Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza in Radio Roma Libera.
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Il ricordo che il professor Stanislaw Grygiel ha dedicato al suo professore Karol Wojtyła in occasione del centenario della nascita di Giovanni Paolo II è molto importante non solo per conoscere meglio il grande papa, che ha segnato così profondamente la storia della Chiesa e del mondo, ma anche per capire come già più di sessant’anni fa Wojtyła avesse ben presenti i problemi filosofici e antropologici che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano la nostra epoca.
Era il 1958. Il trentottenne professore, appena nominato vescovo ausiliare di Cracovia, teneva un seminario per i dottorandi all’Università Cattolica di Lublino e lo studente Grygiel si vide cambiare l’argomento della tesi. Il professor Wojtyła gli propose una riflessione sulla filosofia di Jean-Paul Sartre e la motivò spiegando che avrebbe aiutato i marxisti a capire il loro errore antropologico, la negazione della libertà, e i cattolici a prepararsi ad affrontare la laicizzazione che stava avanzando a grandi passi.
“Solo tanti anni dopo – commenta Grygiel, divenuto a sua volta docente di antropologia filosofica – mi sono reso conto fino a qual punto il suo pensiero fosse unito alla realtà del momento presente, cosa che gli consentiva di raggiungere il futuro lontano e scorgervi le tenebre che si avvicinavano”.
Che cosa permetteva a Karol Wojtyła di vedere così lontano? Risponde Grygiel: “Egli leggeva la storia della persona umana alla luce dell’atto della creazione da cui essa scorre come un grande torrente fino ad ora. Di uomini così fatti diciamo che sono mandati al mondo da Dio, che con la testimonianza da loro resa alla verità della sua creatura preserva l’uomo dallo smarrire la via tracciata verso la casa paterna. Questa casa è la bellezza della verità e del bene affidati al lavoro di ogni uomo nell’unità con gli altri uomini”.
Decisiva fu per Karol Wojtyła quella che il professor Grygiel definisce “l’esperienza della stupidità e della malvagità dell’occupante tedesco e poi di quello sovietico”. Avendo sperimentato nazismo e comunismo, e avendo saputo leggere entrambi per ciò che erano, manifestazioni dell’Anticristo, il futuro papa capì quanto fosse necessario rendere testimonianza alla bellezza dell’uomo nella sua verità di amore. Senza dimenticare che la parola greca martyros, testimone, viene dal verbo martyromai, che indica non solo il rendere testimonianza alla verità, ma anche il protestare contro la sua distruzione.
Per conoscere questa verità non basta quindi la presunta concretezza di coloro, come i marxisti, che riducono l’uomo a prassi. Una visione, questa, che nonostante il fallimento dell’esperimento sovietico continua a devastare cuori e menti dell’élite mondiale.
Ricordando, in questo 2020, i cent’anni dalla nascita di san Giovanni Paolo II è più che mai necessario tornare anche al suo modo di esprimersi, che era sempre “Sì, sì, no, no!”, perché “sapeva che tutto ciò che è in sovrappiù proviene dal Maligno, dall’Antilogos, dall’Anticristo”.
Giovanni Paolo II richiamava incessantemente all’atto della creazione per leggere alla luce del principio dell’amore la realtà intera.
È chiaro che l’Antilogos deve colpire l’amore gratuito se vuole formare l’uomo e la società solo sulla base della ragione calcolante. Deve colpire anche la fede, intesa come fiducioso abbandono al Padre, e la speranza, in quanto fiducia nelle conseguenze della fede e dell’amore.
Sopprimere la domanda sulla verità trascendente fa parte del piano diabolico che prevede di intrappolare l’uomo “nel mondo delle domande sulle cose immediate”.
La modernità – scrive Grygiel – ha distolto perciò i pensieri e il cuore dell’uomo dal centro dell’universo e della storia”. La ragione, scollata dalla fede, si è riotta a mero calcolo. Non c’è più né principio né fine. C’è solo il vuoto.
La crisi della domanda sulla verità è la crisi dell’uomo contemporaneo, è la nostra crisi. In nome di una presunta concretezza, che in realtà ci allontana dalle sole domande che contano, non siamo più capaci di pensare in termini escatologici, a riguardo dei destini ultimi dell’uomo e dell’universo. E, come denuncia il professor Grygiel, quanti “cercano ancora la verità vengono chiusi nelle riserve assegnate agli ultimi moicani dell’escatologia”.
“La mancanza delle domande escatologiche sulla verità spinge gli uomini ad entrare nella miseria della solitudine che consiste nel loro stare l’uno accanto l’altro ma senza essere presenti l’uno all’altro”.
“Il professor Karol Wojtyła – racconta Grygiel – ci insegnava a conoscere l’uomo, insegnandoci a porre domande sulla verità della storia del suo amore”. E insegnava che la risposta sta in un’altra persona: “L’altra persona è trascendenza, sulla quale rimane il riflesso della Trascendenza della Persona del Padre che ci illumina ed affascina, ed è su queste Divine altezze che ci aspettano l’Amore e la Libertà desiderati dal nostro cuore inquieto”.
Da tutto ciò che il professor Karol Wojtyła insegnava emergeva “la verità dell’uomo creato nella differenza ontologica (il Creatore – il creato) e in quella sessuale (Dio creò l’uomo maschio e femmina). Queste due differenze formano l’antropologia adeguata e la teologia del corpo che nacquero nella contemplazione della bellezza della persona umana, la bellezza rimandante alla Bellezza che è soltanto Dio”.
“Egli sentiva che eliminare queste differenze dalla visuale della persona umana avrebbe provocato il caos e la confusione nei pensieri e nei cuori delle persone e nella società”.
È ciò che stiamo vedendo. L’Antilogos ha condotto all’uomo antilogico.
Grygiel ricorda che la persona di Karol Wojtyła con la sua serenità irradiava l’ordine interno. “In lui si rivelava la felicità che lo penetrava e di cui Cristo parla nel Discorso della Montagna (cfr. Mt 5, 3-12). Senza questa beata felicità non c’è né una buona filosofia, né una buona teologia. Egli ci insegnava a porre domande sulla verità, rivelandoci la sua felicità”.
Quanta differenza dalla gioiosità posticcia di chi, lontano dalla verità, è solo apparenza!
Conclude il professor Grygiel: “Se dovessi rispondere alla domanda di che cosa sono debitore al professor Karol Wojtyła, risponderei: gli devo soprattutto la convinzione e la sicurezza che la filosofia è un’azione dell’uomo così importante e così grave che chi la rende un gioco scherza con il fuoco pericoloso per sé stesso e per l’ambiente. Il fuoco tempra, ma trattato con spensieratezza lascia soltanto rovine e riduce tutto in cenere. Non si scherza impunemente con la verità e con il senso dell’uomo e dell’universo in cui gli è stato dato di vivere”.
Aldo Maria Valli