Usa: una rivoluzione da manuale

Quella che sta avvenendo negli Stati Uniti è una rivoluzione da manuale.

Pur diverse nella loro concretezza storica, le rivoluzioni hanno sempre alcuni elementi in comune. La Rivoluzione francese del 1789 è considerata un evento emblematico proprio perché in essa si manifestarono in modo paradigmatico tutti gli ingredienti di una Rivoluzione. Forse in futuro gli storici studieranno ciò che sta succedendo negli Stati Uniti pure come un evento con caratteristiche emblematiche.

Quali sono gli ingredienti di una Rivoluzione? Come si presentano negli Stati Uniti?

Un clima frenetico…

Il primo ingrediente di una Rivoluzione è il clima di frenesia elettrizzante, in parte frutto di circostanze reali scaltramente manovrate, in parte creato ad arte secondo ben studiate tecniche di manipolazione psicologica di massa. Senza dimenticare una non trascurabile dose d’infestazione preternaturale.

Durante la Rivoluzione francese, la frenesia era tale che perfino membri della Nobiltà si lasciavano trascinare dall’inebriante entusiasmo dei sans culottes. Nelle sue Memorie, la marchesa de la Tour du Pin Gourvernet (1770-1853), legittimista e dama di corte della Regina, racconta come, contro ogni sua personale convinzione, rimaneva così rapita nel sentire per strada la Marseillaise che suo marito doveva schiaffeggiarla per farla tornare in sé. Più d’una volta, trascinata dalla musica frenetica, si ritrovò a gridare a squarciagola “à la lanterne les aristocrates! – alla forca gli aristocratici!”

Non diverso fu il clima del Sessantotto. “The Revolution is here because there’s something in the air – La Rivoluzione è qui perché c’è qualcosa nell’aria”, cantavano i Thunderclap Newman. Descrivendo questo “qualcosa nell’aria”, la rivista Time parlava di “un vento di filosofica follia (…) i valori borghesi del secolo sono travolti da un’ondata provocatoria, ubriacante e irritante di giovinezza”. Quest’ondata di follia collettiva ubriacò e trascinò nel vortice un’intera generazione, compresi molti rappresentanti di quella stessa borghesia che essa voleva distruggere.

Negli Stati Uniti, l’aria era carica di elettricità da tempo. L’elezione di Donald Trump alla presidenza ha spiazzato la sinistra liberal, abituata a regnare incontrastata. Essa ha reagito piuttosto male, scatenandogli contro una virulenta campagna senza esclusione di colpi. The Donald non si è lasciato intimidire, ed ha risposto per le rime. Si è così innescato un processo di crescente divisione ideologica nel Paese. I sondaggi mostrano un’America spaccata in due, con pochi centristi ancora a guardare dalla finestra. C’era già un’aria da guerra civile.

A ciò si è aggiunto un clima surreale, carico di nervosismo, paura e incertezze, istallatosi con la pandemia da Covid-19 che ha colpito molto severamente gli Stati Uniti. E anche qui, la sinistra non si è lasciata sfuggire l’occasione per scagliarsi contro il Presidente e le sue politiche sanitarie, ricevendo come risposta i soliti tweet fiammeggianti. L’atmosfera era ormai satura. Bastava una scintilla per farla esplodere. E la scintilla è stata la morte dell’afro-americano George Floyd, asfissiato da un poliziotto bianco a Minneapolis. Questa morte, per quanto raccapricciante, non avrebbe provocato una tale esplosione se l’atmosfera non fosse stata già satura.

… che deturpa la percezione della realtà

La prima vittima eccellente della frenesia elettrizzante è la percezione della realtà.

Un’opinione pubblica dominata dalla frenesia elettrizzante si comporta, in tanti modi, come una persona psicologicamente labile, facile preda della paranoia. In psichiatria si parla di “disturbi della senso-percezione”. La stessa percezione della realtà è alterata e, di conseguenza, anche la sua valutazione. Mentre fatti marginali diventano notizie sensazionali, altri, magari rilevanti, spariscono dal campo visuale. Diventa quindi molto facile diffondere non solo fake news ma anche ciò che si potrebbero chiamare fake judgements, cioè valutazioni fasulle dei fatti. È una sorta di paranoia collettiva, nella quale, nella concitazione del momento, le persone perdono la capacità di ragionare in modo oggettivo, quindi di valutare le situazioni in modo imparziale e di comportarsi in modo ordinato.

Gesti che in tempi comuni sarebbero considerati strambi passano per normali, o perfino simpatici. Ne sono esempio i “bacia piedi” che si stanno moltiplicando negli Stati Uniti: un nero per strada porge il piede e i bianchi fanno la fila per baciarlo. Oppure, più vicino a noi, i dirigenti del PD inginocchiati alla Camera dei deputati in omaggio a George Floyd. Una scena grottesca non fosse il clima di frenesia rivoluzionaria.

Ecco perché per i difensori dell’Ordine è così difficile opporsi all’uragano rivoluzionario mentre esso soffia impetuoso. Le loro “armi” – la verità, la logica, la serenità e il buon senso – sono perfettamente inutili in un clima di paranoia collettiva.

Esempio tipico di falsa percezione della realtà è la manipolazione del termine “razzismo”, ostentato dalla sinistra americana come la causa scatenante dell’attuale Rivoluzione, il nemico da abbattere. Tutti sono convinti di protestare contro il razzismo. Eppure, basterebbe vedere i numeri per rendersi conto che si tratta di una fake news, giudicata poi con un fake judgement.

I dati ufficiali del Bureau of Justice Statistics per l’anno 2018 registrano 547.948 casi di violenza di neri contro bianchi, e 59.788 casi di violenza di bianchi contro neri (National Crime Victimization Survey 2018, Table 4). Semmai il razzismo sarebbe a danno dei bianchi.

Un altro esempio. Dal 2017 a oggi, la Polizia americana, o meglio le Polizie poiché ogni Stato ha la sua, ha ucciso 1.398 bianchi e 755 neri. Siccome la percentuale di neri in America è del 12,7%, si conclude che la violenza poliziesca contro i neri è solo una frazione di quella contro i bianchi (Statista Research Department, Jun. 5, 2020). Dove è il razzismo? Già nell’aprile 2015, il Washington Times aveva pubblicato un documentato servizio dal titolo “La polizia uccide più bianchi che neri, ma sono le morti dei neri a provocare indignazione”.

In queste ultime settimane si sono moltiplicate le testimonianze di noti afro-americani, come gli attori Morgan Freeman e Denzel Washington e il rapper Lil Wayne, negando che negli Stati Uniti esista un problema dominante di razzismo. In un clima di frenesia paranoica, però, tali testimonianze sono passate inosservate, mentre si continua a martellare il tasto “razzismo”.

Un commento a margine. Il vero “boia” dei neri negli Stati Uniti è l’aborto. Ben il 44% di tutti gli aborti praticati nel Paese ha come vittima un bimbo afro-americano (“Abortion: The overlooked tragedy for black Americans”, Arizona Capitol Times, 25 febbraio 2020).  È in corso un vero olocausto di afro-americani. Eppure di questo i media non parlano.

Il ruolo della propaganda

Un altro elemento nelle rivoluzioni è la propaganda.

Partiamo dal presupposto che gli artefici della propaganda rivoluzionaria sanno benissimo che un’opinione pubblica in preda alla frenesia elettrizzante è più facilmente manipolabile di un’opinione pubblica serena e ragionante. In tempo di Rivoluzione si possono fare operazioni di guerra psicologica impensabili in tempi normali.

La manipolazione si esercita in vari modi:

– scegliendo quali notizie pubblicare e quali invece oscurare;

– raccontando i fatti in modo tendenzioso;

– conferendo a ogni notizia una certa “vibrazione” in modo da impressionare il lettore, in forma passionale prima che intellettuale; oppure presentando in modo freddo, senza “vibrazione”, notizie che normalmente dovrebbero suscitare una reazione, così da produrre indifferenza.

È un’autentica arte – a volte chiamata “Arte Reale” – che i rivoluzionari dominano alla perfezione.

Un aspetto importante della propaganda durante una Rivoluzione è la manipolazione degli ambienti, che agiscono sulla sensibilità delle persone, quindi al livello del subconscio.  È ciò che Plinio Corrêa de Oliveira chiama la profondità “tendenziale” della Rivoluzione: colori, spazi, forme, musiche, mode, tipi umani e via dicendo. Va annoverata in questo capitolo, per esempio, la manipolazione delle fotografie, dei simboli, dei gesti e dei personaggi-simbolo della rivolta.

Un esempio concreto di discriminazione propagandistica: mentre i media hanno pubblicato con grande evidenza la notizia della morte di George Floyd, e poi di quella di Rayshard Brooks, per mano della Polizia, quasi nessuno si è degnato di comunicare la morte dell’afro-americano David Dorn, poliziotto in congedo di settantasette anni, ucciso a sangue freddo dai manifestanti a Saint Louis.

Uno studio interessante di come la propaganda stia manipolando la narrazione sulle rivolte negli Stati Uniti è quello di Danielle Kilgo e Summer Harlow, dell’Università di Indiana: “Le opinioni del grande pubblico a proposito delle proteste e dei movimenti sociali che gli stanno dietro sono modellate in gran parte da ciò che leggono o vedono sui media. Questo dà ai giornalisti un immenso potere quando si tratta di plasmare e guidare la narrazione della rivolta” (“Riot or resistance? How media frames unrest in Minneapolis will shape public’s view of protest”, Women’s Agenda).

Lasciamo stare la domanda dal milione di dollari: come fanno i media a coordinarsi fra loro in modo da pubblicare, tutti nello stesso modo, la stessa notizia mentre silenziano o nascondono altre? Qui entreremmo nel campo, affascinante quanto delicato, dello studio dei meccanismi attraverso i quali le forze rivoluzionarie si organizzano fra di loro. Basti dire che pensare che tanti giocatori possano muoversi sul campo tutti nella stessa direzione e nello stesso modo per perseguire lo stesso fine senza una mente che dirige è come ammettere che centinaia di lettere dell’alfabeto gettate da una finestra possano disporsi spontaneamente al suolo, in modo da formare un’opera qualsiasi, per esempio l’ Inno a Satana di Carducci. It simply doesn’t happen, direbbero gli americani.

Binomio paura-simpatia

La guerra psicologica rivoluzionaria si fonda sulla manipolazione di ciò che Plinio Corrêa de Oliveira chiamava “binomio paura-simpatia”: “Nella stessa psicologia di innumerevoli persone agisce un binomio di forze, chiamiamolo binomio paura-simpatia” (Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo, 2012).

Da una parte l’opinione pubblica americana ha paura di un’eventuale esplosione di violenza razziale, con la sua sequela di sangue e distruzione. Dall’altra, ha una naturale simpatia per l’uguaglianza delle razze, e propende per l’inclusione pacifica delle minoranze etniche nel sistema americano. Concretamente, l’opinione pubblica americana ha avuto paura dei saccheggi e della violenza, mentre ha dimostrato simpatia per le manifestazioni pacifiche in sostegno a Floyd.

Su tale sfondo psicologico, la propaganda rivoluzionaria lancia quindi ciò che il pensatore cattolico brasiliano chiama “parola-talismano” – in questo caso sarebbe “razzismo” – che suscita tutta una costellazione d’impressioni ed emozioni, di simpatie e repulsioni, che va orientando le persone verso nuove rotte ideologiche.

La parola-talismano è dotata di grande efficacia propagandistica. Possiede inoltre una grande elasticità, della quale si abusa, presentandola in sensi sempre più radicali. Così dal rifiuto del “razzismo” in senso stretto, cioè la fine delle discriminazioni per motivo di razza, si passa al rifiuto della società “razzista”, vale a dire si passa alla lotta contro ogni discriminazione: politica, economica, culturale, morale e via dicendo. Usando questa tecnica psicologica, la propaganda rivoluzionaria traghetta quindi l’opinione pubblica da un ideale perfettamente condivisibile a un ideale anarchico.

Gioverebbe rileggere il saggio sopra menzionato di Plinio Corrêa de Oliveira, sostituendo la parola-talismano da lui analizzata – “dialogo” – con “razzismo”.

Una struttura organizzativa dietro le rivolte

Esiste una struttura organizzativa dietro le rivolte negli Stati Uniti? Oppure si tratta di movimenti popolari spontanei e non coordinati fra loro?

Un elemento essenziale in ogni rivoluzione è l’esistenza di una struttura – di solito non apparente – che stimola, coordina e orienta i moti. Un caso paradigmatico fu la cosiddetta Grande Peur, nel luglio 1789: lo stesso giorno, alla stessa ora e con le stesse modalità in tutta Francia sorsero dal nulla agitatori che gridavano alla rivolta, incutendo nervosismo e paura e incitando i cittadini a prendere le armi perché “stanno arrivano i tedeschi!”. Scoppiarono quindi sommosse ovunque. A pretesto di difendere la Francia, i club giacobini ottennero fucili dall’Esercito. Pochi giorni dopo, si scoprì che si trattava di un’immensa bufala e le sommosse finirono. I giacobini, però, erano ormai armati, e si era molto inasprito il clima di frenesia elettrizzante che stava alimentando la Rivoluzione francese.

Qualcosa di simile sta accadendo negli Stati Uniti. “Quando proteste che si trasformano in rivolte avvengono ovunque nello stesso momento, usando tattiche e slogan simili, non è l’opera di un piccolo numero di rivoltosi – commenta John Horvat – Quando pallet di mattoni appaiono vicino ai luoghi dove, da lì a poco, ci sarà un saccheggio, questo non è il lavoro di opportunisti casuali. Quando i rivoltosi hanno l’appoggio universale dei media, dei politici, delle celebrità, dei dirigenti aziendali e del clero, c’è qualcosa di più grande in gioco. Questo sforzo ormai mondiale è guidato da persone che sanno come dirigere e articolare gli eventi verso un determinato obiettivo. Queste rivolte non sono spontanee o casuali. Movimenti di questo tipo hanno bisogno di organizzazione, di pensiero e di narrativa. Hanno bisogno di militanti addestrati” (John Horvat II, “Facciamo attenzione alla regola seguita dagli artefici delle sommosse”, Tradition Family Property, 12-06-20).

Una meta sovversiva e rivoluzionaria

Arriviamo così al punto centrale di quest’analisi, che sarà anche l’ultimo.

Ciò che caratterizza, direi proprio definisce, una Rivoluzione è il suo scopo ultimo di sovvertire radicalmente l’Ordine. I moti rivoluzionari non avvengono per protestare contro questa o quell’altra situazione, né per risolvere questo o quel problema. Semmai questi ultimi ne fungono da strumento o da pretesto. Le Rivoluzione si fanno per stravolgere l’Ordine.

“I rivoltosi hanno bisogno della violenza perché stanno scrivendo la narrativa che tutti poi seguono – scrive John Horvat – È la vecchia narrativa della sinistra secondo cui la storia è una lotta eterna tra oppressori e oppressi. I rivoltosi non vogliono l’armonia sociale poiché essa impedisce l’avanzamento del processo rivoluzionario. La sinistra americana ha sfruttato i disordini per fomentare la lotta di classe su vasta scala. Tutti i personaggi già noti di questo dramma rimangono gli stessi: abortisti, attivisti LGBT, socialisti, femministe e persino satanisti si sono sommati a questa Rivoluzione contro l’Ordine stabilito” (id.).

Non a caso, la sinistra americana sta qualificando le rivolte di “crisi sistemica”. In altre parole, il problema non è il razzismo. Si vuole stravolgere tutto il sistema americano. E si usa all’uopo qualsiasi settore sia arrabbiato e avido di cambiare il sistema in qualsiasi punto: abortisti, attivisti LGBT, socialisti, femministe e via discorrendo. I teorici rivoluzionari parlano di un “nuovo proletariato” impegnato nella lotta per ciò che Marcuse definiva “una diffusa e totale disintegrazione del sistema”.

Le rivolte negli Stati Uniti si inseriscono appieno in un nuovo tipo di Rivoluzione – chiamata dagli studiosi “Rivoluzione molecolare diffusa” – che ha già avuto diverse avvisaglie, come in Cile alla fine del 2019. Si tratta di una rivoluzione anarchica, che cerca una dissoluzione generale del sistema, e che fa uso di qualsiasi minoranza o gruppo sociale disposto a ribellarsi contro qualsiasi punto dell’Ordine costituito. Questo, però, sarebbe tema per un altro articolo.

Julio Loredo

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Fonte: Fatima oggi

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