Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza di Radio Roma Libera.
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La pandemia da coronavirus ci ha portato sofferenza e disagi, ma ha contribuito a fare cadere alcune maschere.
Una maschera caduta è quella dell’azione di governo come siamo ormai abituati a vederla all’opera da parecchi anni: la politica delle dichiarazioni superficiali, del litigio continuo e senza costrutto, della campagna elettorale permanente, del teatrino buono per i talk show televisivi ma del tutto fatuo e inconcludente.
Di fronte a una situazione di allarme, per le singole persone e la collettività, l’apparato di governo si è mostrato per ciò che è veramente: un teatrino, appunto, un fondale di cartapesta davanti al quale le scialbe figure degli attori recitano la commedia della lotta per il potere ignorando totalmente le autentiche funzioni di governo, cioè di gestione della cosa pubblica.
Che cosa deve fare un governo se non operare per garantire la sicurezza dei cittadini? E che cosa deve fare per garantire la sicurezza se non conoscere la realtà, programmare per dare al paese solide basi e tenersi pronto a fronteggiare le crisi?
In questo caso invece abbiamo assistito al dramma di un governo sprovveduto, che di fronte alla situazione di crisi non ha potuto fare altro che annaspare come il naufrago in mezzo al mare. Nessuno, a quanto risulta, aveva preparato alcunché per fronteggiare il rischio imminente, eppure le avvisaglie c’erano state. E i cosiddetti servizi di intelligence? E le cosiddette strategie per l’emergenza? Le unità di crisi? Nulla di nulla. Un medico, il professor Pasquale Bacco, che ha condotto uno studio sulla diffusione del coronavirus in Italia, ha riferito di aver avvisato le autorità già nel mese di ottobre 2019, ma le sue segnalazioni non furono tenute in considerazione.
La “strategia” adottata è stata il lock down, il bloccare tutto, il rintanarsi. La più semplice e immediata. Come l’uomo primitivo che correva a rifugiarsi nella caverna per sfuggire all’animale feroce. La qualità di un governo si vede nei momenti di difficoltà, e ciò che noi abbiamo visto è l’inesistenza di un governo nel senso pieno della parola. Infatti, si è messo nelle mani di un comitato tecnico-scientifico. Cioè è venuto meno al suo compito e ha delegato la responsabilità di governo, e dunque decisionale, a un organismo non politico.
Un’altra maschera caduta è proprio quella della scienza come panacea, come grande risolutrice di ogni problema. È caduta la maschera della scienza come risposta certa, come Verità assoluta e incontrovertibile. Fanno pensare le parole di un politico italiano che dalle colonne di un grande quotidiano ha accusato gli scienziati di saper fornire alla questione del coronavirus solo ipotesi e nessuna soluzione. “Dovete darci risposte certe!” ha strillato il politico, mettendo così in risalto la sua profonda ignoranza circa la natura della scienza.
Con onestà, gli scienziati seri ammettono che di fronte a un problema nuovo loro possono solo mettersi a studiare, confrontando i dati e verificando ipotesi. Le risposte, se mai arriveranno, saranno il frutto di questo lungo e paziente lavoro. La scienza sa soprattutto di non sapere e per dare risposte, comunque relative, ha bisogno di verifiche. La scienza non ha la bacchetta magica.
Un’altra maschera caduta è quella dei falsi amici della libertà, i quali, di fronte a una situazione complicata e pericolosa come l’attuale, non sanno fare altro che mettere la museruola a chi non la pensa come loro, a chi non si lascia convincere dalle spiegazioni date per certe, a chi non si adegua al pensiero dominante. Questi nemici della libertà li stiamo vedendo all’opera. Organizzano strutture contro quelle che loro proclamano essere fake news e pretendono di stabilire dall’alto che cosa è vero e che cosa è falso, mortificando sul nascere ogni forma di confronto e bollando come provocatore chi non si accontenta della narrativa che va per la maggiore. Prima della situazione di pericolo questi signori si riempivano la bocca con inni demagogici alla democrazia e alla libertà, ma ora, di fronte a una situazione oggettivamente difficile, si rivelano per ciò che sono: censori e inquisitori da strapazzo (dico da strapazzo perché gli inquisitori veri, per lo meno, avevano studiato).
A proposito di informazione, una maschera caduta è quella del giornalismo che dice di essere dalla parte del cittadino, ma in realtà fa del terrorismo psicologico. Parla di servizio ma, cedendo al sensazionalismo, spaventa il pubblico. È quel giornalismo che si compiace della situazione di allarme e la alimenta, anche perché ne trae beneficio in termini di ascolti e copie vendute. Invece di aiutare le persone a condurre un’analisi razionale della situazione, punta tutto sull’emotività.
Un’altra maschera caduta è quella della cosiddetta classe dirigente, che in Italia non c’è più o è ridotta al lumicino. Non ci sono persone in grado non solo di organizzare, ma, prima ancora, di pensare, di inquadrare un problema in una prospettiva e di fare veramente l’interesse nazionale. Abbiamo solo conventicole, le une contro le altre, incapaci di una visione ampia e lungimirante. E la mancanza di classe dirigente è il risultato di anni e anni di massacro operato nella scuola, nell’università, nei centri di formazione. È la conseguenza dei mancati investimenti nella cultura. Abbiamo ancora qualche nicchia di eccellenza in diversi settori, ma si tratta di aree specialistiche. Ci mancano coloro che sappiano fare sintesi, per il bene di tutti e per una vera crescita.
Un’altra maschera caduta (e qui passiamo all’ambito religioso) è quella degli allegri chierici tutti peace and love, tutti “vogliamoci bene” e “non è vero che Dio punisce” e “non giudichiamo” e “basta con le facce scure” e “la vita è bella” e “la fede è gioia”. Questi chierici tutti laetitia et gaudium sono sempre pronti a polemizzare contro chi fa notare che la vita di fede in realtà è anche dramma e battaglia, è scelta e giudizio, perché Gesù ha detto che è venuto a portare la spada e non la pace, perché la verità non è negoziabile e dunque per difenderla bisogna essere disposti a combattere, perché il problema della morte e del destino eterno dell’anima non è aggirabile. Ma ora, di fronte al pericolo, che cosa ce ne facciamo dei discorsi alla peace and love, che evitano di prendere in considerazione morte, giudizio, inferno e paradiso? Ora, di fronte all’oggettività della sofferenza e del limite, che ce ne facciamo della religione ridotta a sociologia e a vaga consolazione, dimentica della trascendenza e delle cose ultime? Curioso, ma non tanto, è che proprio questi chierici tutti peace and love siano ora quelli che appaiono più atterriti dal virus, quelli meno disposti ad aprire le chiese. Prima ridevano sempre, adesso sono terrorizzati. Prima cianciavano di “Chiesa in uscita”, adesso preferiscono starsene rintanati. Adesso, invece di aiutarci a trovare un senso al dolore e alla morte, invece di avvicinarci a Dio, chiedono obbedienza allo Stato e blindano nostro Signore, trattandolo come un untore al quale accostarsi con mille precauzioni e all’insegna della diffidenza, come se l’Eucaristia non fosse il viatico che ci sostiene e ci fortifica, ma un pericolo.
Se e quando usciremo da questa situazione, avremo imparato qualcosa? Saremo meno disposti a lasciarci sedurre dalle allucinazioni imposte dai guardiani del pensiero? Purtroppo, nulla lo lascia immaginare.
Aldo Maria Valli