L’abito fa il monaco. Eccome!
Un prete novello veste da… prete e un canonico si straccia le vesti. Cronache dalla Chiesa in uscita. Ce le racconta Giovanni Lugaresi.
***
Le cronache hanno riferito di un incredibile episodio avvenuto in terra orobica.
Telegraficamente: sabato 29 agosto nella cattedrale di Bergamo il vescovo ha ordinato tre nuovi sacerdoti (ahi! Come sono lontani i tempi in cui in quella diocesi di sacerdoti novelli se ne contavano annualmente a decine…). Uno di questi, don Michael Zenoni, il giorno successivo ha celebrato Messa nella sua contrada di Novazzo, che da 181 anni non vedeva ordinato al sacerdozio nemmeno un giovane. Se non che il “novello levita” ha avuto l’idea di farsi fotografare con indosso la veste talare e la fascia.
E qui, ecco l’incredibile di cui si diceva. L’immagine postata su Facebook è arrivata all’attenzione di monsignor Alberto Carrara, canonico della cattedrale bergamasca, già delegato vescovile per la Pastorale della cultura e delle comunicazioni sociali, e fino a tre anni fa direttore del settimanale on-line della curia. Il quale, indignatissimo, si è stracciato le vesti (è il caso di dire) al punto da pubblicare sulla propria pagina Facebook una lunga reprimenda contro l’uso (ancora obbligatorio, si tenga a mente) della veste talare.
Mi son chiesto: sto sognando o quel che ho letto è tutto vero?
Sì, tutto vero; non sognavo.
Ma come? Per chi trasgredisce le norme canoniche vestendosi da fighetto o da metalmeccanico (con tutto il rispetto della categoria), nessuno alza la voce; viceversa, se uno indossa la “divisa d’ordinanza” non sia mai!
E al vecchio cattolico che io sono è venuto un ricordo, un caro ricordo, fra i tanti della vita.
Correva l’anno 1992 e insieme ad Alberto Guareschi venni invitato da don Piero Piazza a Bozzolo, alla Fondazione don Primo Mazzolari, per parlare dell’autore di Don Camillo: al mattino agli studenti, nel tardo pomeriggio agli adulti.
Don Piero vestiva la talare e durante il pranzo, presenti alcuni suoi confratelli in clergyman, peraltro seduti a tavola distanti da noi, sorridendo dissi: “Ma, don Piero, e lei, niente clergyman?”.
La replica fu: “Questa veste talare me l’ha abbottonata don Primo sull’altare e io non l’ho mai smessa!”.
Confesso che quella risposta mi commosse, considerando la concezione che don Mazzolari aveva del sacerdozio, che era anche quella del suo degno successore.
Ma ho anche un altro ricordo, questo risalente ai primi anni Duemila. Mi trovavo a Belluno (nella redazione del Gazzettino di quella città avevo lavorato per quattro anni: 1966-1970) ed entrai nella centralissima chiesa di San Rocco, dove c’erano lavori in corso.
Dopo aver sostato in preghiera, e aver osservato gli operai impegnati in alcuni lavori al soffitto, all’uscita mi imbattei in un sacerdote di mezza età che indossava la veste talare.
Sorridendo, dissi: “Permette reverendo? Guarda un po’, un prete che in chiesa è vestito… da prete!” (sì, perché sappiamo bene e vediamo che tantissimi vestono come pare loro anche in quella che è prima di tutto la casa di Dio). E lui: “Ma io vesto da prete anche fuori di chiesa!”.
So bene che, come i grilli parlanti odierni obiettano, l’abito non fa il monaco. Ma può aiutare a farlo, no?
E in proposito ecco un ulteriore emblematico episodio.
Un giorno di fine anni Novanta del secolo scorso, mi trovavo alla stazione ferroviaria di Bologna e mi capitò di sedere in sala d’aspetto accanto a un frate cappuccino, che indossava il saio. Anche a lui rivolsi la solita osservazione: “Che bello vedere un frate, vestito da… frate!”.
La risposta, immediata e gentile, fu: “Lei non sa quanta gente, vedendomi con questo saio, mi si avvicini e mi chieda se può rivolgermi domande, esprimere dubbi, proprio perché vede, dalla ‘divisa’ che porto, che cosa rappresento”.
Anni più tardi, trovandomi a cena da una famiglia amica, ebbi occasione di sedere accanto a un frate minore conventuale che indossava jeans e un maglione firmato. Non mi trattenni: “Ma come, non solo lei è in borghese, ma indossa un capo firmato. E il voto di povertà?”. Si giustificò dicendo che era un dono di una vecchia signora. Mi permisi di fare io, in quella occasione, il grillo parlante (sono romagnolo e non ho peli sulla lingua!): “Non ho avuto la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa, ma se mi fossi fatto prete o frate avrei indossato quotidianamente, e con orgoglio, la veste talare o il saio, e avrei cercato di onorarli!”. E oggi la penso ancora così.
Giovanni Lugaresi
Foto tomeqs | Shutterstock tratta da Aleteia
***
Cari amici di Duc in altum, vi ricordo i miei ultimi libri
Aldo Maria Valli, Ai tempi di Gesù non c’era il registratore. Uomini giusti ai posti giusti (Chorabooks, 2020)
Aldo Maria Valli, Aurelio Porfiri, Decadenza. Le parole d’ordine della Chiesa postconciliare (Chorabooks, 2020)
Aldo Maria Valli, Non avrai altro Dio. Riflettendo sulla dichiarazione di Abu Dhabi, con contributi di Nicola Bux e Alfredo Maria Morselli (Chorabooks, 2020)
Aldo Maria Valli, Gli strani casi. Storie sorprendenti e inaspettate di fede vissuta (Fede & Cultura, 2020)
Aldo Maria Valli, Le due Chiese. Il sinodo sull’Amazzonia e i cattolici in conflitto (Chorabooks, 2020)
Aldo Maria Valli (a cura di), Non abbandonarci alla tentazione? Riflessioni sulla nuova traduzione del “Padre nostro”, con contributi di Nicola Bux, Silvio Brachetta, Giulio Meiattini, Alberto Strumia (Chorabooks, 2020)
***
Sei un lettore di Duc in altum? Ti piace questo blog? Pensi che sia utile? Se vuoi sostenerlo, puoi fare una donazione utilizzando questo IBAN:
IT65V0200805261000400192457
BIC/SWIFT UNCRITM1B80
Beneficiario: Aldo Maria Valli
Causale: donazione volontaria per blog Duc in altum
Grazie!
***
I contributi che appaiono nel blog sono disponibili anche su Telegram.
Potete cercarmi digitando il mio nome, Aldo Maria Valli, oppure cliccate sul link https://t.me/aldomariavalli e poi scegliete: unisciti al canale.