Mentre in Italia e in Europa l’epidemia del Covid sta finalmente terminando, non così purtroppo si può dire dell’indotto generato dalla stessa: per parecchio tempo ancora dovremo aspettarci minacce di un sedicente ritorno, dovremo vederci prospettare forme di controllo personale, come il tracciamento, e limitazioni alle libertà. L’epidemia sta rappresentando un’occasione per introdurre cambiamenti radicali di tipo politico, economico, culturale, e non da ultimo ecclesiale.
All’interno della Chiesa cattolica l’epidemia rappresenta per qualcuno l’occasione ghiotta per cambiamenti epocali: la cyberteologia, la Messa in streaming, la sospensione a tempo indeterminato di molti sacramenti, fino a modifiche apportate alla Santa Messa.
Nei giorni scorsi, il principale liturgista della diocesi di Cremona, don Daniele Piazzi, ha dichiarato che è tempo di mettere fine a novecento anni di abusi. A cosa si riferiva? Alla pratica della Comunione in bocca, che in realtà è entrata nell’uso liturgico in modo definitivo in epoca carolingia. Secondo il liturgista cremonese, questo sarebbe un abuso, rispetto all’uso corretto che a suo parere era quello – più primitivo – della Comunione ricevuta in mano, che peraltro divenne un uso molto diffuso a partire dagli anni Settanta del Novecento su iniziativa di alcuni episcopati europei, in Francia, Olanda e Germania. Un uso al quale si oppose fermamente ma inefficacemente il papa Paolo VI. Ora, in tempi di epidemia, la comunione in mano è stata imposta dalla Cei non per ragioni pastorali, non con motivazioni teologiche, ma semplicemente perché sarebbe (il condizionale è d’obbligo) una pratica più igienica.
Moltissime sono state le proteste dei fedeli, ma senza risultato. Anzi: molti vescovi sembrano mostrare una particolare chiusura al dialogo e una preoccupante carenza di misericordia.
Così a Cremona, dove don Piazzi, oltre ad esternare il suo parere in merito a una pratica liturgica millenaria, a nome e per conto del vescovo ha chiuso le porte ai fedeli che volevano ricevere la comunione in bocca. Non volete sottomettervi ai diktat curiali? E io vi tolgo la Messa. Uno strano ricatto, davvero inconsueto nella bimillenaria storia della Chiesa.
Cosa è accaduto? Un gruppo di fedeli che frequentavano una Messa secondo il Rito Antico, celebrata nella città del Torrazzo una volta al mese, avevano fatto richiesta alla Curia di poterla riprendere terminato il lockdown ecclesiastico. La risposta è stata un sì, ma condizionato. In rappresentanza del vescovo, don Piazzi infatti negli scorsi giorni ha detto a chiare lettere che la Messa celebrata da lui stesso non avrebbe visto la possibilità di accostarsi alla Comunione nella forma tradizionale, ovvero in ginocchio e in bocca. A questo punto è iniziato un carteggio tra i fedeli e il liturgista che ci sembra interessante riportare.
In data 16 giugno 2020 il gruppo dei fedeli fa presente le ragioni per ricevere la Comunione nella forma tradizionale, sottolineando peraltro che le stesse indicazioni governative non hanno dato disposizioni per la distribuzione della comunione in mano nelle liturgie orientali (ma neppure, in maniera esplicita, nel Protocollo con la Cei), dove tale modo di amministrazione del sacramento non è ammesso esattamente come non lo è nella forma extra-ordinaria del rito romano. Tanto più che, come è stato rilevato da numerosi medici e infettivologi, la distribuzione in mano non costituisce una modalità più sicura rispetto a quella tradizionale. “Possiamo discuterne serenamente e trovare una soluzione? La nostra è una bella esperienza e non vogliamo che sia turbata da diatribe o contrasti proprio quando possiamo finalmente riprendere la celebrazione pubblica della S. Messa.
Con amicizia”.
La risposta di don Piazzi è stata la seguente: “Egregi Signori, ho comunicato al vescovo di Cremona la vostra e-mail. Considerando che la modalità di ricevere la comunione è per la vostra sensibilità eucaristica più vincolante del comunicarsi in se stesso, tanto da portarvi a non obbedire al comando del Signore, ‘Prendete… mangiate’, il vescovo mi autorizza a informarvi che la Messa nella forma straordinaria è sospesa fino al momento in cui i vescovi italiani e le disposizioni governative consentiranno di tornare alla normalità celebrativa senza mettere a rischio la salute dei fedeli. Aggiungo di mio che come voi non volete ‘essere costretti’ a una modalità celebrativa che offende la vostra sensibilità eucaristica, ugualmente il sottoscritto ‘in scienza e coscienza’ non può essere posto da altri nella condizione di mettere a rischio la salute dei fedeli. Si spera con il prossimo autunno di essere messi nelle condizioni di celebrare in tranquillità. Cordialmente.
Don Daniele Piazzi”.
Insomma: la Chiesa-in-uscita ha sbattuto la porta in faccia ai fedeli. Non fai come dico io? E io ti tolgo la Messa. Non sono obbligato a celebrarla, sembra essere il messaggio. Con un alibi sanitario, si intende: non vogliamo mettere a rischio la salute dei fedeli. Il che significa che per qualche ecclesiastico il Corpo di Cristo rappresenta un potenziale mezzo di infezione, anziché di Salvezza. Parole sarcastiche, cattive, quelle del liturgista che si fa voce del vescovo, e che non possono non suscitare tristezza e dispiacere.
Occorre dunque rendere merito ai fedeli cremonesi, che di fronte a questo atteggiamento beffardo e di totale chiusura, il 21 giugno 2020 hanno replicato con parole di grande saggezza e rispetto che vale la pena riportare.
“Reverendo don Daniele, abbiamo ricevuto con dolore la Sua e-mail del 16 giugno scorso, in cui ci comunica, a nome di S. E. monsignor Napolioni vescovo, l’invero inattesa sospensione – quantomeno sino al prossimo autunno, in relazione alla situazione sanitaria – della Santa Messa. Pensiamo che sia opportuno precisarLe alcune cose, anche per dissipare, come desideriamo vivamente, il sentore di biasimo spirituale che ci è parso di avvertire in alcune delle Sue parole:
1) era nei nostri intenti significarLe la difficoltà soggettiva di molti fedeli della Messa tridentina, a ricevere la Santa Comunione in maniera non tradizionale, perché in contrasto con la propria lecita sensibilità religiosa e liturgica, che riteniamo sia giusto venga quantomeno presa in paterna considerazione. In questo periodo, le modalità di ricezione della Santa Comunione dipendono da motivi sanitari, sui quali crediamo sia legittimo che ciascuno mantenga una certa libertà di giudizio, specie ove la questione si riverberi su ciò che abbiamo di più caro – e l’Eucarestia lo è – e sul modo in cui riteniamo doveroso onorarLo. Per cui, ci permetta di dirlo, ci è parso non pertinente interpretare la posizione di quei fedeli che si sentono a disagio come una indebita accentuazione del modo di ricevere la Santa Comunione rispetto alla Comunione in se stessa (cfr. Papa Francesco, 17 giugno 2020, sulla libertà di coscienza).
2) Anche per questo, ci ha stupito che alla nostra richiesta di incontro, rivoltaLe per trovare una possibile soluzione condivisa, Lei ci abbia risposto negandocelo e comunicandoci inappellabilmente la decisione del Vescovo. Ci consenta di osservare che, se avessimo preferito un approccio forse più pragmatico, ma meno sincero e trasparente, e non ci fossimo preoccupati dell’ottimale andamento delle nostre celebrazioni, avremmo potuto non affrontare la questione, pur sapendo che molti fra i fedeli avrebbero liberamente scelto di non accostarsi alla Santa Comunione. Ma ci è parso che ciò avrebbe tradito la serietà e lo spirito di leale collaborazione nei Suoi riguardi con cui affrontiamo l’organizzazione delle nostre celebrazioni.
3) Ci consenta anche di chiederci se questa decisione sia in linea con le indicazioni formulate opportunamente qualche mese fa dalla Congregazione per la dottrina della fede per sanare una dolorosa e antica ferita, che siamo felici sia stata chiusa. Siamo certi, infatti, che, a fronte delle disposizioni della Congregazione per la dottrina della fede, che ci riconoscono l’esercizio del diritto ad avere la celebrazione in rito antico, il vescovo possa certamente trovare le modalità necessarie – qualunque esse siano – per consentire la celebrazione della Messa e non per sospenderla, senza scontrarsi frontalmente con la sensibilità di quanti si trovano a disagio ricevendo la Santa Comunione in mano.
Non vorremmo, infatti, che la nostra sincera domanda di confronto, finisca per trasformarsi nell’occasione di interrompere senza giustificato motivo la bella e fruttuosa esperienza del rito tridentino a Cremona, che tanto ha coinvolto i fedeli, giunti numerosi, in stragrande maggioranza giovani e famiglie con bambini”.
Parole che sottoscriviamo, con solidarietà, simpatia e stima.
Paolo Gulisano