Quando alle prime ore del 1° agosto, in piena tregua estiva, l’Assemblea nazionale approva in prima lettura il progetto di legge bioetica per alzata di mano e davanti a un deputato su cinque si assiste all’epilogo di un processo senza suspense che ha origine ben prima dei cosiddetti impegni di campagna e delle cosiddette promesse di un “dibattito pacifico” di Emmanuel Macron. Il padre del primo bambino in provetta, Jacques Testart, non smette di mettere in guardia la Francia: «Fino alla costruzione del mondo iper-tecnologico che conosciamo, il progresso consisteva nel miglioramento delle condizioni di vita per favorire la realizzazione delle persone… Oggi la feticizzazione delle produzioni tecno-scientifiche è utile all’economia liberale, poiché aliena le persone. È tanto più grave proprio perché esistono solo dei “progressi” in bioetica, non ci sono ritorni possibili, e coloro che resistono a questi “progressi” sono rapidamente qualificati come conservatori…».
Il procedimento è sempre lo stesso. Prendiamo l’aborto: dai tempi della sua depenalizzazione quarantacinque anni fa, l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) – seppur considerata come un “dramma” – ha continuato ad allargare le sue frontiere. Rimborso totale votato nel 2013, soppressione della condizione di disagio e riconoscimento di un “diritto fondamentale” nel 2014, abolizione del periodo di riflessione nel 2015… e allo stesso tempo la pressione è sempre più forte per l’allungamento del periodo legale durante il quale l’aborto è autorizzato e la soppressione dell’obiezione di coscienza specifica dei medici. Perché soffermarsi su questo tema? Perché non è mai stato al centro di un dibattito ed è direttamente legato alla questione dell’estensione delle ricerche sull’embrione, di cui non parla mai nessuno.
«L’albero della “Pma [Procreazione medicalmente assistita, ndr]per tutte” ha nascosto la foresta degli abbandoni etici», si dispiace ancora oggi Jacques Testart. Se il futuro non è mai certo, le cause hanno comunque delle conseguenze. La logica attuale è semplice: il bambino non è mai un dono, ma un progetto genitoriale. Se questo progetto non esiste, non esiste nemmeno il bambino. Altrimenti chi potrebbe spiegare la differenza di valore tra un feto di dodici settimane per il quale l’aborto è consentito e quello di tredici per il quale è vietato? Chi potrebbe assumersi la responsabilità di dire che un embrione con handicap di diciassette settimane merita meno protezione di un embrione sano proprio perché è con handicap? Come accettare che alcuni embrioni vengano donati per la ricerca?
Più nessuno si chiede cos’è l’embrione, quali sono i suoi eventuali diritti, la sua natura, il valore della vita che lo anima… Oggi è tutta una questione di “diritto” della donna di disporre del “proprio” corpo. Qualsiasi limite diventa un potenziale ostacolo alle libertà individuali. Il voto del 1° agosto incarna questo paradigma progressista. Si può, per esempio, uccidere un bambino nel grembo di sua madre alla vigilia della nascita? La Francia risponde già sì a questa domanda, in alcuni casi: se un bambino ha una malattia incurabile, o se il fatto di portare a termine la gravidanza fa correre un rischio alla madre. In maniera discreta, i deputati socialisti hanno aggiunto un emendamento che mira ad allargare l’accesso a questi aborti farmacologici. Una madre potrebbe ormai ricorrervi – fino al termine della gravidanza – se si trova in uno stato di “disagio psicosociale”, situazione per natura difficile da definire. Qualche anno fa, la condizione di “disagio” era stata cancellata dai criteri di ricorso all’Ivg [Interruzione volontaria della gravidanza, ndr], con la motivazione che fosse diventata “obsoleta”… Tugdual Derville, presidente di Alliance Vita, ha diffuso sui media l’emendamento discreto, ed è insorto contro di esso: «Presentato come un progresso, questo tipo di aborto farmacologico è una violenza contro le donne, un’involuzione del loro diritto di essere accompagnate e protette quando sono indebolite da una gravidanza. Per prenderne coscienza, bisogna aver sentito l’immenso dolore di quelle che si colpevolizzano, a posteriori, di aver ceduto alle pressioni, consentendo di procedere all’aborto del proprio figlio in ottima salute». Ma poiché l’embrione non vale nulla rispetto alla volontà degli adulti il resto è una naturale conseguenza. Questa legge, per esempio, autorizza anche la creazione di ibridi uomo-animale, pur dettagliando alcuni limiti. «Precauzioni ipocrite e risibili», secondo Jacques Testart: «È l’embrione animale che sarà arricchito di cellule umane e non il contrario, e la proporzione dell’umano nell’ibrido non dovrà superare il cinquanta per cento (come nel centauro o la sirena). In più, è un animale femmina che porterà l’ibrido (quale donna avrebbe potuto accettare questo ruolo?) e la gestazione sarà interrotta prima della nascita… per questa volta».
I difensori del testo rifiutano qualsiasi accusa di imprudenza. La Ropa [Ricezione di ovociti della partner, ndr], per esempio, resta vietata. Piccolo punto del vocabolario su questa “ricezione degli ovociti della partner”: una donna lesbica dona gli ovociti per una fecondazione in vitro, e l’embrione viene impiantato nella sua partner. Una concepisce il bambino, l’altra lo porta in grembo. Ma tutte e due vogliono essere madri: come comprendere il motivo di questo rifiuto? La questione è la stessa per la Pma post mortem (una fecondazione praticata con lo sperma di un uomo morto volontario), o per l’accesso dei transessuali alla Pma: perché rifiutare ad alcuni quello che è stato consentito ad altri per scrupolo di “uguaglianza”? C’è da interrogarsi anche in merito al rifiuto dell’estensione dell’accesso alla Dpi-A [Dépistage préimplantatoire des aneuploïdies, screening preimpianto per aneuploidia, consiste nell’individuare anomalie nel numero di cromosomi nell’embrione con l’obiettivo di ottimizzare le possibilità di gravidanza mediante trasferimento e ridurre il rischio di aborto spontaneo. L’aneuploidia (numero anormale di cromosomi, ad esempio trisomia 21) è una causa comune di fallimento dell’impianto dell’embrione in utero, ndr]. Questa diagnosi praticata in vitro è autorizzata in una famiglia dove viene identificata una malattia genetica grave, ma vietata in una famiglia dove non vi è questa malattia. Il relatore del testo, Jean-Louis Touraine, trova questo fatto – legittimamente – assurdo: «Il rifiuto della Dpi-A è stato deciso con la paura che ciò limitasse il numero di nascite di bambini con la sindrome di Down; in realtà questo numero resterebbe identico perché, per le donne che lo desiderano, la diagnosi della trisomia 21 viene effettuata all’inizio della gravidanza con la possibilità di interromperla». Perché rifiutare la Dpi-A quando si autorizza l’aborto ed è praticato nel 97 per cento dei casi di trisomia 21? Anche Jacques Testart si è detto stupito: «Il rifiuto della Dpi-A mi ha sorpreso poiché questa estensione della tecnica della selezione degli embrioni va nella direzione generale della legge, verso l’accettazione dell’eugenetica e l’acclimatazione al transumanesimo». Alcune disposizioni vengono accettate, altre rifiutate.
Come capire qual è la logica? Il progressismo sembra avere una sola dottrina: aspettare che la società, trasformata da una serie rivendicazioni individuali, sia “pronta” ad accettare i progressi tecnici sempre più grandi. Edificante a questo proposito, è il modo in cui Jean-Louis Touraine commenta il rifiuto di alcune proposte: «Sono anch’esse in sintonia con i valori della nostra società, ma si è ritenuto ragionevole usare la prudenza per non urtare la sensibilità di quelli che sono preoccupati dalle evoluzioni e tardano talvolta ad adattarsi, come per esempio ai modi attuali che permettono di “fare famiglia”. È tutta una questione di tempo. La presidente della Manif pour tous, Ludovine de la Rochère, non è sciocca. “È solo tattica: il presidente vuol far credere che questo progetto di legge è “equilibrato” e che i nostri segnali d’allarme sono eccessivi». Perché se tutto ciò era prevedibile, lo era anche il seguito. E fa venire i brividi: alcuni ricercatori reclamano già l’aborto “postnatale”, ossia l’infanticidio, nei casi in cui l’aborto tardivo è autorizzato. L’argomentazione è ineccepibile: non c’è alcun cambio di natura prima e dopo la nascita. Il bambino è sempre dipendente, incapace di decidere da solo del proprio destino. Senza limiti di principio, tutto è possibile. Vale nel campo dell’eugenetica, ma anche per le conseguenze del “matrimonio per tutti”, nettamente più mediatizzato. Christiane Taubira (ex ministra della Giustizia sotto il quinquennio di François Hollande, ndr) lo sapeva bene quando nel 2013 dichiarava: «È una riforma di società e possiamo dire anche una riforma di civiltà». Il dibattito non fu mai all’altezza: girò attorno all’‘amore’ e all’”uguaglianza”, quando ciò che era realmente in gioco era la definizione stessa della natura dell’uomo e della donna. Per Touraine, lo scopo non è più un bene comune, ma un’addizione di visioni individuali: «Conservatori e progressisti hanno fortunatamente lo stesso “diritto di cittadinanza”. Gli uni e gli altri sono utili, ed ognuno si trattiene dall’imporre a tutti il suo punto di vista personale’. Contrariamente a lui, Christiane Taubira sosteneva l’opposto: una riforma di civiltà riguarda tutta la società. Prendiamo degli esempi espressamente distanti per capire la questione: perché vietare il delitto d’onore? L’escissione? L’amore tra un uomo maturo e una bambina? Perché esiste una morale di civiltà che sta al di sopra delle rivendicazioni particolari. Quando tutto è relativo, non c’è più ragione di vietare qualcosa. O allora in maniera arbitraria, e dunque potenzialmente temporanea. Se la Pma, poi l’estensione della Pma, e domani la Gpa finiscono inevitabilmente per arrivare è perché niente più vi si oppone. Lo stesso vale per le ricerche sull’embrione. «Più importante del risultato legislativo immediato sono i rapporti preparatori per la revisione usciti dalle grandi istituzioni», spiega Testart. «La loro convergenza per mettere fine all’”etica alla francese” è sorprendente e lascia presagire un’evoluzione scientista, eugenetica e mercantile della bioetica. Bisogna arrendersi all’evidenza progressista: i blocchi di oggi saranno i “progressi” di domani».
Charlotte d’Ornellas
Fonte: Valeurs Actuelles.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l’inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì
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