L’altro giorno, durante la Santa Messa domenicale in un’importante parrocchia di Milano, il celebrante ha rivelato un dato agghiacciante: dopo la riapertura, nella diocesi ambrosiana, appena il 30% dei fedeli è tornato a frequentare le chiese, “le famiglie e i ragazzi sono totalmente scomparsi”. La situazione non è molto migliore nel resto d’Italia.
Senza cattiveria, ho pensato: li avete abbandonati durante il periodo più critico della pandemia, adesso loro vi ripagano con la stessa moneta.
La pandemia da Covid-19 ha mostrato il lato peggiore della crisi che, da più di mezzo secolo, attanaglia Santa Madre Chiesa: l’abbandono cosciente e volontario della sua missione salvifica da parte di tanti pastori. Gli italiani sono rimasti sbigottiti quando la Cei ha sospeso il culto pubblico ancor prima che il governo ne decretasse il blocco, privando così i fedeli dei sacramenti. Al lockdown sociale si è aggiunto così quello spirituale, assai più implacabile. Abbiamo avuto la bizzarra situazione per cui erano aperti i supermercati e i tabaccai, ma le cerimonie religiose erano proibite. Mentre le persone potevano tranquillamente andare a fare shopping o a comprarsi le sigarette, molti sono morti senza il soccorso del sacramento della Penitenza e dell’Unzione degli infermi. Più di un vescovo ha perfino emanato norme per vietare ai sacerdoti di esporsi assistendo i malati. L’esatto contrario di ciò che la Chiesa ha fatto per duemila anni.
Alcuni sacerdoti coraggiosi, sfidando le imposizioni della Cei, hanno provato a celebrare la Messa con poche persone presenti, o all’aria aperta, in perfetta ottemperanza alle norme sanitarie. Sono stati severamente puniti con multe salate, e perfino minacciati di carcere. Si è arrivato allo scandalo dell’invasione di alcune chiese da parte delle forze dell’ordine, con interruzione sacrilega del Santo Sacrificio. Non solo le autorità ecclesiastiche non hanno protestato contro questi atti di persecuzione religiosa, ma si sono effettivamente schierati con il governo, rimproverando i sacerdoti “ribelli”. Forse, mai nella storia d’Italia la Chiesa si è mostrata così sottomessa allo Stato.
Quando, cedendo al clamore dei fedeli scandalizzati, la Cei ha finalmente cominciato ad alzare un pochino la voce in difesa della libertà religiosa, questa è stata immediatamente zittita da papa Francesco, che dalla cattedra di Santa Marta ha esortato i vescovi a “obbedire alle disposizioni del governo”.
A questo atteggiamento servile nei confronti di Cesare dobbiamo aggiungere gli sforzi di tanti pastori nel negare qualsiasi significato spirituale alla pandemia. È una punizione divina? Il pensiero cattolico tradizionale lo avrebbe considerato, almeno come un’ipotesi. È innegabile che la Provvidenza a volte usa, come cause secondarie, eventi naturali come “punizioni” per i peccati dell’umanità. A Fatima, per esempio, la Madonna definì esplicitamente le due guerre mondiali come punizioni. Oggi, tuttavia, questa parola è assolutamente esclusa dal vocabolario cattolico. L’arcivescovo di Fatima, il cardinale Antonio Marto, è arrivato ad affermare: “Parlare di questa pandemia come punizione è ignoranza, fanatismo e follia”. Si rifiutano di parlare di peccato pubblico. Si rifiutano di richiamare i fedeli alla conversione. Si rifiutano, insomma, di compiere il proprio dovere come pastori di anime.
E i fedeli hanno reagito distanziandosene, non riconoscendo più in loro la voce del vero pastore…
Dicono che il silenzio dei sudditi sia una lezione per i Re. Che cosa possiamo dire del silenzio dei fedeli?
Julio Loredo
Fonte: Fatima oggi
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