Sedicenne scrive a Viganò: “Manca un sano timor di Dio”. E la risposta dell’arcivescovo
Cari amici di Duc in altum, monsignor Viganò mi ha trasmesso la lettera che ha ricevuto da un ragazzo di sedici anni, seguita dalla sua risposta. Volentieri pubblico entrambe.
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Eccellenza reverendissima, mi chiamo M., abito in provincia e diocesi di Milano, sono nato nel 2004.
Sono onorato di fare la sua conoscenza, anche se tramite corrispondenza. Le scrivo questa lettera innanzitutto per complimentarmi con lei e incoraggiarla a continuare a “far sentire la sua voce” (in questo periodo l’unica “fuori dal coro”) per far comprendere alla gente il vero spirito cattolico, con la sua dottrina integrale.
Lei forse, caro monsignore, si sorprenderà che un giovane della mia età, nato in piena epoca post-conciliare, abbia a cuore la bimillenaria tradizione di Santa Madre Chiesa. In realtà sono proprio i giovani che dovrebbero amare e riscoprire la tradizione e la santa Messa Tridentina, soprattutto dopo il motu proprio di Benedetto XVI ma la realtà è un’altra, molti dicono che le persone troppo giovani non capiscono queste cose, non è vero…! Ci sono arrivato io… La verità è questa: semplicemente hanno altri interessi e a tutti manca un sano timore di Dio.
Come ha detto lei, il terzo segreto di Fatima è stato insabbiato ma la Madonna ha promesso che alla fine il suo Cuore Immacolato trionferà!
Io, come le ho già detto, sono nato nell’epoca post-conciliare, quando Wojtyla era ammalato da tempo ed era alla fine dei suoi giorni. Poi c’è stato Benedetto XVI e infine Bergoglio che ha stravolto quel poco di cattolicesimo sopravvissuto al concilio. Nessuno ha mai fatto tanti danni come Bergoglio…
Attendiamo il trionfo dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, certi che se tutto questo accade e Dio non interviene è perché ne ricava un bene maggiore a noi incomprensibile. Ma noi nel frattempo cosa possiamo fare nel nostro piccolo?
La saluto caramente e la ringrazio già da ora per la sua risposta.
Le chiedo umilmente di impartirmi la sua episcopale benedizione e di pregare per me.
Sia lodato Gesù Cristo!
M.
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Carissimo M., ho ricevuto la tua lettera, che mi ha davvero colpito. Essa rivela una forte personalità ed ancor più una chiarezza di idee che molte persone adulte, e tra esse molti chierici e prelati, non hanno.
Tu hai colto con pochi tratti il cuore del problema: la crisi che oggi travaglia la Chiesa è dovuta all’aver dimenticato il santo timor di Dio, che come insegna il salmista costituisce il primo passo della saggezza. Initium sapientiae timor Domini. È un versetto del salmo 110 che fino al Concilio abbiamo sentito echeggiare nelle nostre chiese la domenica, al canto dei vesperi.
Il santo timor di Dio, come certamente saprai, è uno dei sette doni del Paraclito, grazie al quale il fedele vive e agisce considerandosi costantemente sotto lo sguardo del Signore e cerca di piacere più a lui che al mondo, come un figlio che vuole corrispondere all’amore del Padre, piuttosto che quello del suddito che non vuole essere colto a trasgredire la legge. È la consapevolezza della somma grandezza dell’Onnipotente, della sua autorità, della sua infinita maestà: e della nostra piccolezza, del nostro dovere di inginocchiarci davanti a lui, dell’obbedienza che gli dobbiamo.
Chi ha il timor di Dio a lui solo vuole piacere, e non pensa di cambiare la dottrina o la morale per compiacere gli uomini, o per ammiccare all’errore: non osa manomettere la liturgia della Chiesa, cancellando quanto in essa richiama la divina maestà del Signore degli eserciti, ma anzi la custodisce con venerazione perché sull’altare si ripete in forma incruenta il Santo Sacrificio che sulla Croce ci ha meritato la Redenzione. Chi ha il timor di Dio trema al pensiero dello scandalo che può arrecare alle anime affidategli, e per amore delle quali Nostro Signore ha versato il suo sangue. Chi ha il timor di Dio inorridisce all’idea di poterlo offendere con il porgli accanto gli dei delle genti, in nome del dialogo.
Ed è vero quel che dici: se tutto questo accade e Dio non interviene è perché ne ricava un bene maggiore a noi incomprensibile. In realtà sembra che il Signore ci abbandoni a noi stessi, ma proprio nel momento in cui l’errore pare sopraffare la verità, quando sembra che tutto sia perduto e che i pastori siano fuggiti abbandonando il gregge in balìa dei lupi rapaci, quando le chiese sono disertate dai fedeli e la morale pubblica esalta il vizio e condanna la virtù, ecco sorgere anime innamorate di Dio che con la propria vita, con l’esempio silenzioso delle buone opere, con la preghiera e il sacrificio trattengono l’ira divina e impetrano al Cielo nuove grazie, nuove benedizioni, nuovi impensabili miracoli di cui solo l’Onnipotente è capace.
Mi chiedi cosa possiamo fare, mentre aspettiamo il trionfo del Sacro Cuore di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria: possiamo e dobbiamo coltivare il santo timor di Dio, vivere alla sua presenza, gustare l’ineffabile prodigio con il quale la nostra anima, illuminata dalla Verità e infiammata dalla Carità, diventa il tempio dello Spirito Santo e il tabernacolo in cui la Santissima Trinità si degna di porre la propria dimora. Dalla vita in stato di Grazia l’anima trae l’alimento indispensabile per crescere in santità, e quanto più cresce nella santità tanto più il suo agire si conforma alla volontà di Dio.
Questo è l’auspicio che formulo per te, nella certezza che questo fuoco sacro che porti dentro il cuore possa illuminare i tuoi amici, infiammandoli dell’amore di Dio e del prossimo. Dinanzi al miracolo di giovani anime ardenti di Carità anche i vecchi cuori induriti di tanti fedeli e non pochi chierici saranno toccati dalla Grazia, e torneranno ad inginocchiarsi con timore e tremore, togliendosi i calzari e coprendosi il volto come fece Mosè davanti alla maestà di Dio celata nel roveto ardente.
A te e alla tua famiglia, caro M., giunga di tutto cuore la mia paterna benedizione.
+ Carlo Maria Viganò, arcivescovo