Cari amici di Duc in altum, il documento che oggi vi propongo è di grande importanza. Riguarda il cosiddetto «cammino sinodale» in corso nella Chiesa cattolica in Germania e ne mette in luce in particolare i contenuti evidentemente anti-cristiani, e dunque anti-umani, riguardanti la morale sessuale.
L’autore è Christian Spaemann, medico psichiatra in Austria e figlio del teologo e filosofo Robert Spaemann (1927 – 2018), instancabile difensore della dignità umana, per lungo tempo membro della Pontificia accademia per la vita, quando questa poteva ancora dirsi ispirata a idee e finalità cattoliche.
Il presente testo, che ci aiuta a entrare nella realtà della Chiesa tedesca e a comprenderne alcune logiche dominanti, è la versione rielaborata di un articolo apparso su Die Tagespost.
Sono onorato di ospitare nel mio blog questo contributo del dottor Christian Spaemann: è anche l’occasione per rivolgere un pensiero grato alla memoria del suo grande papà.
A.M.V.
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L’agenda della “pluralità” bussa alle porte della Chiesa cattolica
Il forum sinodale sulla “morale sessuale”
Il 1° dicembre 2019 all’interno della Chiesa cattolica tedesca è stato aperto il cosiddetto «percorso sinodale» (Synodaler Weg). Si tratta di un processo di dialogo tra vescovi e laici, che in diversi gruppi di lavoro si propongono di rielaborare il tema degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica. Si è reso ben presto evidente che questo processo di dialogo serve a imporre, una volta per tutte, nella Chiesa cattolica della Germania la vecchia e ben nota agenda liberale. La scelta dei temi da trattare, infatti, è avvenuta in coerenza con tale proposito e sin nella fase preparatoria il lavoro dei diversi forum, o gruppi di discussione, è stato abilmente pilotato in tale direzione. Il tema della «nuova evangelizzazione» non è stato messo all’ordine del giorno, ma, al suo posto, è prevalso un atteggiamento di autoreferenzialità e ipercriticismo nei confronti della dottrina tradizionale della Chiesa.
In particolare, in Germania si è ritenuto di poter sottoporre la morale sessuale della Chiesa cattolica a una revisione sostanziale, dal momento che essa non avrebbe «ancora recepito conoscenze decisive derivanti dalla teologia e dalle scienze umane». Il padrino di questo sviluppo è Eberhard Schockendorff, docente di teologia morale a Friburgo in Brisgovia, a cui ormai da molto tempo fa riferimento la grande maggioranza dei vescovi tedeschi. Il gruppo sinodale che si occupa della «morale sessuale» si trova ora davanti a un documento di lavoro, intitolato Per l’ulteriore sviluppo della morale sessuale cattolica, in cui si chiede un ulteriore alleggerimento della morale sessuale cattolica. Vi si legge che il matrimonio tra uomo e donna sarebbe certamente «il quadro biografico e istituzionale migliore» per la sessualità umana, ma che si dovrebbe arrivare al riconoscimento ecclesiale anche di altre forme di sessualità vissuta. In questo documento l’«autodeterminazione sessuale» non è intesa solo come una sorta di legittima difesa, ma come un vero e proprio diritto positivo dei credenti «di affermare per sé quegli atti sessuali che essi preferiscono». La richiesta è, dunque, quella di un pluralismo sessuale nella Chiesa, non come dato di fatto, ma come norma, cioè come riconoscimento normativo di una pluralità di forme di vita.
Per comprendere la mentalità che fa da sfondo a questo sviluppo, allineata con la mentalità dominante, vale la pena di dare uno sguardo al passato. Nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1948 si trova ancora una concezione difensiva dei diritti dell’uomo, in cui l’individuo deve essere protetto dall’arbitrio statale. La persona umana, in quanto singolo, vi era vista come inserita in un contesto sociale organizzato secondo i principi del bene comune. Al centro di questo ordine vi era la famiglia naturale. Negli ultimi decenni questo modo di intendere ha subito un cambiamento radicale. Il carattere dei diritti umani da difensivo è stato mutato in offensivo, nel senso che essi sono ora reinterpretati al fine di imporre, con pretesa di pubblica validità, espressioni arbitrarie dell’individuo, rivendicate come «dignità». Tali diritti sono, per esempio, quello «all’autodeterminazione dell’identità sessuale», o quello «alla libera decisione per la propria morte». Sullo sfondo vi sono attualmente la piena accettazione e il consolidamento istituzionale delle diversità – di identità, orientamenti e forme di vita sessuali, – che si chiede vengano considerate e messe alla pari con il matrimonio e la famiglia naturali, sia sul piano sociale, che su quello della cittadinanza attiva e della concezione del mondo. Anche solo il semplice confronto di queste forme di vita con dei criteri antropologici, con i dati empirici o con il riferimento contestuale al bene comune viene rifiutato come discriminatorio. Ci troviamo di fronte a una concezione gnostica della persona umana, che non è più vista come un essere creaturale, che si riconosce nella propria natura e in essa si realizza, ma come un soggetto astratto e autonomo, che può agire secondo la propria volontà contro la sua stessa natura, in ogni circostanza e in forma strumentale. In questa «ideologia della pluralità» confluiscono e si muovono concezioni della persona umana di matrice neomarxista, libertaria e neocostruttivista, che ormai da tempo hanno compenetrato le più potenti organizzazioni internazionali.
La Chiesa cattolica in ambito linguistico tedesco è particolarmente sensibile alla penetrazione di questa ideologia. Da decenni, ormai, teologi morali eterodossi, legati a concezioni utilitaristiche, esercitano il loro influsso sui vescovi, i sacerdoti e gli intellettuali tedeschi. Nei paesi di lingua tedesca la Chiesa cattolica dispone di una vasta presenza negli ambiti di lavoro sociale e di cura dell’infanzia. Nelle corrispondenti istituzioni formative è ormai da tempo penetrata l’ideologia di genere. Già solo la St.Nikolaus Stiftung di Vienna, attraverso i suoi nidi e le sue scuole dell’infanzia, raggiunge circa seimila bambini. Tutti i pedagoghi di questa fondazione sono formati in materia di educazione sessuale da una delle associazioni di «genere» più radicali, ideologiche e indottrinanti che esistano. I vescovi responsabili stanno a guardare. Denaro, potere e prestigio hanno a loro volta un ruolo importante nella volontà di liquidare la morale sessuale della Chiesa. Si tratta di una triade classica, che nella tradizione spirituale della Chiesa cattolica si è sempre trovata dalla parte dell’avversario. Proprio questa triade si trova ripresa nella lettera del 9 settembre 2019, che dieci vicari generali di diocesi tedesche hanno indirizzato alla Conferenza episcopale tedesca. In essa, con gli slogan ormai noti, si avanza la richiesta di una «Chiesa in cui la pluralità e la diversità siano desiderate e permesse», poiché solo così «la Chiesa avrà la possibilità di poter rimanere efficacemente presente nella nostra società». Insieme con il timore che la Chiesa «venga a trovarsi sempre più ai margini rispetto all’evoluzione generale della società», si lamenta, in una delle chiese particolari più ricche al mondo, «il venir meno delle risorse in ambito finanziario». Nel dire questo, tali vicari generali non esitano a dichiararsi immuni da critiche, suggerendo ai fedeli di «evitare di muovere loro il rimprovero di scarsa ortodossia».
Veniamo, però, al contenuto del documento di lavoro proposto dal gruppo che si occupa della «morale sessuale». L’urgenza è davvero quella di una pluralità nella Chiesa secondo la volontà di Dio? Si tratta realmente di una più approfondita comprensione della sessualità umana, quando quest’ultima, con artifizi retorico-teologici viene ridotta a livello di mentalità comune e gli «atti intrinsecamente malvagi – actus intrinsice malus» vengono ridefiniti ormai solo sul livello del Codice penale, come pericolo «per il corpo e per la vita»?
La struttura della specie umana, al di là delle differenze generazionali, si poggia sull’unione fisica di uomo e donna. Essa rappresenta un evento complesso a tutti i livelli della realtà umana. Gli organi sessuali maschili e femminili sono complementari sul piano anatomico, istologico e fisiologico. Nella loro unione in una coppia sposata è rappresentato il legame profondo della vita intera. Dato che il passato e il futuro non sono qualcosa di esteriore per l’essere umano, ma sono parte essenziale di lui, il «Sì» coniugale si rende presente in ogni singolo atto. Esso rende possibile che la donazione sia vissuta in maniera integralmente congruente. La complementarità di uomo e donna è costitutiva della famiglia e di grande importanza per lo sviluppo dell’identità sessuale dei figli. Quando manca questo «Sì» nella sessualità, la dignità della natura spirituale della persona umana ne esce ferita. Giovanni Paolo II sottolineava come al centro di questa relazione vi siano «persone umane, la cui dignità esige che siano sempre e solo il termine dell’amore di donazione senza alcun limite né di tempo né di altra circostanza» (Familiaris consortio). Una violazione di questa dignità si ha anche quando nel matrimonio si fa uso di mezzi di contraccezione, con i quali i partner in qualche modo si rendono tra loro come degli oggetti.
Nel citato documento di lavoro si trova l’idea che la «sessualità […]» serva «alla costruzione di un ambito protetto di intimità e di confidenza». Questa è una concezione sessualizzata della relazione. Giusto sarebbe il contrario. La «costruzione di un ambito protetto di intimità e di confidenza» è il presupposto per una sessualità autenticamente degna dell’essere umano e, sul piano psicologico, un argomento forte in favore della castità prematrimoniale.
La costellazione omosessuale è di per sé infeconda, non complementare e non può essere rappresentata in alcuna unione naturale. Stando al documento di lavoro, ci sarebbe bisogno di «un riconoscimento senza pregiudizi delle comunità di vita omosessuali e della rinuncia a squalificare moralmente la prassi sessuale da loro vissuta». Teologi e dignitari ecclesiastici che hanno interesse a una piena accettazione dell’omosessualità nella Chiesa dovrebbero spiegare ai fedeli il senso e il significato degli atti omosessuali e come essi debbano essere compiuti per essere graditi a Dio. Alla base del richiamo generico alle «scoperte delle scienze umane» c’è in realtà un presupposto erroneo. Inoltre, di quale tipo di scoperte dovrebbe trattarsi? Dei dati sulla storia familiare, sulla salute psichica e sulla vita relazionale degli omosessuali a livello pubblico per lo più, e con buone ragioni, si tace. Inoltre, in tutto questo rientra anche una percentuale elevata di pedofilia, cosa che, quando si parla di abusi nella Chiesa, viene sistematicamente nascosta. Perché, allora, nell’affrontare tali questioni non ci si misura con quei gruppi cristiani che si sono seriamente e profondamente confrontati con il loro orientamento sessuale e che, dinanzi alla propria fede, sono arrivati a conclusioni del tutto diverse da quelle degli estensori del documento di lavoro?
Anche la masturbazione dovrebbe ottenere ora la benedizione della Chiesa, dato che essa può «significare la piacevole esperienza del proprio corpo […], un approccio responsabile alla propria sessualità». Che cosa si intende qui per «approccio responsabile»? Difatti, si può parlare di responsabilità solo se non c’è costrizione, ma un certo grado di libertà. I rappresentanti della Chiesa che vogliono ammettere la masturbazione nel canone da loro desiderato degli atti sessuali leciti, dovrebbero allora spiegare in che cosa consista la particolare dimensione di responsabilità, se qualcuno opta contro la castità e per l’autoerotismo. Nel documento di lavoro si legge che «una stima generalmente positiva della sessualità umana non è stata ancora fatta propria dal magistero». Che cosa deve essere «generalmente» oggetto di stima? Il mero piacere?
Inoltre, si ritiene che «dare una forma responsabile alla sessualità umana» esiga «l’integrazione di tutti i valori sensati nella propria condotta sessuale», ma che questo debba essere richiesto solo per «la relazionalità in quanto tale e nel suo insieme e non per ogni singolo atto sessuale», il che implicherebbe che gli atti sessuali «rimangono degni di approvazione anche se non realizzano allo stesso tempo tutti i fattori». Proprio a questo modello di valutazione morale aveva già opposto un chiaro rifiuto Paolo VI nella sua enciclica Humanae vitae. Pertanto, atti sessuali in sé deficitari non possono aver parte alla bontà di altri atti, come è di per sé evidente. Chi, per esempio, potrebbe considerare giustificate singole menzogne in quanto neutralizzate dal fatto di essere inserite nel bilancio di differenti atti di sincerità?
A uno sguardo più attento, si può riconoscere che ogni forma di sessualità al di fuori del matrimonio tra uomo e donna viola la dignità della persona umana. La sua pretesa giustificazione contiene sempre un momento gnostico in cui ci si pone da sé stessi al di sopra della costituzione fisico-spirituale della persona umana e del suo significato per l’incontro sessuale. Dunque, non si può certo parlare di uno «sviluppo dell’insegnamento cattolico sulla sessualità», se va perduto il contenuto di quel che dovrebbe essere ulteriormente sviluppato. Il richiamo al fatto che «molti aspetti della morale sessuale ecclesiale», «non sono compresi da una maggioranza di fedeli», «non sono considerati peccaminosi e, di conseguenza, non sono riferiti in confessione» è disonesto. Nella Chiesa di lingua tedesca questa morale sessuale è stata taciuta a intere generazioni di persone giovani e ora si vuol fare di questa fallimentare omissione il fondamento della sua abolizione. Agli estensori del documento di lavoro non sembra nemmeno interessare la domanda relativa al perché la trasmissione della morale sessuale cattolica in altri paesi sia, invece, possibile.
Quel che è chiesto, in maniera inseparabile da una vita di grazia, al nostro modo di vivere la sessualità, risale direttamente a Cristo, ci si fa incontro, passo dopo passo, nella Sacra Scrittura, nei Padri della Chiesa e nella vita dei santi. È davvero difficile capire come sia possibile che sacerdoti e vescovi, pur posti di fronte alle loro letture quotidiane nel Breviario, abbiano potuto smarrire questa prospettiva. Senza queste esigenze la fede si fa irrazionale, priva di gioia e piatta. Essa si corrompe e perde realmente di significanza, tanto ieri come oggi. La sfida della grazia si pone di fronte alla nostra natura ferita. Il supporto, che tiene insieme questi due aspetti, è la misericordia divina. Questa misericordia significa comprensione, pazienza, umiltà e perdono, ma mai negazione della verità mediante l’affermazione dell’impurità.
Christian Spaemann
(traduzione di Giuseppe Reguzzoni)
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Fonte: Die Tagespost