degli slogan al centro di questo periodo di pandemia. Ma forse, come tutti gli slogan, pecca di superficialità.
Silvio Brachetta, che sulla questione è già intervenuto qui, completa oggi la sua riflessione agganciandosi a due recenti contributi.
A.M.V.
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Senza scomodare ancora l’Ecclesiaste, secondo cui «la terra resta sempre la stessa» (1, 4), scomodiamo invece un recente Michel Houellebecq, che afferma, nella traduzione di Stefano Montefiori: «Tutto resterà esattamente uguale». Ce l’ha con quelli del «niente sarà più come prima», che vedono in questa pandemia una cesoia tra la civiltà passata e la futura. E precisa: «Non ci sveglieremo, dopo il confinamento, in un nuovo mondo; sarà lo stesso, un po’ peggiore».
In che senso peggiore? Perché, tra l’altro, non risolve, ma aggrava la modalità con cui le persone muoiono. Houellebecq è preoccupato per gli anziani, che morivano abbandonati da tutti prima del Covid-19 e che continueranno a morire soli, durante e dopo l’emergenza: «La tendenza – scrive – ormai da oltre mezzo secolo […] è di dissimulare la morte, per quanto possibile; ed ecco, mai la morte è stata tanto discreta come in queste settimane».
Alla gente, dunque, non resta (e non resterà) che morire «in solitudine nelle stanze di ospedale o delle case di riposo». Viene poi «seppellita immediatamente (o incenerita? La cremazione è più nello spirito del tempo), senza invitare nessuno, in segreto». Se c’è una novità, è che «mai prima d’ora avevamo espresso con una sfrontatezza così tranquilla il fatto che la vita di tutti non ha lo stesso valore».
Houellebecq, classe 1956, non è decrepito e non ha nessuna intenzione di capitolare o affermare che la sua vita decresce di valore con l’aumentare dell’età. Eppure il mondo così vuole e così dispone che si faccia. Ancora una volta una catastrofe sembra non avere per nulla innescato sentimenti di fratellanza o di semplice pietà.
Daniele Mencarelli ricorda lo slogan che circolava durante la Guerra del Golfo: «Niente sarà come prima». Ripetuto, poi, dopo ogni disastro (attentato alle Torri gemelle, crisi economica del 2008, avvento dello Stato islamico) il ritornello è divenuto il luogo comune di una certa visione apocalittica smentita dai fatti: «L’uomo – osserva Mencarelli –, dall’inizio dei tempi, di fronte alla moltitudini di sciagure che ha vissuto, quasi sempre principiandole lui di suo pugno, ha urlato inutilmente l’inizio di un tempo nuovo e inedito, che poi ogni volta non accade».
Tanto più, ci si sarebbe atteso un cambiamento radicale nel cuore e nella mente dell’uomo durante il Novecento, o almeno all’indomani della fine dell’ultimo conflitto mondiale. Sembra invece che dalla storia sia da trarre l’insegnamento secondo il quale «tutto, sempre, scorrerà come ha sempre scorso».
C’è poi un problema legato all’indolenza umana. Quando si afferma che «niente sarà come prima», intendiamo spostare su qualcun’altro una responsabilità che dovrebbe essere solo nostra: in maniera indebita, «noi conferiamo al mondo il ruolo di cambiare anche per noi», osserva Mencarelli. È una posizione di «comodo», che tradisce anche il comando di Gesù, relativo alla conversione personale.
La parola d’ordine – «Niente sarà più come prima» – si è diffusa come un tam tam sulla quasi totalità dei media maggiori, seguiti a ruota da radio e televisioni. Anche alcuni prelati hanno manifestato l’adesione al mantra, espressione di una certa lontananza non solo dalla conoscenza della storia, ma persino del Testo Sacro.
Credere che alla catastrofe o alla crisi succeda un cambiamento radicale è una suggestione di tipo rivoluzionario. La rivoluzione è convinta che il progresso nasca dal caos e, per questo, una situazione di malessere sociale è vissuta come preludio a tempi migliori. Ma il progresso non può che fondarsi sul miglioramento dei costumi e sulla pratica della virtù (privata, civile, religiosa). Non è, quindi, il caos che fonda il progresso, ma l’ordine, se riesce a imporsi sul disordine.
È persino possibile il tramonto di una civiltà e il sorgere di una nuova. Solo, però, a seguito di una lenta conversione interiore, in ogni persona. Il crollo dell’Impero romano, ad esempio, fu seguito dall’edificazione della Cristianità medievale. Non si realizzò, tuttavia, il principio posteriore e massonico “ordo ad chao” (“dal caos l’ordine”). Al contrario, la nuova civiltà si realizzò per via della sostituzione delle vecchie energie pagane con le nuove energie spirituali e cristiane, che pervasero l’Occidente del primo millennio.
Nessuna rivoluzione ha mai prodotto cambiamenti, se non esteriori, di tipo tecnico, scientifico o militare. Ora, invece, c’è la pretesa di fondare una società migliore in modalità meccanica, escludendo la già combattuta signoria di Cristo sulle cose create.
Silvio Brachetta