Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio più recente contributo per la rubrica La trave e la pagliuzza in Radio Roma Libera.
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Mi ha colpito molto lo scambio di lettere tra monsignor Luigi Negri, vescovo emerito di Ferrara-Comacchio, e l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, già nunzio negli Stati Uniti.
“Man mano che le circostanze della vita tendono a indicarci elementi di degrado sia nella vita ecclesiale che in quella sociale – scrive Negri a Viganò – vorrei farle pervenire la mia adesione al suo messaggio che mi sembra abbia raccolto il cuore vivo della nostra esperienza ecclesiale. Questo cuore vivo dell’esperienza ecclesiale si connota sempre più per la quotidiana consapevolezza che il tempo che ci è dato fugge e che la nostra esistenza rimane fortemente condizionata dalla provvisorietà degli eventi e dei fatti. Mi sembra che la Chiesa, a brani, secondo un ritmo spesso momentaneo, stia recuperando la coscienza della propria identità e il compito missionario che caratterizza la sua vita e la sua storia”.
Il messaggio a cui si riferisce monsignor Negri è l’Appello per la Chiesa e per il mondo, lanciato da monsignor Viganò all’inizio dello scorso maggio e sottoscritto da decine di migliaia di persone.
Prosegue monsignor Negri: “Noi sentiamo ogni giorno più viva la pressione degli eventi che chiedono di essere giudicati secondo la chiarezza della parola del Signore e vissuti come obbedienza alla Sua volontà… La nostra forza è veramente l’abbandono della nostra vita alla Sua volontà e soprattutto il desiderio che la nostra vita viva la grande vibrazione della missione”.
“Ci stringiamo a lei, Eccellenza, e vorremmo poter accompagnare come ultimi discepoli il suo passo sicuro sulla strada della verità, della bellezza e del bene. Il Signore renda la sua presenza nella Chiesa e fra gli uomini come una presenza carica di verità, di capacità di sacrificio e di volontà di bene verso tutti gli uomini; così ci sembra di corrispondere in modo povero, ma reale, al grande invito della liturgia di ogni momento, quello di non perdere il tempo ma restituirlo ogni giorno con piena volontà e con grande apertura al cuore stesso di Dio, perché nella vita di ogni giorno noi siamo proprio chiamati a sperimentare la grandezza di Dio e il desiderio di contribuire in qualche modo, realmente però, al farsi del Regno di Dio nel mondo”.
A questa lettera di monsignor Negri, datata 16 giugno 2020, monsignor Viganò ha risposto l’indomani con una lettera che si apre così: “Eccellenza Reverendissima, ho letto con grande commozione le Sue parole, per me davvero toccanti. È una consolazione vedere che Vostra Eccellenza ha colto, con l’acume e la lucidità che sempre hanno contraddistinto il Suo giudizio, il cuore del problema. Il tempo presente, specialmente per chi ha uno sguardo soprannaturale, ci riporta alle cose basilari della vita, alla semplicità del Bene e all’orrore del Male, alla necessità di scegliere lo schieramento nel quale combattere le nostre piccole e grandi battaglie quotidiane. Vi è chi vede in questo una banalizzazione, come se la chiarezza del Vangelo fosse ormai incapace di dare risposte esaurienti ad un’umanità complessa e articolata; eppure, mentre alcuni nostri confratelli Vescovi si preoccupano quasi ossessivamente per l’inclusività e la green theology auspicando il Nuovo Ordine Mondiale e una Casa comune per le religioni abramitiche, nel popolo e nei sacerdoti va facendosi spazio la persuasione di una lontananza dei propri Pastori – fortunatamente, non tutti – proprio nel momento dello scontro epocale”.
Monsignor Viganò poi scrive: “È vero: il tempo ci sfugge di mano, Eccellenza, e con esso si sbriciolano i castelli di sabbia della retorica quasi iniziatica di chi nella provvisorietà del tempo e nella fragilità del contingente ha voluto costruire il proprio successo. Vi è qualcosa di inesorabile, in quanto accade oggi: i miraggi effimeri che avrebbero dovuto sostituirsi alle verità eterne ci appaiono, alla cruda luce della realtà, nel loro squallore artefatto e posticcio, nella loro ontologica e inesorabile falsità. Ci scopriamo bambini, secondo le parole di Nostro Signore; riconosciamo quasi istintivamente i buoni e i cattivi, il premio e la pena, il merito e la colpa. Ma si può considerare banale la serenità del fanciullo che riposa sul petto della madre, la fiducia fiera del bambino che si aggrappa alla mano del padre? Quante parole fatue ci sono state dette, quanti palliativi inutili ci sono stati propinati, pensando che la Parola eterna del Padre fosse inadeguata, che occorresse aggiornarla per renderla più seducente alle sorde orecchie del mondo! Eppure, sarebbe bastato farla nostra, quella Parola, per non aver bisogno d’altro. Se finora ci siamo lasciati confondere dallo strepito del secolo, ora possiamo abbandonarci con fiducia filiale e lasciarci guidare, perché riconosciamo la voce del divino Pastore e Lo seguiamo dove Egli ci vuole condurre. Anche quando altri, che pure dovrebbero parlare, tacciono. La nostra povertà non è di ostacolo, ma anzi di aiuto in questi frangenti: quanto più saremo umili, tanto più risplenderà la maestria dell’Artista che ci impugna come uno strumento nelle Sue abili mani, come la penna con cui lo Scrivano verga sapientemente la pagina”.
Infine, monsignor Viganò chiede al confratello di “pregare perché tutti noi, che nella pienezza del Sacerdozio il Signore chiama non servi ma amici, riusciamo a renderci docili strumenti della Sua Grazia, riscoprendo la semplicità divina della Fede che Egli ci ha comandato di predicare a tutte le genti. Tutto ciò che per orgoglio vi aggiungeremo di nostro è un penoso orpello di cui dobbiamo imparare a disfarci sin d’ora, se non vogliamo che lo facciano le fiamme del Purgatorio, nelle quali le nostre poche pagliuzze d’oro saranno purificate dalle scorie per renderci degni della visione beatifica. Non sprechiamo i giorni preziosi nei quali la malattia e la vecchiaia ci danno l’opportunità di espiare le nostre e le altrui colpe: sono giorni benedetti che possiamo offrire alla Maestà di Dio per la Chiesa e i suoi Ministri”.
Questo scambio di missive mi ha commosso. Monsignor Negri e monsignor Viganò, oltre a essere entrambi ambrosiani, sono coetanei, essendo nati nel 1941. Ecco due quasi ottantenni che, nella fase finale della loro vita, dopo tanto studio e dopo tanto servizio e cammino all’interno della Chiesa, con responsabilità di primissimo piano, avvertono ora la necessità di tornare all’essenziale della fede, lasciando da parte tutto ciò che offusca la bellezza del Vangelo, l’amicizia con Gesù e la speranza cristiana, e rifiutando i nuovi dogmi della Chiesa che vuole a ogni costo piacere al mondo. Ecco due anziani pastori che ritornano alla fede bambina: bambina non perché immatura, ma perché è abbandono totale e fiducioso.
Poiché dopo l’Appello monsignor Viganò è intervenuto con forza, con un altro documento, anche per stigmatizzare le deviazioni dottrinali e liturgiche introdotte a causa del Concilio Vaticano II, monsignor Negri ha in seguito tenuto a precisare con un comunicato che la sua lettera di apprezzamento indirizzata all’ex nunzio riguarda l’Appello di maggio e non l’intervento sul Concilio. Una precisazione che fa capire come ragionare liberamente sul Concilio sia oggi quasi un tabù. E sia, quindi, quanto mai necessario.
Aldo Maria Valli