Che importa il sapere se non si ha il timor di Dio?

Cari amici di Duc in altum, da Aurelio Porfiri, dopo Nel mondo ma non del mondo, un’altra riflessione utile per la nostra formazione spirituale.

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Da giovane sono stato affascinato da un trattato medioevale di spiritualità, L’imitazione di Cristo. È un trattato molto denso e profondo, in cui si trovano autentici tesori di spiritualità, rilevanti e importanti anche nel mutato mondo di oggi. La sua lettura è quindi di grande beneficio interiore e ampiamente consigliata a coloro che vogliono attingere a una solida spiritualità cristiana.

Per chi sia impegnato nell’approfondimento della vita intellettuale, che può portare alla superbia, consiglio questo passaggio, che si trova all’inizio del trattato: «L’uomo, per sua natura, anela a sapere; ma che importa il sapere se non si ha il timor di Dio? Certamente un umile contadino che serva il Signore è più apprezzabile di un sapiente che, montato in superbia e dimentico di ciò che egli è veramente, vada studiando i movimenti del cielo. Colui che si conosce a fondo sente di valere ben poco in sé stesso e non cerca l’approvazione degli uomini. Dinanzi a Dio, il quale mi giudicherà per le mie azioni, che mi gioverebbe se io anche possedessi tutta la scienza del mondo, ma non avessi l’amore? Datti pace da una smania eccessiva di sapere: in essa, infatti, non troverai che sviamento grande e inganno. Coloro che sanno desiderano apparire ed essere chiamati sapienti. Ma vi sono molte cose, la cui conoscenza giova ben poco, o non giova affatto, all’anima. Ed è tutt’altro che sapiente colui che attende a cose diverse da quelle che servono alla sua salvezza. I molti discorsi non appagano l’anima; invece una vita buona rinfresca la mente e una coscienza pura dà grande fiducia in Dio. Quanto più grande e profonda è la tua scienza, tanto più severamente sarai giudicato, proprio partendo da essa; a meno che ancor più grande non sia stata la santità della tua vita».

Che riflessione spiazzante!

Bisogna stare bene attenti a non pensare che quanto detto dal trattato equivalga a uno svilimento del sapere. Anzi, se si legge bene è vero il contrario. Il sapiente ha una responsabilità ancora maggiore, perché deve conformare la propria vita ai precetti cristiani con forza ancora più grande, dato che a lui è stato dato di più.

Il passo citato, dunque, non invita a svilire il sapere ma a dare al sapere il suo vero valore. Al capitolo 12 (37-48) del Vangelo di Luca leggiamo: «”Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”. Allora Pietro disse: “Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. Il Signore rispose: “Qual è dunque l’amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l’aspetta e in un’ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”».

Quindi, comprendendo quanto detto nel trattato nel contesto del Vangelo di Luca, possiamo capire che a coloro che il Signore ha dato di più, anche in senso intellettuale, di più verrà chiesto. Dal punto di vista della fede, la conoscenza e la sapienza, pur se grandissime, senza il timore di Dio sono vane. E il timore di Dio ci insegna un grande atteggiamento da tenere nella nostra vita: quello dell’umiltà. Non bisogna mai prendersi troppo sul serio, come se da noi dipendesse chissà che cosa. Siamo solo umili strumenti, quale che sia il livello del talento nella nostra professione o nelle nostre passioni. Io ho conosciuto persone di livello intellettuale altissimo e devo dire che quelle più avanti nella loro vita spirituale erano proprio quelle che mantenevano un atteggiamento di grande umiltà verso sé stesse e verso gli altri.

A volte non ci è facile rimanere umili, tutti cadiamo in atti di superbia. Il problema sta nella nostra fragile natura umana. Allora cerchiamo sempre di ricordare: a che serve la sapienza se non abbiamo il timore di Dio? Credo che questo insegnamento sia veramente importante per cercare di non perdere mai la strada maestra.

Aurelio Porfiri

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