“Stare con Cristo nell’Eucaristia è la gioia più grande della mia vita”. Scrive così Robin Rohr Carter, californiana, in un toccante articolo nel quale, rievocando il suo incontro con Gesù nella Santa Eucaristia, ricorda anche la sua vicenda umana.
Tornando indietro di venticinque anni Robin scrive: “La mia relazione amorosa con Gesù nell’Eucaristia iniziò quando molte delle mie relazioni amorose esclusivamente umane fallirono. Nel marzo del mio ultimo anno di liceo, alla festa per il diciottesimo compleanno di un compagno di classe, incontrai il mio primo ragazzo. Aveva vent’anni e un suo appartamento. Due mesi dopo ero incinta. Lui non parlò mai di matrimonio ed io ero spaventata a morte”.
Era il 1972 e in California l’aborto era già legale. La propaganda diceva che per le donne era un diritto e che il feto nelle prime settimane era solo un grumo di cellule. “Io ero in uno stato d’animo robotico da shock, e in quelle condizioni mi sottoposi all’aborto, in gran segreto. Un mese dopo, il padre del bambino mi lasciò”.
“Poco dopo l’aborto – continua Robin – andai a confessarmi. Come penitenza il confessore mi chiese di far celebrare una Messa per l’anima del mio bambino. Con grande angoscia, avrei dunque dovuto dire al celebrante esattamente quale fosse la mia situazione, ma non ci riuscivo! Continuai ad andare a Messa regolarmente, ma senza accostarmi alla Comunione perché avevo commesso un peccato mortale e, nella mia mente, avevo anche fatto una cattiva confessione perché non avevo trovato il coraggio di mettere in pratica la penitenza che mi era stata data”.
Tormentata dal rimorso e senza il conforto di Cristo nell’Eucaristia, a un certo punto Robin smise di andare a Messa. Cadde nell’abuso di sostanze stupefacenti e nei rapporti promiscui. Arrivarono altri due aborti, l’ultimo a ventun anni. “A ventisei anni mi fu diagnosticata una grave endometriosi, che portò a sei interventi chirurgici, culminati dieci anni dopo in una isterectomia completa. Sotto la cura di uno psichiatra, presi antidepressivi per tre anni”.
“Alcune settimane dopo il mio trentatreesimo compleanno, una notte tentati il suicidio sulle scogliere di Del Mar, in California. Non lavoravo da tre mesi, non avevo un appuntamento da un anno e il mio patrimonio totale era un’auto di cinque anni, uno stereo e alcuni sci da discesa. In piedi, a pochi centimetri dal bordo della scogliera, con le onde che si infrangevano sotto, chiusi gli occhi e mi spostai in avanti”.
“All’improvviso, fu come se qualcuno mi afferrasse per la spalla e mi tirasse indietro. Quando aprii gli occhi, non c’era nessuno. Caddi a terra e mi misi a piangere: la preghiera più disperata della mia vita”.
“Due settimane dopo, ricevetti una lettera da un ex ragazzo dal quale non avevo più avuto notizie da otto anni. Mike si scusò per avermi spezzato il cuore e disse che lasciarmi andare era stato l’errore più grande della sua vita. Ci rivedemmo e capimmo che il nostro era amore vero. Entrambi cattolici fin dalla nascita, ma molto lontani dalla Chiesa, ringraziammo Dio per la nostra seconda possibilità e decidemmo di sposarci con il rito cattolico. Sfortunatamente, diventammo peri i tipici cattolici da Natale e Pasqua”.
“Due giorni prima del Natale del 1993, mia madre morì improvvisamente per un attacco di cuore. Tre settimane dopo ero a Città del Messico per una conferenza di lavoro. Assunsi una guida e mi feci portare al santuario di Nostra Signora di Guadalupe, dove ero già stata da ragazza, quando avevo diciassette anni. Dopo aver sostato davanti all’immagine della Madonna, camminai su per la collina fino al sito dell’apparizione, dove c’è una cappella di pietra molto antica. Lì chiesi alla Madonna di farmi capire se e come potevo diventare una cattolica praticante”.
Nel corso dei mesi successivi, per almeno un anno e mezzo, numerosi oggetti sacri, riguardanti la Vergine, entrarono misteriosamente nella vita di Robin. Un vecchio santino sbucato da chissà dove, un’immaginetta di Fatima, un libro su Lourdes, una medaglia miracolosa. “Ora lo so: la Madonna mi stava lentamente preparando per la mia completa redenzione”.
Alla fine di maggio 1995 Robin andò alla Messa funebre della nonna di un amico. Nel momento in cui l’ostia fu sollevata, tutto il resto della chiesa cadde nell’oscurità e l’ostia emanò una luce così calda che sembrava il sole. Robin, tra le lacrime, sussurrò: “Oh, mio Dio! Sei davvero Dio!”.
“Non avevo parole per quello che era successo, ma non pensavo a nient’altro e la domenica successiva mi sentii costretta ad andare a Messa. Solo dopo l’inizio della funzione mi resi conto che era la Pentecoste. Ancora una volta, alla consacrazione, tutto scomparve, tranne la luce brillante e il calore solare emanato dall’Eucaristia. Non sapevo ancora cosa mi stesse succedendo o perché. Ma tornai di nuovo alla Messa, alla stessa ora, ogni giorno di quella settimana, e ogni volta Cristo nell’Eucaristia brillava della sua luce e del suo amore”.
Robin racconta di aver fatto allora la sua prima confessione completa in vent’anni. E lo stesso fece Mike, il marito, che non si confessava da trent’anni. Erano tornati a casa.
La chiesa, ricorda Robin, aveva una cappella dedicata all’adorazione eucaristica perpetua e lì per quattro anni, due volte la settimana, lei si recò regolarmente per adorare il Santissimo. Dopo il trasferimento in un’altra città californiana, Robin entrò a far parte di un gruppo di adorazione, del quale fa parte ancora adesso.
E così conclude la sua testimonianza: “Sebbene assistere alla Messa in televisione mi sia stato di grande conforto durante questo difficile periodo della pandemia, desidero profondamente tornare alla mia ora con Gesù davanti al Santissimo Sacramento. Perché è lì che raggiunge profondamente il mio cuore, la mia mente e la mia anima mentre mi siedo ai suoi piedi e appoggio la mia testa sul suo grembo. Nonostante la mia tenerezza per la Pentecoste, la solennità del Corpus Domini è la mia preferita, perché celebriamo il grande amore riservato a noi nel suo Corpo e Sangue, il suo dono più grande per noi”.
A.M.V.
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Fonte: ncregister.com